L’eterno ritorno della tradizione e della modernità nella 72esima edizione del Festival

Correva l’anno 1995 e dalla televisione faceva capolino un motivo musicale destinato a incollarsi alle orecchie e alla memoria dei telespettatori, “Perché Sanremo è Sanremo”. Era la sigla della 45esima edizione del Festival rivierasco, un rap melodico scritto dal Direttore d’orchestra Pippo Caruso e interpretato da Maurizio Lauzi, figlio dell’indimenticato Bruno. Certo, negli anni il jingle è stato riarrangiato e reinterpretato, ma ha fatto il suo esordio in quella che è stata ricordata come una delle edizioni da record della kermesse, a partire dai brani in gara. Quell’anno a vincere nella categoria “Campioni” fu Giorgia con Come saprei, nella sezione “Nuove Proposte” si imposero i Neri per caso con Le ragazze; tra le altre canzoni in gara c’erano successi come Con te partirò di Andrea Bocelli e Gente come noi di Ivana Spagna. Anche i dati Auditel registrarono il boom, segnando il 66, 42% di share.

Record battuto in parte dalla serata finale di quest’anno, che ha raggiunto l’apice con la proclamazione dei vincitori Mahmood & Blanco, toccando il 73,4% di share. Un Festival di Sanremo “da guinness” grazie anche alla pervasività dei social e alla “voglia di normalità” che ha caratterizzato la rassegna musicale.

Sì, perché, volente o nolente, Sanremo rimane l’evento televisivo e musicale più importante del palinsesto nazionale, con un impatto mediatico, culturale, popolare (e pop) difficile da eguagliare, nonostante e in parte anche grazie alle polemiche che inevitabilmente una macchina così grande si porta dietro.

Polemiche, o per meglio dire “casi mediatici” cominciati ancor prima dell’inizio ufficiale, come l’incertezza sulla presenza di Fiorello, che alla fine si è presentato, non mancando di farlo pesare simpaticamente all’amico “Ama” nel corso degli ormai consolidati siparietti. O come dimenticare il Vessicchio-gate: il Verbo della musica leggera in televisione rischiava di non partecipare a causa del Covid, contratto a ridosso della kermesse. Alla fine, si è negativizzato e ha onorato tutti della sua presenza. Criticato, poi, a inizio d’opera, lo sketch di Checco Zalone sulla transfobia, cui ha fatto seguito un lungo dibattito.

Questo Amadeus-ter si è aperto subito con un buon ritmo, con serate ridotte e serrate, che hanno visto avvicendarsi rapidamente le esibizioni dei cantanti in gara a quelle dei super ospiti. Si comincia con il botto e con un ritorno a casa: i guest della prima puntata sono i Måneskin,reduci dalla vittoria dello scorso anno con Zitti e buoni. La band capitolina arriva accompagnata dal Direttore artistico in veste di autista e appena mette piede sul palco fa alzare tutti proprio con il brano presentato l’anno precedente ed è subito standing ovation. Nella seconda serata arriva Laura Pausini, che a 28 anni di distanza dal suo esordio al teatro Ariston (era il 1993 quando vinse la sezione “Nuove Proposte” con La Solitudine) annuncia il nuovo ruolo di conduttrice, insieme a Mika e ad Alessandro Cattelan, dell’Eurovision Song Contest, manifestazione che approderà a maggio a Torino proprio grazie alla vittoria dei Måneskin. Un altro cerchio che si chiude, insomma, come quello aperto 22 anni fa dalla mancata partecipazione dei Lùnapop e chiusosi con Cesare Cremoninisuper ospite della terza serata. Il cantautore bolognese canta 50 Special e il pubblico si scatena. Forse è giusto così.

Cerchi perfetti che disegnano ritorni: ritorno alla musica live, al pubblico in studio, alle vecchie glorie della musica italiana in gara, fianco a fianco con la Gen Z e gli esponenti del cantautorato e del sottobosco pop contemporaneo. Una voglia di leggerezza rispecchiata anche nei temi dei brani presentati. In fondo, Sanremo è Sanremo, quindi a farla da padrone è stato l’amore in tutte le sue sfaccettature.

E a proposito di ritorni, Iva Zanicchi torna al Festival con Voglio Amarti, la più classica delle canzoni d’amore all’italiana nel testo e nell’arrangiamento, caratterizzata dalla sua vocalità potente. L’impeto e la freschezza del sentimento sono protagonisti dei pezzi dei giovanissimi come Perfetta così di Aka7even e Farfalle di Sangiovanni.Hanno raccontato vicende di cuore anche due “giovani veterani” della manifestazione: Fabrizio Moro con la ballad Sei Tu e Noemi con Ti amo ma non lo so dire, che tra gli autori vede anche Mahmood, ormai proiettato ad occupare il posto di Re Mida dell’urban pop. Punti di vista diversi arrivano dal duo Highsnob e Hu, che in Abbi cura di te tratta di una storia al capolinea tra quotidianità e citazioni bibliche, e da Giovanni Truppi che con la sua Tuo padre, mia madre, Lucia affronta con delicatezza e realismo le problematiche di un amore maturo. Ci sono stati, però, alcuni brani che hanno fatto velati riferimenti alla situazione attuale e alla pandemia come la dance-funk apocalittica di Ciao Ciao de La Rappresentante di Lista e la cassa dritta di Dove si balla di Dargen D’Amico.

Rentrée, revival e incontri generazionali nella stessa struttura della competizione, che non prevede più la distinzione tra “Campioni” e “Nuove Proposte”, e che trova il suo apogeo nella serata delle cover e dei duetti, dedicata alla rivisitazione di brani iconici che hanno caratterizzato il panorama musicale dagli anni Sessanta agli anni Novanta. Indimenticabile Achille Lauro che si inginocchia per rendere omaggio a Loredana Bertè, intensi e incisivi Truppi e Vinicio Capossela nella loro interpretazione de Nella mia ora di libertà, pietra miliare di Fabrizio De André, classici Matteo Romano e Malika Ayane con Your Song di Elton John. Vince Gianni Morandi con un medley dei suoi più grandi successi performato insieme a Jovanotti.

Una sintesi tra classicità e modernità che sta tutta nel podio. La vittoria dei giovani raffinati ed energici Mahmood & Blanco con Brividi, il secondo posto di Elisa con O forse sei tu e la medaglia di bronzo a Apri tutte le porte di Gianni Morandi: una traiettoria che attraversa passato, presente e futuro, e che sembra mettere tutti d’accordo. La tradizione ritorna a farsi sentire, prepotente, nei premi assegnati: il Premio della Critica è andato a Massimo Ranieri per Lettera di là dal mare, il Premio della Sala Stampa Lucio Dalla  a Morandi, mentre il Premio Sergio Bardotti per il Miglior Testo assegnato dalla commissione musicale a Fabrizio Moro. Il Premio Giancarlo Bigazzi per la Miglior Composizione musicale decretato dall’orchestra è stato vinto, invece, da Elisa. Una consuetudine musicale, artistica e culturale nei premi “che fanno rumore”, quelli più conosciuti. Ma c’è un ma. Il Premio Lunezia per Sanremo, assegnato al valore musical-letterario dei brani, se lo è aggiudicato Giovanni Truppi, al quale è stata consegnata anche la Targa MEI Artista Indipendente al Festival di Sanremo. Il cantautore napoletano si è piazzato 19esimo nella classifica finale e la sua canotta ha tenuto banco nelle discussioni intra ed extra festival, più della sua scrittura schietta ed evocativa.

Se da un punto di vista musicale c’è stato meno spazio per le proposte “alternative”, altre, che si discostano dai canoni e dai codici sanremesi, è anche vero che la kermesse ha proseguito nel tentativo di “svecchiamento”, di stare al passo con i tempi e includere tematiche sociali e politiche come il razzismo, la misoginia, il bullismo, l’inclusività e la fluidità. A cominciare dalle co-conduttrici: quattro personalità diverse che hanno provato a raccontare storie diverse, seppur con qualche pecca (forse non dovuta a loro ma a scelte autoriali). Ha fatto scalpore la sequela di nomi di grandi attori sciorinata da Ornella Muti, interprete del grande e del piccolo schermo che ha vinto numerosi premi, come, tra gli altri, la Targa d’Oro ai David di Donatello e tre Globi d’Oro come Miglior Attrice. Per non parlare del monologo di Lorena Cesarini: giusto e doveroso l’affrontare le conseguenze del razzismo, ma forse l’intervento non ha avuto i toni e la resa sperata. Plauso generale per la simpatia e la bravura di Maria Chiara Giannetta, soprattutto nello sketch con Maurizio Lastrico, e per la genuinità di Sabrina Ferilli. L’attrice romana nel suo “non monologo” ha parlato, pur senza parlarne, di femminismo e di condizione femminile senza retorica. Brillante la performance di Drusilla Foer: la nobildonna nata dalla mente dell’artista e regista teatrale Gianluca Gori ha conquistato tutti con la sua ironia, la sua arguzia, la sua eleganza e il suo pezzo sull’unicità, sull’importanza delle convinzioni che, però, non devono diventare convenzioni e chiuderci nella prigione dell’immobilità

Certo, Sanremo non è rimasto immobile in questi anni, si è aperto, ha percorso nuove strade, ma rimane sempre Sanremo. Sicuramente grazie all’impulso dei socialha acquistato un pubblico nuovo, composto anche di giovanissimi che seguono la rassegna a suon di memee hanno imparato ad apprezzare personaggi storici della canzone italiana come Orietta Berti, quest’anno più che mai regina assoluta grazie ai vaporosi e sbrilluccicanti outfit con cui ha illuminato la Costa Toscana, il primo palcoscenico galleggiante della storia del Festival che ha condiviso con Fabio Rovazzi (a proposito di incontri intergenerazionali).

Questo è stato il Festival che, giocoforza, ha puntato a celebrare la voglia di ritornare alla normalità, dopo un’edizione senza pubblico e posticipata di un mese. È stato il Festival della “normalizzazione”, della rassicurazione e della leggerezza. Una sorta di pacificazione che ha cercato di unire generazioni differenti. Ma è questa, in fondo, l’essenza di Sanremo: essere un rituale collettivo che incolla davanti alla TV (ma anche agli smartphone, ai pc, ai tablet) milioni di persone di diverse età, abitudini e gusti musicali. Proprio grazie ai social e al gioco del FantaSanremo, questa ritualità è stata amplificata e ha spinto al massimo il concetto di condivisione, rivelando la vera funzione della trasmissione: quella dell’essere un rito apotropaico con il quale si scacciano, per qualche sera, i malesseri e i pensieri negativi.

A officiare questo rito, l’anno prossimo, ci sarà ancora Amadeus?

Cos’è il FantaSanremo

Quest’anno il Festival è stato un tripudio di “Papalina” e “Ciao zia Mara”. Ma cosa significano queste parole? E perché i cantanti hanno pronunciato queste particolari espressioni sul palco? Niente di strano, è il FantaSanremo, il gioco online (e non solo) che ha coinvolto migliaia di spettatori, cresciuto a tal punto da ottenere quest’anno la sponsorizzazione di Sky Wifi. Si tratta – come suggerisce il nome – di un gioco simile al FantaCalcio in cui i giocatori possono comporre la propria squadra scegliendo cinque cantanti in gara, nominando un capitano. Ogni gamer ha a disposizione 100 baudi, la “moneta virtuale ufficiale”, ispirata a Pippo Baudo, il conduttore che detiene il record per il maggior numero di festival presentati, 13. Il meccanismo è molto semplice: vince chi alla fine della kermesse ottiene più punti. Punteggi che salgono e scendono attraverso i bonus e i malus – il cuore pulsante del contest – legate ad azioni che gli artisti compiono sopra e sotto il palco. La frase “Un saluto a zia Mara” (Venier) pronunciata da un determinato cantante ha fatto guadagnare un bonus di 20 punti a chi lo aveva in squadra, ad esempio. Se un artista, invece, inciampa mentre scende la scalinata fa perdere 30 punti a chi lo ha in rosa. In quest’ edizione gli stessi concorrenti in gara si sono prestati al gioco, letteralmente: Rkomi e Amadeus hanno fatto le flessioni sul palco, Emma si è fatta inseguire (per finta) dalla polizia (ricordando i fasti della leggendaria Orietta Berti dell’anno precedente). Ovviamente è stata lei la Big ad aver vinto totalizzando 525 punti, seguita da Dargen D’Amico e Tananai. Ultimo Giovanni Truppi con 85 punti.