Una ricercatrice dell’Università di Padova spiega perché ci si mette in gioco sui social, anche rischiando la vita

Bere quasi quattro litri di latte in un’ora senza vomitare, ingerire un cucchiaio di cannella in un minuto o una pastiglia di detersivo. Oppure, perchè no, fare sesso con sconosciuti finchè non si resta incinta. Il tutto documentato sui social media, prevalentemente su TikTok: queste sfide, tanto bizzarre quanto pericolose per la salute, sono note come “TikTok challenge”.

«Le challenges che vediamo su TikTok sono solo l’ultima manifestazione di un fenomeno sociale che è sempre esistito – spiega Maria Laura Bettinsoli, ricercatrice interdipartimentale presso l’Università di Padova, dove insegna “Relazioni intragruppo, intergruppo e di sistema” e “Psicologia sociale applicata” -. Quando eravamo bambini o adolescenti, anche senza i social media, ci trovavamo comunque a partecipare a sfide, mode o a dover seguire certe tendenze. La moda stessa, in generale, è sempre stata un fenomeno sociale che ci ha portato a comportamenti di gruppo, in cui iniziamo a fare qualcosa perché gli altri lo fanno. Ad esempio, quando un ragazzo inizia a fumare, gli altri si sentono spinti a fare lo stesso. È una dinamica tipica dei gruppi, un po’ come i riti di iniziazione che si vivevano nelle nostre fasi adolescenziali, come l’utilizzo di certi linguaggi o l’adottare determinati comportamenti».

Maria Laura Bettinsoli – Bettinsoli

«Ci sono, infatti, due concetti chiave nella psicologia sociale che sono alla base di questi fenomeni – sottolinea Bettinsoli. Il primo è il “bisogno di appartenenza a un gruppo”, che è universale e fondamentale nell’essere umano. Questo bisogno di appartenere è stato teorizzato come parte del nostro processo evolutivo: i nostri antenati sapevano che stare in gruppo significava maggiori opportunità di sopravvivenza, come per la caccia, la difesa e anche per l’accoppiamento. Questo bisogno si è evoluto fino a diventare innato. Quando parliamo di gruppi oggi, non parliamo solo di gruppi etnici, religiosi o culturali, ma anche di gruppi più piccoli e quotidiani, come quelli creati attorno a hobby, mode o piattaforme come TikTok. Questi gruppi soddisfano bisogni primari di appartenenza, e soprattutto ci permettono di definire cosa è giusto e cosa non lo è. Le norme sociali che si stabiliscono all’interno di un gruppo, infatti, definiscono comportamenti appropriati e inappropriati, e da esse dipende anche la nostra identità e come interpretano il mondo intorno a noi». 

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Cosa si intende per “teoria dell’identità sociale”?

«La teoria dell’identità sociale è fondamentale per comprendere il nostro bisogno di appartenere a un gruppo. È stata sviluppata da Henri Tajfel, uno dei pionieri della psicologia sociale. La teoria sostiene che una parte della nostra identità non è solo costituita dai tratti individuali, ma anche dai gruppi ai quali apparteniamo. L’identità sociale si costruisce e si definisce attraverso i gruppi a cui ci sentiamo di appartenere, che chiameremo “in-group”, e ci distingue dagli altri gruppi, che sono invece definiti “out-group”. Questa categorizzazione è molto importante perché, per esempio, quando siamo con la nostra famiglia, ci identifichiamo con le norme e i comportamenti che quella famiglia impone. Quando siamo con gli amici, però, potremmo comportarci in modo completamente diverso, perché all’interno di quel gruppo si sono stabilite altre norme sociali. Per fare un esempio banale, pensa al linguaggio: quello che in famiglia sarebbe considerato inappropriato, come usare parolacce, potrebbe essere invece accettato all’interno di un gruppo di amici. Lo stesso vale per il fumare. All’interno di un gruppo di amici che fuma, probabilmente si inizia a fumare per conformarsi al gruppo, ma non per questo diventi automaticamente un “fumatori” in senso assoluto. Questa distinzione tra identità individuale e identità sociale è alla base dei fenomeni di gruppo».

Quindi, qual è l’importanza di appartenere a un gruppo? Quali sono le conseguenze se non ci si adatta alle norme di un gruppo?

«L’importanza di appartenere a un gruppo risiede nella soddisfazione dei bisogni primari e sociali: il bisogno di connessione, di sentirsi parte di qualcosa. Tuttavia, se non ci si adegua alle norme di un gruppo, può scaturire il fenomeno dell’ostracismo, che è l’esclusione o l’isolamento dal gruppo. Questo è un fenomeno estremamente dannoso, sia fisicamente che psicologicamente. Studi hanno dimostrato che l’ostracismo sociale può avere effetti devastanti sulla salute. È stato osservato che l’attivazione neurale in risposta all’ostracismo è simile a quella che si verifica in risposta a un dolore fisico. A livello psicologico, l’isolamento sociale può portare a gravi problemi di salute mentale, come la depressione. Le persone, specialmente i giovani, non sono ancora preparate a gestire questi tipi di emozioni, e quindi il supporto degli adulti significativi, come i genitori, è cruciale in queste fasi della vita».

Può spiegare meglio il legame tra ostracismo e benessere?

Gruppo di adolescenti – Shutterstock

«Certamente. L’ostracismo ha un impatto diretto sul benessere, poiché mette in crisi il nostro senso di identità e la nostra autostima. Quando veniamo esclusi da un gruppo, la nostra identità sociale è minacciata, e questo ha un impatto profondo sulla percezione che abbiamo di noi stessi. Il nostro benessere psicologico dipende anche dal gruppo a cui apparteniamo, e quando questo gruppo ci esclude, può emergere un grande senso di solitudine e disperazione. Questo ci porta all’influenza sociale, che è un altro concetto chiave. Le persone si conformano alle norme del gruppo non solo per appartenenza, ma anche per evitare il rifiuto. Gordon Allport, uno dei principali teorici della psicologia sociale, ha definito l’influenza sociale come il processo attraverso cui i pensieri, i sentimenti e i comportamenti delle persone sono modellati da altri. La psicologia sociale studia proprio queste dinamiche: come un gruppo può influenzare il comportamento di un individuo e come gli individui interagiscono tra di loro in contesti sociali. In sintesi, il bisogno di appartenenza è essenziale per la nostra vita sociale e psicologica. Quando un gruppo ci accetta, ci sentiamo più forti e più sicuri di noi stessi. Quando veniamo esclusi, invece, rischiamo di subire danni molto gravi alla nostra salute mentale e al nostro benessere».

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Come i comportamenti, pensieri e sentimenti degli altri influenzano le nostre scelte?

«Quando ci troviamo davanti a una scelta, potremmo pensare di agire in totale libertà, ma inconsciamente, i nostri pensieri, sentimenti e comportamenti vengono influenzati dalle persone che fanno parte del nostro sé. Ad esempio, se devo scegliere l’università, il pensiero di cosa potrebbero dire mia madre o i miei amici si inserisce nei miei comportamenti e modi di vedere le cose, influenzando indirettamente la mia decisione».

Quindi, come i social influenzano il gruppo sociale degli adolescenti rispetto a un tempo?

Gruppo di ragazzi con lo smartphone – Shutterstock

«Oggi, i social amplificano l’influenza dei pari, anche se questi non sono più solo persone fisiche che incontriamo quotidianamente, ma sono estesi a una rete globale di persone che interagiscono tramite piattaforme. Questo ha moltiplicato il numero di “pari” e, di conseguenza, la pressione sociale, che si manifesta nelle approvazioni (o disapprovazioni) ricevute tramite like, commenti e interazioni sui social. L’ostracismo sui social è diventato più potente rispetto a quello sociale fisico e può portare a conseguenze psicologiche negative, come la depressione, specialmente nei giovani che basano la loro approvazione sociale sui like».

Gli effetti dell’ostracismo sociale sui social sono simili a quelli fisici, nel mondo reale?

«Ci sono studi che suggeriscono che l’ostracismo sui social possa avere effetti simili, se non peggiori, rispetto a quello fisico. Ad esempio, l’ostracismo fisico produce dolore fisico, e ricerche recenti indicano che l’ostracismo sui social può causare un dolore psicologico e cerebrale altrettanto intenso. I ragazzi, che una volta ottenevano approvazione da un numero limitato di amici, oggi sono esposti a un pubblico molto più ampio attraverso i social media. Se non ricevono abbastanza interazioni (like, commenti), questo può danneggiare il loro benessere mentale».

Ci sono ricerche recenti che indagano il dolore cerebrale causato dall’ostracismo sui social?

Le ragazze tendono a partire con un benessere inferiore rispetto ai maschi – Shutterstock

«Sì, esistono studi che indagano l’impatto dell’ostracismo sui social sul cervello e sul benessere mentale. Alcuni studi, anche recenti dopo il COVID, hanno analizzato come l’esposizione costante ai social media influenzi la cognizione e la gestione delle emozioni, con differenze di genere evidenti: le femmine tendono a partire con un livello di benessere mentale inferiore rispetto ai maschi. Questi studi evidenziano un decadimento cognitivo, soprattutto nelle capacità attentive e emotive degli adolescenti».

I social media e queste challenge hanno impatto anche sugli adulti?

«Sì, i fenomeni delle challenge e dell’influenza sociale non riguardano solo gli adolescenti, ma anche gli adulti. Molti genitori, cercando di ristabilire una connessione con i propri figli, finiscono per essere coinvolti anch’essi in dinamiche sociali simili, partecipando a challenge o interagendo sui social. Questo crea un circolo vizioso che si riflette anche sui figli, aumentando l’uso dei dispositivi e l’esposizione ai social. Inoltre, il comportamento di un genitore che usa frequentemente il telefono può influenzare quello dei figli, creando una sorta di imitazione».

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Ma, quindi, perché le persone partecipano alle challenge sui social?

«Principalmente per due motivi: uno è il bisogno di essere accettati nel gruppo, che è uno dei motori principali del conformismo sociale. L’altro motivo è il desiderio di essere accurati, cioè di seguire le azioni degli altri in situazioni incerte, per sentirsi parte di un gruppo e seguire le sue aspettative. Questo desiderio di conformarsi è legato al bisogno di approvazione e alla paura dell’ostracismo».

Quali sono i fattori che aumentano la probabilità di conformarsi a una norma sociale?

«Secondo la teoria dell’impatto sociale, ci sono tre fattori principali che aumentano la probabilità di conformarsi a una norma sociale: il “numero”, quanto più grande è il gruppo, maggiore è la pressione sociale; la “forza”, quanto il gruppo è importante per l’individuo, più il gruppo è significativo, maggiore sarà la spinta a conformarsi; “immediacy”, quanto più il gruppo è vicino, sia nel tempo che nello spazio. Nei social media, l’immediatezza è amplificata, poiché possiamo essere connessi in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo, aumentando l’influenza del gruppo.

Come il fenomeno delle challenge e dei social cambia il comportamento rispetto al passato?

La challenge dell’ingestione di capsule di detersivo ha provocato migliaia di ricoveri – Shutterstock

«I social hanno amplificato l’influenza sociale in modo esponenziale. Mentre prima l’influenza dei pari era limitata a un piccolo gruppo di amici, oggi le piattaforme social offrono un bacino infinito di interazioni e approvazioni (o disapprovazioni). Questo ha creato nuove dinamiche di conformismo, in cui le persone sentono una forte pressione a conformarsi alle aspettative del gruppo, che può essere molto più grande e diversificato rispetto a quello che avveniva nel passato». 

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Come si connettono i social media e l’isolamento sociale?

«L’uso intenso dei social media, che è aumentato in particolare dopo la pandemia di COVID, ha portato a una sorta di solitudine digitale. Anche se siamo connessi virtualmente, il contatto fisico è venuto meno, e molte persone spendono più tempo da sole, pur interagendo sui social. Questo fenomeno, insieme al bisogno di accettazione sociale, può creare un senso di solitudine, nonostante le interazioni online».

Perché i fenomeni legati alla salute mentale e all’influenza dei social media sono più forti nell’epoca attuale rispetto al passato?

«I social media amplificano le pressioni sociali, rendendo i fenomeni legati alla salute mentale più forti rispetto al mondo fisico e reale. Un aspetto importante è la diffusione di immagini e comportamenti irrealistici che diventano modelli da seguire. Le “challenge” sui social e la ricerca del conformismo, come nel caso dell’immagine corporea, sono esemplificative di come i social abbiano un impatto significativo sulla percezione di sé e sulle azioni delle persone, in particolare per le donne, ma anche per gli uomini. Questi fenomeni portano a comportamenti dannosi come i disturbi alimentari, la chirurgia plastica e l’uso di sostanze per migliorare l’aspetto fisico».

Come si può spiegare l’evoluzione dell’oggettivazione dell’immagine corporea?

«L’oggettivazione dell’immagine corporea ha una lunga storia. Per le donne, i canoni estetici sono sempre stati un tema centrale, ma negli ultimi decenni si è esteso anche agli uomini. La visibilità dei corpi maschili sui social media, ad esempio attraverso riviste come Men’s Health, ha contribuito a creare un modello estetico anche per gli uomini, non solo per le donne. Questo ha portato a pressioni sociali che influiscono sul comportamento degli individui, sia uomini che donne, e su disturbi legati all’immagine corporea, come la chirurgia estetica, i disturbi alimentari, e l’uso esagerato di palestre».

Che ruolo giocano i social media nel rafforzare la pressione sociale riguardo ai canoni estetici?

La competizione per apparire “perfetti” può portare a una spirale di comportamenti dannosi – Shutterstock

«Un ruolo centrale, creando un ambiente dove l’auto-percezione è influenzata dai modelli estetici diffusi online. Le persone sono costantemente confrontate con immagini curate e ritoccate, e questo porta a un confronto con standard irrealistici che possono danneggiare la salute mentale. La competizione per apparire “perfetti” può portare a una spirale di comportamenti dannosi, come l’abuso di chirurgia estetica o l’alimentazione restrittiva. Inoltre, l’uso compulsivo dei social media, con il bisogno di avere determinati oggetti o indossare marchi, aumenta ulteriormente la pressione sociale».

Qual è la causa principale di questo fenomeno, e come si può affrontare?

«La mancanza di un’educazione adeguata alla gestione delle emozioni e alla consapevolezza digitale. La società non insegna a riconoscere i propri sentimenti e a comprendere come i social media influenzino la nostra percezione di sé. Le famiglie, purtroppo, spesso non hanno le competenze per educare i figli a un uso consapevole dei media digitali. Di conseguenza, l’istruzione, a partire dalle scuole elementari, dovrebbe essere il primo passo per educare i bambini e i ragazzi alla gestione delle emozioni e all’uso consapevole delle tecnologie. L’educazione affettiva e digitale dovrebbe diventare una parte fondamentale del curriculum scolastico».

Come dovrebbero intervenire le istituzioni per combattere questi fenomeni?

«Le istituzioni, in particolare le scuole, devono avere un ruolo cruciale nell’educazione digitale e affettiva. Insegnare ai giovani a riconoscere i bias nei social media e a gestire le proprie emozioni è essenziale per affrontare le sfide legate all’immagine corporea e al conformismo. È importante educare anche i genitori, che spesso non hanno competenze digitali sufficienti per aiutare i figli. Le istituzioni devono fornire risorse e formazione per sviluppare queste competenze. È fondamentale non solo proteggere i giovani dai contenuti dannosi, ma anche insegnare loro come navigare consapevolmente nel mondo digitale».

Qual è il rischio di un controllo troppo severo da parte dei genitori e delle istituzioni sui giovani?

«Il controllo eccessivo, come il divieto di accesso ai social media o punizioni troppo severe, ha spesso un “effetto rebound”, cioè può portare i giovani a cercare di eludere le restrizioni o a rifiutare l’autorità. Il rischio di questo approccio è che, invece di insegnare ai ragazzi come comportarsi in modo responsabile sui social media, si finisce per alimentare il desiderio di trasgredire e sperimentare senza consapevolezza. È più utile un approccio educativo che insegni ai giovani a gestire le proprie emozioni, riconoscere i pericoli e utilizzare consapevolmente i social media».

Qual è l’importanza di un’educazione affettiva e digitale sin dalle scuole elementari?

Bambini con uno smartphone – Shutterstock

«Un’educazione affettiva e digitale è fondamentale per aiutare i giovani a sviluppare competenze emotive e sociali che li preparino a fronteggiare le sfide dei social media e della società. Insegnare la gestione delle emozioni sin dalle prime fasi scolastiche è essenziale per prevenire il conformismo, il bullismo, e i disturbi legati all’immagine corporea. Solo se i giovani acquisiscono una solida educazione emotiva e digitale, saranno in grado di navigare con consapevolezza e responsabilità nel mondo online e di riconoscere le influenze negative».

I social media sono una risorsa straordinaria ma anche una grande fonte di pericoli, soprattutto quando non sono utilizzati in modo consapevole. Come si evince dalle parole della dottoressa Bettinsoli, le istituzioni e le scuole devono giocare un ruolo attivo nell’educare i giovani all’uso responsabile delle tecnologie, non solo per prevenire danni diretti, ma anche per sviluppare una maggiore consapevolezza critica. Se non si interviene per migliorare l’educazione e la gestione delle emozioni, il fenomeno della mercificazione di sé e la pressione sociale continueranno a crescere, con conseguenze devastanti sulla salute mentale.

La chiave è un’educazione che aiuti i giovani a comprendere come funzionano i social media e a sviluppare competenze emotive. Le istituzioni devono coinvolgere attivamente le scuole e i genitori per offrire ai ragazzi gli strumenti necessari a navigare nel mondo digitale in modo sano. In questo modo, si possono evitare fenomeni negativi come la distorsione dell’immagine corporea, il conformismo sociale e l’uso dannoso delle tecnologie. 

Senza un cambiamento educativo e culturale, i rischi continueranno a crescere.

di: Giulia GUIDI

(foto ANSA/SHUTTERSTOCK/BETTINSOLI)