Una lunga serie di zavorre ha rallentato la corsa dei titoli del settore tecnologico, dalla guerra dei dazi, al blocco delle terre rare da parte di Pechino fino al riarmo

di Rossana Prezioso

La guerra dei dazi ha portato un nuovo, ennesimo stravolgimento sui mercati. Uno stravolgimento che segue, di poco, quello già di per sé epocale che aveva portato la New Economy a farsi da parte con le sue maggiori esponenti e lasciare il posto ai grandi rappresentanti del settore del riarmo e della difesa.

Per decenni i mercati hanno visto il predominio della cosiddetta Old Economy e cioè di quelle aziende il cui sistema produttivo riproduceva processi di scambio storicamente ormai noti ed ampiamente replicati. Per questi giganti, l’uso della tecnologia non è mai stato determinante. Ma, come è noto, anche l’economia cambia e, complici i progressi tecnologici che hanno invaso anche la sfera sociale, ecco che la Old Economy ha conosciuto un momento di crisi che l’ha portata ad un tramonto silenzioso. Al centro della scena in questo primo quarto del 22esimo secolo si sono affacciati dei nuovi protagonisti, i grandi nomi del settore tecnologico la cui sfera di influenza ha superato le classiche divisioni e i vari settori. In particolare sono stati sette i nomi che hanno registrato la migliore delle performance sotto tutti i punti di vista. 

Le “Magnifiche sette” sono un gruppo che comprende Alphabet (società madre di Google), Amazon, Apple, Meta (società madre di Facebook), Microsoft, NVIDIA e Tesla, tutte aziende diventate nel giro di pochi anni punti di riferimento per il potere economico, sociale e politico ma che nel tempo hanno portato sotto i riflettori anche possibili rischi derivanti proprio da questa forte e poliedrica concentrazione di potere. Un potere che si esercita non solo su settori specifici ma sull’economia globale e sulla società in generale. Basti pensare allo spinoso problema della privacy e del trattamento dei dati che tutte queste aziende, proprio perché operanti nel settore tecnologico ed informatico, raccolgono ogni giorno.

Un club esclusivo, quello delle Magnifiche Sette, la cui sfera di influenza, come detto, va oltre il semplice settore di riferimento. Il comun denominatore che le contraddistingue è il mondo della tecnologia, tronco principale dal quale le Magnifiche Sette traggono la propria linfa vitale. Una linfa che, per continuare ad affluire rigogliosa, ha da sempre avuto bisogno di costanti investimenti diventati man mano sempre più imponenti. Soprattutto dopo l’entrata in scena della grande protagonista, ovvero l’Intelligenza Artificiale (AI). Ed è stata proprio per sviluppare i potentissimi (e costosissimi) sistemi di addestramento dell’AI che tutte e sette le Sorelle hanno dovuto mettere mano al portafoglio e aumentare la raccolta fondi ed implementare i già enormi capitali destinati allo sviluppo dei software dedicati, al ramo cloud ma anche alla creazione di microchip sempre più potenti. Un nodo gordiano, quest’ultimo, da non sottovalutare, soprattutto se si considera il complesso processo produttivo che contraddistingue la nascita di ogni singolo microprocessore. Un processo lungo e che prevede più vasi molte delle quali non sempre realizzabili all’interno degli stessi confini nazionali. Da qui il delicato susseguirsi di una serie di anelli che vedono la collaborazione di più professionalità anche a livello internazionale. E che potrebbe facilmente scontrarsi con le recenti politiche protezioniste di alcune grandi nazioni.

Altro problema che si è evidenziato nel tempo è quello riguardante le terre rare, elementi indispensabili per la fabbricazione di batterie e chip specifici per l’AI. Pechino può infatti vantare un vero e proprio monopolio sulle terre rare e, forte anche di questo vantaggio, è stato facile per la Cina arrivare al sorpasso. Spesso, infatti, i sistemi AI cinesi si sono rivelati superiori non tanto nelle performance quanto su una voce particolarmente importante, quella dei costi che Pechino è riuscita ad abbattere sensibilmente. Il miracolo DeepSeek, ovvero l’Intelligenza Artificiale low cost, ha fatto vacillare non poco le granitiche certezze dell’industria hi tech occidentale. Ma la spallata definitiva (o quasi) non l’ha data Pechino bensì, paradossalmente, la Russia. La guerra con l’Ucraina e il ritorno delle tensioni internazionali hanno favorito una serie di politiche basate sulla difesa e sul riarmo, tutte voci che, come recentemente deciso dall’Europa, potranno beneficiare di numerosi investimenti. La questione geopolitica è stata, dunque, uno dei tanti cavalli di Troia che hanno portato, tra le varie conseguenze, ad un cambio della leadership sui mercati. La possibilità di un debito comune europeo che sarà utilizzato per un eventuale piano di riarmo del Vecchio Continente, ha prodotto un nuovo interesse da parte degli investitori verso le principali aziende della difesa europea che sono state oggetto di una serie di acquisti sui mercati azionari. 

Anche in questo caso a parlare sono i numeri ed in particolare quel +65% registrato in media dall’inizio del 2025 e fino a metà marzo dall’intero comparto dei titoli del settore Difesa. Un rally che si va a contrapporre ad un passo ben più lento registrato nello stesso periodo dalle Magnifiche sette che non sono andate oltre il 13%.