Segnati dal dolore per l’ennesima morte sul lavoro gli anarchici si ritrovano come ogni anno, da 80 anni, a Carrara per celebrare la Festa dei Lavoratori
Sotto un cielo di un celeste vivido, senza una nuvola, sulla facciata di marmo bianco brillante si staglia una bandiera composta da due triangoli, uno rosso e uno nero. La piazza davanti al teatro si sta riempiendo, con un afflusso composto e costante, di un popolo di fazzoletti rossoneri, di fiocchi al collo e di garofani appuntati al petto. Il popolo del Primo Maggio. Il popolo anarchico.
“Il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore” scriveva Ernesto Che Guevara, ma nel cuore di quel popolo di rivoluzionari che si ritrova, come ogni anno, il Primo Maggio a Carrara, l’amore ha lasciato spazio alla rabbia. La rabbia e il dolore guidano la comunità anarchica nelle celebrazioni della Festa dei Lavoratori quest’anno più che mai a causa dell’ennesima morte sul lavoro, avvenuta proprio a Carrara, proprio pochi giorni prima. Il 28 aprile Paolo Lambruschi, un lavoratore 59enne è morto, precipitando da una cava nel bacino di Fantiscritti e rimanendo schiacciato dal mezzo che stava guidando.

Anarchismo e cavatori, a Carrara, hanno un legame profondo e antico. Ogni incidente, ogni morte, riapre ferite mai realmente rimarginate nel tessuto sociale all’ombra delle Alpi Apuane. Ogni incidente, ogni morte, punta la luce sullo sfruttamento degli esseri umani. Ogni incidente, ogni morte, ricorda come le conquiste sindacali come quelle di Alberto Meschi – sindacalista di inizio Novecento che riuscì a ridurre l’orario di lavoro di cavatori e minatori – siano un ricordo lontano.
Così, con un’aria pesante, circa duemila persone hanno attraversato il centro di Carrara in una processione laica per commemorare i propri “martiri”: l’anarchico Francisco Ferrer, il partigiano anarchico Belgrado Pedrini, il filosofo Giordano Bruno, il già citato sindacalista Alberto Meschi, gli anarchici Sacco e Vanzetti e i caduti dei Moti del 1894. Durante il corteo vengono poste, su targhe o ai piedi delle statue, corone di fiori e intonate canzoni storiche del movimento anarchico. Per rispetto per la vittima dell’incidente in cava però, per la prima volta in 80 anni, il Comitato Primo Maggio ha deciso che il corteo sarebbe partito senza musica “rimanendo in silenzio fino alla lapide dei Martiri del lavoro”.
Prima dell’inizio del corteo, sotto quella bandiera, da un piccolo palco adornato con un vessillo nero con la frase, in rosso, “né servi né padroni” prendono parola esponenti di diverse realtà. Dal gruppo Germinal Tiziano ribadisce come il Primo Maggio non sia una festa, né lo possa essere quest’anno, ma che sia una giornata per ribadire la volontà di lottare per i diritti dei lavoratori. Una lotta contro il ricatto occupazionale, contro le morti sul lavoro, due facce della stessa medaglia: il capitalismo. Viene ribadita inoltre la contrarietà alle politiche di riarmo europeo e la necessità di una lotta internazionalista.

L’intervento di Serena e Chiara di Non una di meno Massa-Carrara si concentra sul riconoscimento del lavoro che ricade per lo più sulle donne, il lavoro di cura retribuito e non. Sara, di Freedom Flotilla, cita Vittorio Arrigoni e parla della situazione in Palestina. Di come il genocidio palestinese in coso sia armato anche da Leonardo che vende armamenti a Israele e di come questo genocidio sia il banco di prova, un laboratorio, per nuove armi, droni, sistemi di repressione e di controllo, di sistemi di intelligenza artficiale per targettizzare gli obiettivi utili a Israele per rivendere armi e strumenti “testati” sul popolo palestinese.
Federico, della Federazione anarchica reggiana, ribadisce come l’attualità dimostri che alcuni elementi propri della resistenza e dell’antifascismo libertari siano ancora drammaticamente all’ordine del giorno. Come partigiani e partigiane non abbiano scelto la resistenza per patriottismo, ma per un’idea di società ancora lontana. Ricordando l’80esimo anniversario della Federazione il monito è intorno ai fascismi che non si esauriscono nelle destre politiche, perché sono molti gli atteggiamenti quotidiani che aprono la strada al fascismo: la xenofobia, l’omofobia, i crimini del patriarcato, tutte espressioni di una mentalità che si basa sulla sopraffazione degli altri. A proposito della questione delle politiche di riarmo, si rimanda a una (ri)lettura del Manifesto di Ventotene. Quel testo fondativo dell’Unione europea che mette in discussione la sovranità proprio per evitare la guerra, mentre l’UE, invece, sta perseguendo la direzione totalmente opposta. Per questo di fronte alle guerre l’unica posizione è appoggiare chi obietta e diserta, sostenendo internazionalismo e opposizione alle frontiere. Perché senza frontiere nessuno è clandestino e senza confini nessuno è straniero.
Il corteo ha poi iniziato la sua marcia. Per una giornata di festa, che festa non è. Per un momento di unione, per ritrovarsi, per dire ancora una volta che il lavoro non è un valore, che il patriottismo non è un valore, che un’alternativa c’è. Che l’anarchismo, come insegna Pietro Gori “è solo idea d’amor”.
Un amore rabbioso capace di riconoscere le ingiustizie, oggi come ieri. E come domani.