Oltre 700 i candidati per comporre il Parlamento seguendo la ripartizione su base confessionale

Il Paese che ha vissuto alcuni degli anni più duri della sua storia recente, con l’esplosione del porto di Beirut che uccise circa 220 persone, il default finanziario che ha tolto la luce al Paese, annientato la lira libanese e ridotto sul lastrico milioni di persone, la pandemia, con i suoi contraccolpi economici e sociali, una paralisi politica di oltre un anno. Sulle elezioni pesano anche la decisione del leader sunnita Sa’ad Hariri di non partecipare alle elezioni e il calo di popolarità del Movimento Patriottico Libero (Fpm) del presidente Aoun tra l’elettorato cristiano

I risultati definitivi arriveranno domani ma da quanto emerge al momento indicano che il movimento sciita armato filo-iraniano Hezbollah e i suoi alleati hanno mantenuto e addirittura rafforzato le proprie posizioni. La comunità sunnita, invece, ha pagato la mancanza di una figura come l’ex premier Saad Hariri esprimendo un voto frammentato.

L’affluenza sembra essere inferiore al 50% (nel 2018 votò meno del 49% degli aventi diritto). Seguendo gli accordi di Taif la divisione delle cariche più alte dello Stato e la rappresentanza parlamentare seguono uno schema confessionale netto: il presidente è un cristiano maronita, il premier un sunnita e agli sciiti spetta la presidenza del Parlamento, mentre i drusi indicano il capo di Stato maggiore dell’esercito. In Parlamento musulmani e cristiani hanno 64 seggi ciascuno, all’interno dei due gruppi è presente un’altra divisione confessione (27 seggi ai sunniti e 27 agli sciiti, 8 ai drusi e due agli alawiti). Nel gruppo cristiano 34 seggi vanno ai maroniti e il resto a greco ortodossi (14), greco-melchiti (8), apostolici armeni (5), un seggio per ciascuno a cattolici armeni e protestanti evangelici e un altro alle ulteriori minoranze cristiane.

Secondo gli analisti non muterà molto rispetto all’attuale maggioranza in mano a Hezbollah e alleati.

di: Flavia DELL’ERTOLE

FOTO: ANSA/MICHELE ESPOSITO