Ricorre nel 2022 il 50esimo anniversario della Domenica di Sangue. Com’è cambiata l’Irlanda del Nord da allora alla vittoria storica della sinistra

Per la prima volta in 101 anni di storia, l’Irlanda del Nord ha scelto i separatisti. La storica vittoria alle elezioni politiche del 2022 del partito di sinistra Sinn Féin ha segnato un risvolto senza precedenti negli equilibri del Paese: non solo perché si tratta della prima formazione nazionalista ad avere la maggioranza nell’Assemblea nordirlandese ma anche perché questo risultato segna la sconfitta del Democratic Unionist Party, il partito più votato nel Paese negli ultimi 20 anni. Sinn Féin, realtà nazionalista di ispirazione cattolica, ha ottenuto il 29% dei voti contro il 21,3% del DUP e con 88 seggi scrutinati su 90 ha raggiunto quota 27 contro i 24 accreditati finora al partito rivale.

Per capire la portata dell’evento bisogna fare un passo indietro. Sinn Féin, in gaelico “noi stessi“, è un partito che è stato a lungo legato al gruppo paramilitare cattolico IRA, Irish Republican Army, e che in passato ha fatto della riunificazione dell’Irlanda il suo cavallo di battaglia. Nel corso del tempo si è modernizzato e l’ultima campagna elettorale è stata improntata su tematiche socialiste come la disoccupazione, la sanità e la questione abitativa, che probabilmente gli sono valse la vittoria; adesso, benché per tornare a parlare di unificazione sia necessario richiamare gli elettori alle urne, la presidente del partito Mary Lou McDonald ha dichiarato che la pianificazione di un qualunque referendum sull’unità potrebbe avvenire già entro i prossimi cinque anni.

Questo risultato così sorprendente, almeno da un punto di vista storico, si ottiene proprio nell’anno in cui ricorre il 50esimo anniversario del Bloody Sunday, la Domenica di Sangue di Derry del 1972, quando i militari britannici spararono su una manifestazione pacifica uccidendo 14 persone.

«Quello che accadde quel giorno a Derry cambiò radicalmente il corso degli eventi, trasformando una protesta pacifica in una rivolta armata. Fino ad allora, la minoranza cattolica aveva creduto che lo Stato dell’Irlanda del Nord fosse riformabile, e si era impegnata con manifestazioni e proteste pacifiche per far cessare le discriminazioni. Ma nelle settimane successive al massacro centinaia di giovani irlandesi si convinsero che protestare pacificamente non serviva a niente, se non a rischiare di essere ammazzati, e andarono a ingrossare le file dell’IRA», ha spiegato lo storico irlandese John Dorney. La Domenica di Sangue fu una sorta di spartiacque nella storia dell’Irlanda del Nord e segnò l’ascesa dell’IRA: buona parte degli irlandesi repubblicani si radicalizzarono e scelsero di arruolarsi tra le fila delle organizzazioni paramilitari, alimentando così un conflitto destinato a durare 30 anni e a logorare le comunità tanto cattoliche quanto protestanti.

I disordini che avrebbero portato al massacro cominciarono nell’ottobre del 1968. Sul trono d’Inghilterra sedeva già Elisabetta II e l’Irlanda era un Paese diviso tra due identità, due religioni, due Governi. Per lungo tempo era stata una colonia inglese e ancora nel 1919 il Regno Unito controllava l’Isola nella sua interezza. Nel gennaio di quell’anno scoppiò la guerra d’indipendenza che durò due anni e mezzo e portò alla stipula del trattato anglo-irlandese. Il 6 dicembre 1921 fu istituito lo Stato Libero d’Irlanda, eretto con dominio indipendente su 26 delle 32 contee dell’Isola; invece le 6 contee della provincia dell’Ulster, che erano a maggioranza protestante e fedeli alla Corona, rimasero sotto la sovranità del Regno Unito e presero il nome di Irlanda del Nord. Nel secondo dopoguerra lo Stato Libero d’Irlanda divenne Repubblica d’Irlanda, e tagliò qualunque legame, anche formale, con il Regno Unito.

Una pace di questo tipo può essere solamente fittizia: il fatto che i territori fossero stati divisi geograficamente non significava certo che si potessero dividere perfettamente culture e società. Nel periodo compreso tra il 1921 e il 1968, in Irlanda del Nord vigeva il Government of Ireland Act, secondo il quale le questioni interne dovevano essere gestite dal Parlamento di Belfast, sempre a maggioranza protestante, mentre da Westminster continuava il controllo della politica estera e della gestione dei tributi. La chiave di lettura della guerra civile irlandese non è unicamente religiosa. La popolazione cattolica era fortemente discriminata: non veniva rappresentata politicamente, non aveva le stesse possibilità di accesso a servizi sociali e impiego pubblico, inoltre i distretti elettorali erano modellati in modo tale da assicurare che il controllo dei consigli cittadini rimanesse nelle mani dei protestanti. In altre parole, gli irlandesi erano poveri e si sentivano stranieri in casa propria. Per quella parte di società, gli inglesi erano ancora invasori: erano gli unici cattolici su un’isola cattolica a vivere sotto gli anglicani perché erano i più poveri, i più svantaggiati, i meno istruiti.

Per denunciare le disparità tra le due comunità nordirlandesi cominciarono a nascere movimenti per i diritti civili: il Nicra e il People’s Democracy per citarne un paio. Questo clima di tensione si esacerbò e sfociò in una vera guerriglia urbana che, alla fine degli anni ’60, iniziò a infiammare anche la politica. Fu l’inizio dei Troubles, i disordini che videro scontrarsi da una parte i sostenitori del Regno Unito, gli unionisti, i protestanti o Loyalists; dall’altra i predicatori di un’Irlanda unita, i Nationalists o Republicans, irlandesi di vecchia data, cattolici o di nascita cattolica.

Nel 1970 il conflitto si intensificò, a causa anche dell’azione dell’IRA. L’organizzazione militare clandestina Irish Republican Army è nata nel primo decennio del ‘900 con il nome di Irish Volunteers, con il dichiarato obiettivo di “liberare l’Irlanda dal dominio inglese”. Dopo la divisione del 1921, l‘IRA costituì il braccio armato dell’opposizione cattolica repubblicana dell’Ulster, fautrice della riunificazione dell’intera isola, e condusse violente campagne militari nei decenni a seguire, con azioni terroristiche che giunsero fino in Gran Bretagna. All’inizio degli anni ’70 l’IRA si scisse in due organizzazioni distinte: la Official e quella radicale dei Provisional, che conquistò l’egemonia del movimento repubblicano nell’Ulster grazie anche al sempre maggior numero di consensi che riceveva dalla popolazione cattolica.

Gli scontri sconvolsero la vita civile. L’escalation di violenza portò a un braccio di ferro sempre più marcato tra inglesi e irlandesi. Il Governo britannico varò una nuova legge che consisteva nell’introduzione dell’internamento senza processo per chiunque venisse ritenuto simpatizzante dell’IRA. Le violenze contro la popolazione si intensificarono: a Belfast centinaia di edifici vennero dati alle fiamme e circa 1.500 famiglie cattoliche furono costrette ad abbandonare le loro abitazioni. A Derry sorsero barricate per proteggere il ghetto di Bogside. Proprio qui, sul muro di una casa comparve una scritta destinata a passare alla Storia: You are now entering Free Derry, per segnalare il punto d’accesso in quella che da quel momento in poi sarebbe stata conosciuta come “la zona libera” di Derry. Uno slogan di sfida che esprimeva lo spirito di resistenza della popolazione. La situazione era talmente grave che il Governo di Londra chiese l’intervento dell’esercito per ristabilire l’ordine.

Quella domenica 30 gennaio 1972 c’erano migliaia di persone, scese in strada tra le vie di Derry, per protestare reclamando uguaglianza e pari dignità sul lavoro, il diritto alla casa e la fine del voto per censo. Quando, intorno alle quattro del pomeriggio, i manifestanti raggiunsero il ghetto cattolico di Bogside, un reggimento speciale di paracadutisti inglesi armato con mitragliatrici pesanti e comandato dal Colonnello Wilford, che aveva l’ordine di disperdere la folla, cominciò a sparare senza preavviso sui manifestanti. Le motivazioni non sono mai state rese note: 13 uomini rimasero uccisi sotto quell’inferno di fuoco che durò circa un quarto d’ora; 8 di loro avevano un’età compresa tra i 17 e i 20 anni. La 14esima vittima morì qualche mese dopo per via delle ferite riportate.

La dinamica degli eventi di Derry fu chiarita immediatamente: c’erano centinaia di prove, perizie balistiche e testimonianze. Fu da subito evidente che i soldati inglesi avessero sparato su civili inermi, eppure il Governo britannico, alla cui guida in quel momento c’era la Lady di Ferro, Margaret Thatcher, riuscì lo stesso a far credere che i paracadutisti avessero risposto al fuoco e che le vittime non fossero protestanti innocenti ma criminali legati all’IRA. Venne avviata un’inchiesta che si concluse pochi giorni dopo in tutta fretta e che scagionò l’operato dei militari. Il Bloody Sunday fu un punto di non ritorno e ci vollero oltre 40 anni perché il Governo britannico ammettesse l’errore e riconoscesse le proprie colpe.

Nel 1998 l’Inghilterra aprì una seconda inchiesta, la “Saville Inquiry”. Il primo ministro David Cameron presentò le conclusioni del rapporto: una condanna senza alcuna giustificazione sulla condotta dell’esercito. «Sono patriottico e non voglio mai credere a niente di cattivo sul nostro Paese, ma le conclusioni di questo rapporto sono prive di equivoci: ciò che è successo quel fatidico giorno è stato ingiusto e ingiustificabile. È stato sbagliato», ha concluso Cameron.

Il 10 aprile 1998 dopo lunghi negoziati Londra, Dublino e i leader nordirlandesi lealisti e separatisti firmarono a Belfast un accordo di pace, accettato dall‘IRA. L’Accordo del Venerdì Santo stabilì una condivisione del potere tra cattolici e protestanti eletti in istituzioni semi-autonome. Per arrivare a questo risultato dovettero morire oltre tremila persone nel corso di circa 30 anni di combattimenti. Un accordo sofferto, costruito su tante vite innocenti, eppure mai come oggi disperatamente fragile: l’Irlanda del Nord è, volente o nolente, l’ultimo solido ponte di una Gran Bretagna lacerata dalla Brexit con l’Unione Europea.

BOX – La Scozia e il sogno dell’indipendenza

L’Irlanda del Nord non è l’unica parte del Regno Unito a sognare l’indipendenza. Il Governo della Scozia ha annunciato che chiederà un nuovo referendum per la scissione entro la fine del 2023. Un passo che segue il trionfo alle elezioni della prima ministra Nicola Sturgeon, leader del Partito nazionale scozzese, formazione storica degli indipendentisti. La Brexit ha fornito, anche in questo caso, un ottimo strumento per perseguire l’obiettivo: lo scontento provocato dalla scissione, unitamente alle conseguenze del Covid, all’operato di Boris Johnson e ai recenti scandali, ha acuito il desiderio di indipendenza degli scozzesi, che nel 2014 hanno scelto per il 55% di rimanere parte dell’UK.

BOX – Stakeknife, la talpa italiana che passò 30 anni nell’IRA

La storia racconta che fosse tanto scaltro quanto spietato, in grado di vivere a cavallo tra due eserciti senza regole, nell’occhio del ciclone di una battaglia fratricida. Lo chiamavano Stakeknife ma all’anagrafe era Alfredo Scappaticci, un italiano divenuto l’agente segreto numero uno della Corona britannica in Irlanda del Nord durante i Troubles. Stakeknife, letteralmente coltello che sventra, era figlio di immigrati sbarcati a Belfast in cerca di fortuna: da ragazzo si infiltrò nell’Esercito repubblicano irlandese e risalì la gerarchia fino ai massimi vertici, a quanto sembra per fare il doppio gioco. Scappaticci era uno 007 della Corona inglese, impegnato a fornire informazioni all’esercito britannico su uomini, azioni e nascondigli dell’IRA. I servizi segreti lo definivano “il gioiello della corona” e il suo nome è stato venduto alla stampa da un informatore nel 2003. Da quel momento Scappaticci, che secondo quanto ricostruito avrebbe partecipato a oltre 40 omicidi, avrebbe lasciato Belfast per trasferirsi in un luogo sicuro in Inghilterra. Ma da quale parte stesse realmente, a chi andassero la sua lealtà e i suoi servigi, rimane ancora oggi un mistero.