La Tate Modern di Londra celebra la carriera provocatoria e rivoluzionaria di Leigh Bowery, uno degli artisti più audaci e originali del XX secolo

Londra, ultimo giorno del 1994: le strade della città sono battute da un nevischio acquoso, agitato dal vento proveniente dalla vicina Scandinavia. Nelle dance hall, le coppie ballano “Love is all around” dei Wet Wet Wet, bevendo champagne scadente, ma Soho si prepara a salutare per sempre uno dei protagonisti assoluti della nightlife e dell’arte dell’ultimo decennio: Leight Bowery. A distanza di 30 anni, la Tate Modern di Londra celebra la sua carriera: nel corso della sua breve ma straordinaria vita, Bowery (era nato a Melbourne, in Australia, nel 1961) ha tracciato un percorso davvero unico.

Conosciuto in vari ruoli come artista, performer, club kid, modello, personaggio televisivo, stilista e musicista, Bowery ha sempre rifiutato di essere confinato dalle convenzioni. Ha reinventato l’abbigliamento e il trucco come forme di scultura e pittura, ha messo alla prova i limiti del decoro e ha creato un nuovo genere di performance art per esplorare il corpo come uno strumento mutevole, capace di sfidare le norme estetiche, sessuali e di genere.

Per la prima volta, la Tate Modern, in collaborazione con Nicola Rainbird, direttrice e proprietaria dell’Estate of Leigh Bowery, riunisce i suoi stravaganti e abbaglianti costumi insieme a dipinti, fotografie e video, per mostrare come abbia cambiato per sempre l’arte, la moda e la cultura popolare. Ogni stanza della mostra sarà tematizzata attorno agli spazi chiave della sua pratica (la casa, il club, il palco, la strada) per evidenziare come Bowery abbia sfumato i confini tra arte e vita. «È così difficile scegliere i pezzi più importanti! – afferma Jess Baxter, assistente del curatore Fiontán Moran. – La mostra presenta gli outfit più stravaganti e riconoscibili di Bowery, oltre a schizzi originali, accessori e testi che saranno esposti per la prima volta». E aggiunge: «siamo stati estremamente fortunati a collaborare con Charles Atlas per mostrare scene dal suo sensazionale film “Hail the New Puritan”, il documentario romanzato del 1987 sulla vita di Michael Clark, in cui Bowery è una presenza fondamentale. Il film cattura perfettamente Leigh e i suoi amici, Rachel Auburn, Trojan, Michael Clark e Les Child, nel loro momento più camp, pungente e danzante».

Jess Baxter, assistente di Fiontán Moran, curatore della mostra “Leigh Bowery!” alla Tate Modern di Londra. Per gentile concessione

Fino al 31 agosto, dai club al palcoscenico, alla galleria e oltre, i visitatori sono invitati a entrare nel dinamico mondo creativo di Bowery. La sua influenza sulla scena notturna londinese degli anni ‘80 fu enorme: nel 1985 lanciò il suo club Taboo, uno spazio di libertà assoluta che permise a lui e ai suoi amici di esplorare la propria identità e trasformarsi. «Celebre per la sua frase “Quante sfumature di significato ha ‘ok’?!”, Bowery prosperava nell’essere eccezionale – aggiunge Baxter. – Si distingueva per il suo stile audace e i costumi realizzati a mano con Nicola Rainbird e il corsettiere Mr Pearl».

La sua esuberanza si trasferì presto dalla scena dei club a quella della danza e dell’arte, grazie alla collaborazione con Michael Clark. «Nel 1984, Bowery disegnò i costumi per Clark, inaugurando una collaborazione durata quasi un decennio» spiega Baxter. Uno dei momenti più iconici sarà rappresentato in mostra: le sue famigerate performance di “nascita”. In queste surreali esibizioni, Bowery “partoriva” Nicola, nascosta sotto i suoi elaborati costumi, emergendo da una vagina in velcro, con salsicce al posto del cordone ombelicale. Secondo Baxter, l’imbracatura originale, completa di macchie di finto sangue rosato, è «uno degli oggetti più affascinanti e strani della mostra».

Charles Atlas, Still from “Because We Must” 1989 © Charles Atlas. Courtesy Courtesy of the artist and Luhring Augustine, New York

Alla fine degli anni ‘80, la sua amicizia con Lucian Freud lo portò nel mondo dell’arte contemporanea, ispirando una serie di ritratti intimi esposti alla Tate Modern. Stimolato dall’intimità del posare per Freud, Bowery iniziò sempre più a usare il proprio corpo come materia prima, affermando notoriamente che «la carne è il tessuto più favoloso». Le fotografie di Nick Knighte i film di Charles Atlas e John Maybury testimoniano il suo approccio surrealista, in cui Bowery si reinventava come una creatura aliena.

La mostra culmina con la sua incursione nella musica con la band Minty, attraverso la quale fuse performance, provocazione e umorismo. La sua ultima esibizione al Freedom Café di Londra nel novembre 1994 fu assistita da un giovane Alexander McQueen e da Freud, a dimostrazione di quanto la sua influenza si fosse ormai estesa sia al mondo dell’arte che a quello della moda.

«Sono passati 30 anni dalla prematura morte di Bowery a causa di una malattia correlata all’AIDS, la notte di Capodanno del 1994. Ma il suo lascito è ancora ovunque. Il suo lavoro continua a ispirare molti artisti a creare arte alle proprie condizioni, come Sin Wai Kin, Jeffrey Gibson, Prem Sahib, solo per citarne alcuni»spiega Baxter. Che prosegue: «al di fuori della scena artistica globale, la sua influenza è particolarmente visibile nel lavoro di McQueen, che era tra il pubblico durante l’ultima performance di Bowery al Freedom Café di Soho. Vista attraverso la lente della nuova generazione emergente, la sua figura potrebbe benissimo collocarsi tra i club e le dirette Instagram del XXI secolo».

Il modo in cui Bowery ha affrontato il suo corpo, anche in relazione alla sua malattia, apre ancora discussioni contemporanee sulla vulnerabilità fisica, la consapevolezza del corpo e il rapporto tra arte e malattia. Rimane un’icona di resistenza, innovazione e libertà espressiva, un riferimento fondamentale per chi vuole esplorare le frontiere più radicali dell’arte e della cultura visiva contemporanea. La Tate Modern ha colto la necessità di dare spazio a un artista come Bowery in questi tempi di guerre e tensioni globali, portando alla luce un senso di liberazione queer che gioca con il genere e sfida le convenzioni con ironia e irriverenza.

In copertina: Nigel Parry, “Photoshoot at home” © Nigel Parr