I casi di malessere salgono ma rivolgersi a uno specialista è ancora considerato un lusso. Lo psicologo di base potrebbe essere una soluzione

Il 9 marzo del 2020 l’allora primo ministro italiano Giuseppe Conte annuncia e firma il cosiddetto provvedimento “io resto a casa” dando inizio a un susseguirsi di lockdown, regole, restrizioni e provvedimenti che si diffonderanno, poi, a macchia d’olio nel mondo per contenere la pandemia da Covid-19. Dopo mesi di tensione geopolitica, il 24 febbraio 2022 le forze armate russe attaccano i territori ucraini: il conflitto si apre alle porte dell’Europa. Nell’aprile del 2021 il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, presenta il rapporto United in Science 2021 e afferma: «lo sconvolgimento del nostro clima e del nostro pianeta è già peggiore di quanto pensassimo e si sta muovendo più velocemente del previsto». Nel mese di giugno del 2022 l’indice Nic – l’indice italiano dei prezzi al consumo per l’intera collettività – tocca il suo massimo storico dal 1986, l’inflazione galoppa mentre i costi dell’energia e delle materie prime in tutto il mondo toccano cifre proibitive.

Senza entrare nel merito di ognuno, questi eventi, esemplificativi ma non di certo isolati, hanno contribuito negli ultimi anni a creare un ampio scenario di stress collettivo che è andato ad aggiungersi agli eventi più o meno traumatici e stressanti che ogni individuo si trova ad affrontare nel corso della propria vita: disagi familiari e relazionali, pressione sociale, difficoltà di integrazione, un fallimento – o quello che la società considera tale -, un licenziamento, l’insorgere di una malattia, e la lista potrebbe continuare all’infinito. La vittima prediletta di questo mix esplosivo, eventi individuali e globali, è il benessere psicologico della popolazione, messa a dura prova, costretta a vivere in uno stato di tensione perenne, preoccupazione per il presente e il futuro, nonché disagio causato dalle difficoltà quotidiane. A livello globale, secondo il World mental health report: transforming mental health for all dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra il 2019 e il 2020 i disturbi d’ansia e i sintomi depressivi sono aumentati rispettivamente del 26% (da 298 milioni di individui a 374 milioni) e del 28% (da 193 milioni a 246 milioni di persone nel mondo). Una fotografia che, alla luce degli ultimi accadimenti, può solo essersi ingrigita.

Il tema della salute mentale non può più essere ignorato. Guardando all’Italia, da una parte la popolazione comincia a mostrare sempre più consapevolezza sull’argomento, dall’altra anche le istituzioni sembrano muovere i primi passi in tal senso: nell’ultima Legge di Bilancio, un esempio su tutti, è stato introdotto il cosiddetto Bonus Psicologo, una manovra pensata per permettere anche a chi non ha disponibilità economica di accedere a un percorso di psicoterapia. La via verso l’approvazione, tuttavia, non è stata priva di inciampi, senza contare che per gli esperti e gli operatori del settore l’iniziativa deve essere seguita da riforme più profonde e sistematiche.

Abbiamo tentato di ricostruire quello che è il panorama generale sul tema della salute mentale in Italia nel momento dell’ingresso del Bonus con l’aiuto della Dott.ssa Mara Donatella Fiaschi, presidente dell’Ordine Psicologhe e Psicologi Ligure. Alla base della manovra c’è sicuramente la presa di coscienza su quella che è stata l’influenza negativa della pandemia sugli italiani in termini di stress e difficoltà, ma non bisogna dimenticare che prima di quel marzo 2020 i segnali di malessere esistevano già. «Siamo di fronte ad una vera e propria psicopandemia che non è una fantasia degli psicologi ma è purtroppo una realtà tangibile – ci ha confermato la Dott.ssa Fiaschi. – Negli ultimi anni la pandemia ha senz’altro esacerbato un malessere che già intercettavamo da tempo nei servizi pubblici e negli studi privati. I dati parlano chiaro: sono aumentate le richieste di aiuto nel privato del 39% e anche nel pubblico. Secondo uno studio condotto dall’Ordine Nazionale, nell’ultimo anno 8 persone su 10 hanno sviluppato problemi di malessere psicologico sotto forma di disturbi dell’adattamento e due su 10 veri e propri disturbi mentali». Ai dati del post-pandemia si aggiungono i dati relativi alle difficoltà finanziarie e ai conflitti. Come ci conferma l’esperta, infatti, “secondo il recente sondaggio dell’Istituto Piepoli realizzato per il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, a stressare maggiormente gli italiani sono i problemi legati alla crisi economica e all’inflazione. Le preoccupazioni per la guerra tra Russia e Ucraina passano in secondo piano rispetto a quelle legate al rapido aumento dei prezzi dei beni di consumo. Inflazione e crisi economica generano ansia nel 35% del campione mentre il 33% è stressato dallo scontro bellico e teme un conflitto mondiale. Dunque, i fattori scatenanti cambiano ma il disagio psicologico resta alto: sono eventi destinati a creare un’onda lunga di disagio e di disturbi psicologici che durerà parecchio e che interesserà quote importanti della popolazione”.

Le categorie più coinvolte nell’aumento dei casi sono, secondo gli studi, le donne e i giovani e giovanissimi. Guardando a questi ultimi, uno studio realizzato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) ha rilevato che “mentre in media la risposta della popolazione italiana depone per una buona resilienza di fronte allo stress generato dalla pandemia, un più severo peggioramento, rispetto agli anni precedenti, è stato osservato in alcune categorie demografiche, ed in particolare nei giovani, 18-34 anni”. «Una meta-analisi pubblicata su Jama Pediatrics su 29 studi condotti su oltre 80 mila giovani ha evidenziato che sono a rischio i ragazzi più grandi che hanno risentito delle restrizioni e della mancanza di socialità così importante per il loro sviluppo – sottolinea la presidente dell’Ordine Psicologhe e Psicologi Ligure. – Lo studio ha inoltre evidenziato che soffrire di depressione durante l’infanzia e l’adolescenza si associa da adulti ad una salute peggiore non solo mentale e a maggiori difficoltà sul piano relazionale e della vita in generale. Dallo studio nazionale è la fascia tra i 18 e 24 anni ad avere maggiore bisogno pari al 36 %, mentre quella sotto i 18 anni ha un incremento del 31%. Il disagio adolescenziale dipende moltissimo dall’assenza di prospettive future. Il dolore deriva dalla sensazione di non poter realizzare i propri compiti evolutivi, di non riuscire a costruirsi una propria identità, di non intravedere la possibilità di realizzazione di sé nella società di cui si fa parte». Un futuro messo pericolosamente a rischio da conflitti, crisi economica e climatica.

Volendo andare ad analizzare anche il rovescio della medaglia, la pandemia ha fatto sì che aumentasse il livello di consapevolezza della popolazione sull’importanza della salute mentale. Tanto è vero che lo scorso dicembre, quando il Governo ha deciso di escludere dalla Legge di Bilancio la prima versione del Bonus Psicologo – una manovra da 50 milioni di euro divisa in due parti, un bonus avviamento e un bonus sostegno – una petizione lanciata il 4 gennaio su Change.org per reintrodurre l’aiuto ha ricevuto in poco tempo ben 324.087 firme.

Lo scorso luglio, durante la presentazione alla Camera dei deputati di un’indagine svolta dalla Fondazione Soleterra, è emerso che la salute mentale viene ritenuta molto o abbastanza utile dal 75% degli italiani, ma il 22% afferma di non usufruire di un servizio di psicoterapia a causa dei costi. Il 25% ha ammesso che la pandemia ha avuto un effetto negativo sulla propria salute mentale, giudicata cattiva o pessima dal 12% degli italiani.

A contribuire a questa maggiore presa di coscienza è stato un progressivo scardinamento dei tabù che fino a poco tempo avvolgevano l’ambito della psicologia. «La pandemia sta accelerando un cambiamento culturale e sociale che è in atto da qualche anno: la de-stigmatizzazione del riconoscimento che soffrire di un problema/disturbo psicologico e il potersi rivolgere ad uno psicologo non è un segno di debolezza di cui vergognarsi, ma un punto di consapevolezza che porta a riconoscere che nel corso del proprio ciclo di vita si possono attraversare difficoltà/impasse che possono necessitare di un aiuto professionale» – ci spiega la Dott.ssa Fiaschi.

Tra i fattori che negli anni hanno giocato un ruolo determinante nel creare questo tabù si segnalano, oltre alla vergogna nell’ammettere di avere bisogno di aiuto in virtù di una cultura basata sul nascondere le proprie debolezze e “farcela da soli”, il riconoscimento legale specifico della professione di psicologo avvenuto “solo” nel 1989 con la legge numero 56, insieme al dispendio economico che ha portato a considerare la psicologia come un bene di lusso e una generale disinformazione, soprattutto tra le fasce della popolazione con un livello di istruzione medio-basso. 

Il cambiamento in positivo, in un contesto ancora più ampio, è provato anche da un sondaggio Ipsos condotto in 30 Paesi in occasione del World Mental Health Day, che si celebra il 10 ottobre, secondo il quale salute fisica e mentale vengono messe sullo stesso livello di importanza dal 79% degli intervistati ma solo il 35% ritiene che il servizio sanitario pubblico del proprio Paese le tratti con uguale importanza e priorità, nel Belpaese questa percentuale sale al 43%. In Italia, ancora, il 51% degli intervistati dichiara di pensare al proprio benessere mentale, contro il 72% di chi pensa al proprio benessere fisico. Non per tutti, tuttavia, è uguale: a livello internazionale sono le donne e i giovani a soffermarsi di più su questo aspetto della propria vita: il 58% delle donne contro il 48% degli uomini, il 61% degli under 35 contro il 42% degli over 50.

Lungi dall’influenzare solo il singolo, i malesseri psicologici influiscono fortemente anche sulla società, sul mondo del lavoro e sull’economia. Tra i sintomi più denunciati, come abbiamo visto, ci sono, infatti, stress, ansia, difficoltà a concentrarsi, fino a episodi di burnout che spesso si traducono in giorni di attività persi, con conseguente perdita economica. Per quanto riguarda i più giovani, come ci fa notare la Dott.ssa Fiaschi, “gli psicologi dei Servizi territoriali segnalano ritiro sociale, un aumento di tentati suicidi, di disturbi del comportamento alimentare, abuso di sostanze stupefacenti, alcool, dipendenza da internet, cyberbullismo” oltre che, in ambito scolastico, “un aumento di atti di autolesionismo, difficoltà di concentrazione, di attenzione e demotivazione allo studio con fenomeni di dispersione scolastica”.

Si viene così al nodo: il Bonus Psicologo, inserito poi escluso poi chiesto a gran voce e quindi concesso, per quanto apprezzato, potrà contribuire al miglioramento di questo quadro? Gli esperti concordano nell’affermare che è sì un punto di partenza ma non di arrivo. Anzi, il consenso generale dei possibili fruitori mostra come ci sia bisogno di politiche che rendano le cure psicologiche e psicoterapeutiche più sistematiche e accessibili. «Il Bonus è stato proposto perché il 27% delle persone che vorrebbero rivolgersi a uno psicologo non se lo possono permettere e il 21% ha interrotto il suo percorso per motivi economici. Lo stesso, però, non potrà certo risolvere i problemi del disagio psicologico né potrà essere alternativo al potenziamento dei servizi quanto un aiuto immediato in attesa della messa a sistema delle cure psicologiche all’interno dei servizi sanitari che richiedono tempo – spiega la Dott.ssa Fiaschi. – Attualmente, infatti, il Paese non dispone di una rete di competenze in grado di agire nella scuola, nella sanità, nel welfare per fare prevenzione e promozione delle risorse psicologiche adattive e per intercettare le forme di disagio in modo precoce ed efficace. Un passo fondamentale per far sì che la salute mentale riceva sempre più attenzioni sarebbe l’istituzione dello psicologo di base. Già da qualche anno si parla di istituire dei servizi di psicologia di base, presidi di prossimità vicini alle persone dove il cittadino si può rivolgere ad un professionista psicologo come si rivolge al medico di medicina generale e al pediatra di libera scelta. Si tratta di servizi utili ad intercettare il disagio prima che si trasformi in disturbo conclamato e dove i disagi e disturbi possano trovare una risposta che necessita solo in pochi casi di una presa in carico più strutturata a medio e lungo termine detta di secondo livello».

Per rispondere a un disagio crescente e a una sempre maggiore richiesta di aiuto, ben prima che fossero le istituzioni statali a rispondere, diverse realtà hanno lanciato numerose iniziative per rendere la cura psicologica tanto attenzionata quanto quella del corpo. Per portarne un esempio, la Dott.ssa Fiaschi ci racconta di un progetto pilota denominato Benessere psicologico e oltre finanziato dal MI.S.E. (Ministero Sviluppo Economico) e svolto in collaborazione con Regione Liguria, l’Associazione dei consumatori e l’Università di Genova. 10 psicologi liguri hanno offerto un servizio di consulenza psicologica a 200 adulti, mentre un monitoraggio successivo sugli esiti ha dimostrato un aumentato benessere generale di chi ne aveva usufruito.

La genesi e lo scopo di questo progetto, al pari di altri simili e dissimili, aiuta a dimostrare ben più delle statistiche che lo Stato deve tendere una mano a chi invoca aiuto, insegnare ai suoi cittadini a sviluppare e preservare la resilienza psicologica, quella che Boris Cyrlunik, lo psicoanalista ebreo-russo sopravvissuto ai campi di sterminio, definisce la “capacità di superare le avversità della vita e continuare a rimanere in piedi”.