Urne aperte domenica e lunedì. I cinque quesiti e le modalità per votare
Domenica 8 e lunedì 9 giugno, seggi aperti per il referendum. L’obiettivo ultimo («cambiare il Paese») è a dir poco ambizioso, ma ci si arriva per tappe. Fino a lunedì sera, lo scopo vero di Maurizio Landini è un altro: «raggiungere il quorum».
Cinque quesiti per intervenire su licenziamenti illegittimi, tutele nelle piccole imprese, lavoro precario, sicurezza sul lavoro e cittadinanza. Si tratta di cinque quesiti referendari abrogativi: marcando il Sì, si acconsente a cancellare la parte di norma indicata.
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Per la prima volta, l’invito è rivolto anche ai fuorisede, che potranno votare anche nel proprio domicilio temporaneo in cui si trovassero per motivi di studio, lavoro o cure mediche. Per accedere a questa possibilità, i cittadini avevano la possibilità di iscriversi in un apposito registro entro il 7 maggio.
I seggi saranno aperti domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15.
Referendum: il primo quesito
Nel primo caso si interviene sulla disciplina dei licenziamenti nei contratti a tutele crescenti e nelle imprese con almeno 16 dipendenti. Attualmente, un dipendente che si trovi in queste condizioni e che subisca un licenziamento illegittimo non ha diritto al reintegro, ma solo a un indennizzo economico calcolato sulla base dell’anzianità.

Occorre anche ricordare che attualmente la legge prevede già dei meccanismi di tutela che garantiscono al lavoratore il reintegro (qualunque siano le dimensioni dell’azienda), nei seguenti casi:
- licenziamenti per motivi illeciti
- licenziamenti discriminatori
- licenziamenti durante i periodi di tutela (maternità, congedi parentali, primo anno di matrimonio)
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Il secondo quesito: tetto alle indennità
Anche il secondo quesito del referendum sul lavoro indetto dalla CGIL riguarda i licenziamenti illegittimi, in questo caso però nelle aziende con meno di 16 dipendenti. In questo contesto, non si vuole prevedere una disciplina per il reintegro (secondo la legge, il datore di lavoro può decidere se reintegrare il dipendente o indennizzarlo). Si vuole invece abrogare il tetto massimo ad oggi previsto dalla legge, pari a 6 mensilità, e lasciare piena discrezionalità al giudice che, di volta in volta, valuterà l’ammontare dell’indennizzo.
Terzo quesito: stretta ai contratti a termine
Il terzo quesito abrogativo si inserisce nel solco di un lungo tira e molla del legislatore: il tema, spinoso, è quello dei contratti a termine. Nel 2015 il Jobs Act aveva favorito questo tipo di contrattazione eliminando l’obbligo per il datore di lavoro di addurre delle causali per giustificare un contratto inferiore ai 12 mesi.

Nel 2018, il decreto Dignità del Governo Conte aveva ripristinato l’obbligo di indicare le ragioni oggettive per l’impiego di un contratto a tempo. Il decreto Lavoro del Governo Meloni (2023) ha poi di nuovo riportato indietro la legge; oggi, per i contratti fino a 12 mesi, non sono richieste causali particolari per rinnovi o proroghe. Inoltre, lo stesso decreto ha previsto una serie di causali atte a giustificare contratti a tempo determinato dai 12 ai 24 mesi, incrementando quindi la casistica di applicazione di rapporti di lavoro a tempo determinato. Marcando il Sì, si abroga nuovamente questa porzione di legge, ponendo in capo ai datori di lavoro l’obbligo di specificare di volta in volta le ragioni oggettive di un contratto determinato.
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Il quarto quesito del referendum, la sicurezza sul lavoro
L’ultimo dei quattro quesiti referendari promossi dalla CGIL riguarda la sicurezza nei luoghi di lavoro e interviene direttamente nel Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (TUSL) del 2008. Secondo l’attuale legge, in caso di infortunio sul lavoro è esclusa la responsabilità delle imprese appaltanti, le stesse chiamate a vigilare sul rispetto delle norme antinfortunistiche. Abrogando la norma, si estenderebbe invece le responsabilità dell’impresa committente anche all’appaltatore. Un debito richiamo per provare a invertire, inchiodando gli appaltatori negligenti alle loro responsabilità, l’ignominioso trend italiano di tre morti sul lavoro al giorno.

Referendum sulla cittadinanza: il quinto quesito
Ai primi quattro quesiti incentrati sul lavoro si aggiunge una quinta proposta sulla cittadinanza. Il quinto quesito del referendum propone infatti di abbassare a cinque anni (rispetto agli attuali 10) il periodo di residenza in Italia necessario per avanzare richiesta di cittadinanza. La proposta non tocca nessuno degli altri requisiti: a parità di merito, si vuole quindi abbreviare un iter già complicato da lungaggini burocratiche.
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Oggi la legge, modificata con il decreto Immigrazione del 2020, prevede che tra la presentazione della domanda e la conclusione del procedimento passi un massimo di 24 mesi, prorogabili a 36. Nella realtà però è frequentissimo che le tempistiche siano molto superiori, in base alla Regione di appartenenza o alla specificità del caso, tanto che mediamente sono necessari 14 anni, considerando i 10 di residenza e i restanti mesi di perfezionamento della richiesta.

Se il quorum, 50% + 1, è la grande incertezza di questa chiamata referendaria, il dibattito pubblico ha preferito, ancora una volta, inseguire la strumentalizzazione politica. Gli appelli al voto, al non voto, al disertare i seggi, a presentarsi al seggio senza ritirare la scheda, a ritirare la scheda senza indicare la preferenza, e così via, hanno purtroppo poco a che fare con il contenuto dei quesiti, la cui bontà potrebbe facilmente trovare adito nel dibattito parlamentare. La speranza è che il fallimento del referendum non mandi in cantina le necessarie riforme.
di: Marianna MANCINI
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