Dalla Corte costituzionale arriva la sentenza che dichiara incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita legittimamente praticata all’estero

Con la sentenza depositata oggi, 22 maggio 2025, la Corte costituzionale stabilisce che “è incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita legittimamente praticata all’estero”. Inoltre, secondo la Corte, non sussistono ostacoli costituzionali a un’eventuale estensione, da parte del legislatore, dell’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche a nuclei familiari diversi da quelli attualmente indicati, e nello specifico alla famiglia monoparentale. La Consulta ha considerato “non irragionevole né sproporzionato non consentire alla donna single di accedere alla procreazione medicalmente assistita”. 

Nella sentenza si legge che l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione: dell’articolo 2 della Costituzione, per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’articolo 3 della Costituzione, per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale; dell’articolo 30 della Costituzione, perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli.

Glenda Giovannardi e Isabella Passaglia. ANSA

Inoltre, il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica l’effettività del suo “diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. Il mancato riconoscimento del figlio pregiudica “il suo diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” secondo quanto stabilito.

Sono due i rilievi presi in analisi per la dichiarazione di incostituzionalità: la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla Procreazione medicalmente assistita per generare un figlio, impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi. Il secondo rilievo è che la centralità dell’interesse del minore, affinché l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, nei confronti della madre intenzionale. 

Come si è arrivati alla sentenza 

Era stato il tribunale di Lucca a sollevare la questione della legittimità costituzionale richiamando al “monito della Corte costituzionale” che nel gennaio del 2021 aveva chiesto al Parlamento di intervenire su un tema su cui “il protrarsi dell’inerzia legislativa” era ritenuta “non più tollerabile”. Con un’ordinanza erano stati trasmessi gli atti alla Consulta perché si pronunciasse sulla legittimità degli articoli 8 e 9 della legge 40/2004 e dell’articolo 250 del codice civile laddove “impediscono l’attribuzione al nato dello status di figlio anche alla madre intenzionale” e non solo a quella biologica.  

Il tribunale di Lucca, sottolineando anche la questione sollevata dal tribunale di Padova nel 2019, indicava la questione della “bigenitorialità piena” da parte di due donne in merito a un bambino nato con PMA. Una questione che risentiva “di rilevanti lacune normative” e che in altri casi simili era “stata risolta diversamente in giurisprudenza, registrandosi un orientamento maggioritario contrario ed un orientamento minoritario favorevole al riconoscimento della cosiddetta maternità intenzionale”. Per il tribunale toscano era “necessario rimettere nuovamente alla Corte la questione, volendo porre l’attenzione sul disomogeneo intervento dei sindaci come ufficiali di stato civile” che “hanno adottato, nel silenzio del legislatore, soluzioni distinte per casi speculari”. In alcuni casi infatti “hanno rifiutato l’iscrizione anagrafica anche della madre intenzionale nell’atto di nascita” mentre in altri “hanno ritenuto legittima l’iscrizione”. Questi “esiti non uniformi” dunque “danno conto di un’evoluzione del tessuto sociale a cui, nella perdurante inerzia legislativa, non è stata data compiuta risposta” e spinto i giudici a valutare la “compatibilità costituzionale” della legge che “attribuisce alla madre e al padre di riconoscere il figlio, nella misura in cui impediscono al nato con procreazione medicalmente assistita l’attribuzione dello status di figlio” ovvero se la condizione di genitore sussiste anche per la “madre intenzionale” che insieme alla madre biologica “abbia prestato il consenso alla pratica di fecondazione”.

Una manifestazione delle mamme a Padova, 14 novembre 2023. ANSA

Secondo il Ministero dell’Interno, che si è costituito in giudizio, gli atti di stato civile “non hanno valore costitutivo di uno status, bensì unicamente di pubblicità e prova” e per la coppia di donne che si è rivolta al tribunale toscano “non risulta esservi alcun legame né biologico né genetico” tra la “madre intenzionale” e il bambino, mentre la “la fecondazione eterologa è stata effettuata per libera scelta” dalla madre biologica “al di fuori dei casi tassativi previsti dalla L.40/2004 integrata da sentenza della Corte Costituzionale 162/2014 che ha legittimato il ricorso a tale modalità di fecondazione anche in Italia nelle sole ipotesi di infertilità o sterilità assoluta o irreversibile o in presenza di gravi malattie trasmissibili”. Il Comune in provincia di Lucca coinvolto nella vicenda ha sostenuto che lo Stato civile aveva iscritto il figlio con doppio cognome, di entrambe le genitrici, non considerando questo in contrasto “con l’ordine pubblico e con le norme vigenti” piuttosto ritenendo questa decisione “conforme al primario interesse del minore”.La Procura di Lucca aveva promosso il ricorso al tribunale proprio per chiedere la “rettificazione” dell’atto di nascita del minore, documento che aveva la peculiarità della omogenitorialità delle due donne dichiaranti, ma anche chiedendo che la questione fosse rimessa previamente alla Consulta sostenendo “la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità” sul tema del riconoscimento dei figli di coppie gay.

Le reazioni

Il presidente di Rete Lenford, l’avvocato Vincenzo Miri che ha assistito le due mamme toscane, ha dichiarato che “stato affermato un principio di civiltà giuridica nell’interesse di tutti i bambini contro una cultura legata a un unico modello di famiglia. E’ una sentenza storica che cambia la vita di tutte le donne che, con le compagne o le mogli, vogliono avere un figlio perché non dovranno più sottoporsi all’umiliante procedura di adozione. Tutte le impugnazioni della procura e del ministero dell’Interno che intasano i tribunali cadranno perché i sindaci hanno correttamente dato tutela con i riconoscimenti all’anagrafe

Le due mamme, Glenda Giovannardi e Isabella Passaglia, si dicono “emozionate, commosse, felici. Non pensavamo che saremmo state le prime“. Avevano “avuto dei timori. Da un punto di vista sanitario perché io sono la madre intenzionale e se ci sono solo io con il piccolo non vengo riconosciuta dal personale sanitario; a livello successorio nel caso in cui venisse a mancare la madre biologica, ma anche nel caso in cui la coppia dovesse decidere di separarsi. Non abbiamo mai incontrato alcuna ostilità, ma anche banalmente prendere mio figlio a scuola avrebbe potuto rappresentare un problema. È stato un calvario ma ne è valsa la pena“.

Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, ha sostenuto che “dalla lettura delle due sentenze depositate oggi dalla Corte Costituzionale discendono alcune considerazioni“. Per la ministra “non è in discussione alcun atto di questo governo e di questa legislatura, e in ogni caso non è richiesto dalla Consulta alcun intervento normativo, né sulla legge 40 né su altri punti dell’ordinamento. In secondo luogo, per l’ennesima volta la Corte conferma il disvalore dell’utero in affitto, al punto da giungere a differenziare l’attribuzione dello status genitoriale per le coppie di uomini e di donne, proprio sulla base della differenza naturale dei corpi sessuati, che l’ideologia oggi vorrebbe negare. D’altro canto, però, l’interesse del bambino a vedersi riconosciute due figure genitoriali viene sancito, nella sentenza sulle ‘due mamme’, prescindendo completamente dai fondamenti biologici della riproduzione e della generazione, come se l’estromissione e la cancellazione programmata della figura del padre non fosse a sua volta un disvalore e una scelta contraria al miglior interesse del minore. In Italia nessun bambino ha una limitazione di diritti, perché anche in caso di coppie dello stesso sesso c’è l’adozione in casi particolari che garantisce il rapporto del minore con entrambi, la responsabilità di entrambi nei suoi confronti e l’inserimento in una rete di parentela anche sotto il profilo patrimoniale. Cancellare per scelta dalla vita dei bambini il papà o la mamma, che nessuna tecnica riproduttiva potrà mai eliminare, resta un mutamento antropologico che non potremo mai considerare un progresso sulla via dei diritti, ma la sottrazione al bambino di uno dei suoi diritti fondamentali“.

La ministra Eugenia Roccella. ANSA/ANGELO CARCONI

Augusta Montaruli, vice capogruppo di Fratelli d’Italia, ha commentato: «ogni bambino ha una mamma ed un papà. Con la sentenza della Consulta di oggi, risulta ancor più urgente approfondire il tema della responsabilità genitoriale del donatore/genitore anche quando la fecondazione, illecita in Italia, venga fatta all’estero. Non si può pensare di sostituire un genitore, dunque il padre biologico, ledendo completamente il diritto del minore ad avere una figura maschile di riferimento. Nel rispetto della Corte Costituzionale, come essa evidenzia, l’illegittimità non tocca la legge 40. Se diritto dei minori è quello di dover essere protetto, quello stesso diritto non può essere esonerare il padre biologico, ma rafforzare in Italia la sua responsabilità, i suoi diritti-doveri . Chi a sinistra esulta per il riconoscimento di diritti negati in Italia, non ha veramente a cuore le sorti dei bambini, a cui invece verrebbe negata la possibilità di avere un padre e una madre».

di: Flavia DELL’ERTOLE

foto di copertina: ANSA/CESARE ABBATE