Per i Referendum di inizio giugno si torna a sperimentare la possibilità di voto per le persone che vivono fuori sede. Se il tetto di cristallo è stato rotto, c’è comunque ancora da fare
Il 13 marzo è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il decreto Elezioni introducendo la possibilità di voto per le persone fuori sede. Si tratta di una sperimentazione, simile a quella avvenuta per le elezioni Europee, in vigore solo per i Referendum dell’8 e 9 giugno 2025.
Ne abbiamo parlato con Thomas Osborn, fondatore del comitato Voto Dove Vivo.
Qual è stato il percorso per rendere possibile il voto fuori sede?
«La battaglia ha radici lontane, già dal 2018 si è iniziato a parlare di questa esigenza, di questo diritto mancante. Così, quell’anno, io e altre persone abbiamo fondato il comitato Voto Dove Vivo, un comitato apartitico, nel senso non affidato a nessun partito, ma che si indirizza molto alla politica, ai partiti e alle istituzioni per far sì che ci sia anche Italia una legge per il riconoscimento del diritto di voto delle persone fuori sede. Fin da subito abbiamo deciso di lavorare a una proposta di legge, con un testo depositato in Parlamento inizialmente firmato solo da cinque parlamentari. Sapevamo di aver bisogno anche di una presa di coscienza collettiva, quindi abbiamo iniziato una serie di azioni con conferenze e facendo aderire diverse realtà lungo tutto lo Stivale. Tre giorni prima della votazione in Aula, però, cade il governo Draghi e ci troviamo a ricominciare tutto da capo. Abbiamo comunque raccolto i frutti del lavoro che avevamo portato avanti e il nostro testo è supportato da tutte le forze di opposizione e ci auguriamo possa essere il testo di tutto il Parlamento».
La prima sperimentazione è avvenuta per le Europee…
«Sì, a giugno dello scorso anno, per la prima volta nella storia di questo Paese, è stata introdotta una modalità sperimentale che ha permesso il voto fuori sede, seppur con delle limitazioni importanti. Abbiamo rotto il tetto di cristallo, ma dal nostro punto di vista diversi limiti imposti hanno disincentivato o reso comunque complessa l’operazione: le tempistiche, le modalità e soprattutto l’esclusione di lavoratrici e lavoratori. In Italia le persone fuori sede sono cinque milioni, di queste oltre quattro milioni, secondo i dati Istat, sono lavoratori. Soprattutto per questo quindi la risposta per il voto alle Europee è stata limitata. Inoltre, era necessaria tutta la documentazione cartacea e veniva richiesta la tessera elettorale originale. Insomma, è stato importante, ma migliorabile».
Come si arriva dunque al voto per questi Referendum?
«Dopo le Europee siamo tornati a chiedere che venisse approvata la nostra legge. Dopo un passaggio alla Camera adesso è in Senato, ferma, da 22 mesi. Una volta ufficializzata la data di questi Referendum siamo tornati immediatamente alla carica. Con realismo politico abbiamo chiesto che si procedesse con un nuovo decreto Elezioni, dati i tempi ristretti, grazie all’appoggio di CGIL e del Comitato Referendum Cittadinanza che si sono uniti alla nostra campagna per chiedere la possibilità di voto fuori sede senza la discriminazione per i lavoratori. Abbiamo aggiunto anche altri correttivi, come il fatto che la domanda si debba fare al Comune in cui si è fuori sede e non quello di residenza, o di includere anche quanti vivono in una provincia diversa (per le Europee erano considerati fuori sede solo quanti vivessero in una Regione diversa). Rimane lo scoglio della tessera elettorale, ma contiamo sul fatto che una volta diventata una prassi, quella del voto fuori sede, la persona si ricordi di metterla tra le cose del trasloco e l’abbia con sé».
Questa è la storia fino all’8 e 9 giugno. Dal 10 giugno invece? Cosa succederà?
«Tanto dipenderà dalla risposta, ma che sembra essere molto positiva. Peraltro per dei Referendum che non interessano nemmeno tutta la popolazione, quindi è un segnale importante che necessita di una risposta definitiva e di una stabilizzazione. Perché a oggi quello che succederà il 10 giugno è che l’Italia tornerà a essere un Paese in cui non esiste il voto fuori sede, in cui verrà disatteso il principio costituzionale che impone che lo Stato rimuova ostacoli e barriere, economiche e di altra natura, per l’accesso al voto. Per questi principi fondamentali del nostro ordinamento chiediamo che venga approvata al più presto la nostra proposta. Inoltre queste sperimentazioni sono state realizzate da questo governo, quindi non dovrebbe esserci alcuna contrarietà politica a una legge definitiva».
Quella del voto per le persone fuori sede è quindi una conquista importante, soprattutto pensando all’estensione della platea per i lavoratori dato che quattro dei cinque quesiti referendari sono intorno al lavoro.
Una conquista però, per essere veramente tale, deve essere definitiva.