Dai monopattini alle ultime novità per salvaguardare la vita umana. Con uno sguardo all’estero
L’evoluzione di una società si dispiega e si rivela in diversi modi. Un punto di osservazione privilegiato in tal senso lo offre il processo di normazione del Codice della strada. Divieti di sosta e limiti di velocità sono solo la punta di un iceberg che, nel suo livello sommerso, racchiude in un impianto legislativo gli obiettivi di una società, evolvendosi di pari passo con essi.
A tal proposito, la mini-riforma del Codice della strada contenuta nella legge n. 156/2021 di conversione del dl Infrastrutture ci offre un interessante spaccato di come il nostro Paese guardi alla mobilità su gomma e, soprattutto, alla sicurezza dei suoi cittadini.
Il primo elemento rilevante della riforma è un rinnovato sguardo al sociale: strisce blu gratuite per disabili quando sono pieni i posti riservati, parcheggi rosa per donne in gravidanza e genitori con figli minori di due anni e sanzioni maggiorate per chi parcheggia sui posti riservati ai disabili senza pass.
C’è poi l’ampio tema dell’elettrico che riguarda soprattutto i monopattini. Le due ruote sono una delle grandi rivelazioni della mobilità urbana che, fra sharing e mezzi di proprietà, sono qui per rimanere. Inevitabilmente, la diffusione di nuovi veicoli porta con sé una serie aggiornata di statistiche su incidenti, feriti e morti. Recentemente l’Istituto ortopedico Pini di Milano ha confermato che il 14% degli incidenti a due ruote riguarda i monopattini (lo svela il boom della tipica frattura bilaterale del gomito). Un altro osservatorio della Polizia Stradale parla di almeno 10 vittime e 131 sinistri a settembre 2021.
Al netto dei detrattori “oltranzisti” che vedono nei monopattini il vaso di Pandora dei sinistri stradali, è evidente che per massimizzare i vantaggi di un mezzo pulito, pratico e accessibile sono necessarie regole di sicurezza condivise e aggiornate. Ecco quindi che entra in campo l’obbligo di frecce e assicurazione, anche se solo per le società di noleggio.
C’è poi la questione del limite di velocità, abbassato da 25 a 20 km/h (6 km/h nelle aree pedonali). Una decisione che avrebbe potuto sollevare le rimostranze dei produttori di un settore in netta crescita in Italia: secondo il rapporto E-mobility, nel 2020 nel nostro Paese sono stati venduti oltre 125mila mezzi elettrici, di cui il 90% erano monopattini.
Per scongiurare conflitti con il comparto, la riforma ha trovato un compromesso consentendo l’acquisto di monopattini capaci di raggiungere velocità superiori, purché in possesso di un limitatore impostabile. Le case di produzione dovranno invece adeguarsi su frecce e stop, ora obbligatori.
Sui monopattini il nostro Codice si dispiega, insomma, in un delicato equilibrio di restrizioni e concessioni, con lo scopo di agevolare una mobilità urbana silenziosa ed efficiente senza però mettere a rischio la sicurezza di pedoni e altri veicoli, ancora poco abituati a condividere le strade con queste due ruote.
Segue l’evoluzione della società anche l’estensione dell’elenco di device vietati alla guida: un adeguamento tanto tardivo quanto necessario, visto che il Codice non citava espressamente “smartphone, computer portatili, notebook, tablet e dispositivi analoghi”.
Arriviamo poi al grande tema della sicurezza. Secondo l’Oms gli incidenti stradali sono l’ottava causa di mortalità nel mondo e uccidono ogni anno 1,35 milioni di persone. Tasso che nei giovani dai cinque ai 29 anni schizza alle stelle: per questa fascia gli incidenti sono la prima causa di mortalità.
Un Codice della strada che si rispetti rincorre il fine ultimo di ridurre il più possibile incidenti, feriti e morti, e può farlo in vari modi. Un primo tipo di approccio, più ambizioso, punta contemporaneamente a una circolazione efficiente e sicura. Un progetto che richiede continui compromessi per evitare che il primo aggettivo pregiudichi l’altro e vanifichi ogni risultato in entrambi i sensi.
C’è però anche un secondo tipo di approccio, che subordina l’efficienza alla sicurezza considerando la prima un corollario della seconda. Dopotutto, chi definirebbe “efficiente” un sistema stradale che permette di raggiungere un luogo distante in meno tempo ma che contemporaneamente mette a rischio la propria vita?
La scelta non può che spettare alla politica. In che direzione si sta muovendo l’Italia con questo nuovo Codice? La crescita di provvedimenti punitivi ci fornisce un’indicazione in tal senso: sempre più, il nostro sistema punta a ridurre gli incidenti aumentando le sanzioni. Ad esempio, sarà passibile di multa anche il conducente di una moto se il passeggero dietro non porta il casco, mentre gli automobilisti risponderanno anche delle cinture dei passeggeri.
Ma esistono modelli alternativi? In Svezia, per esempio, sì. Il paradigma di sicurezza stradale svedese è riconosciuto come uno dei più efficaci, tanto da aver ispirato il cosiddetto approccio Vision Zero. Rispetto al modello tradizionale, qui la sicurezza parte da una progettazione strategica e lungimirante delle strade, riservando valutazioni su costi e comodità per un secondo momento.
Così, se sappiamo che nei contesti urbani un impatto tra un’auto a 30 km/h e un pedone nella maggior parte dei casi porta alla morte, oltre ad abbassare i limiti di velocità e a inasprire le pene sarebbe opportuno costruire la strada in modo che le auto non possano raggiungere quella velocità, oppure creare barriere fisiche che proteggano i pedoni
(sottopassaggi, attraversamenti sopraelevati etc).
Un atteggiamento di accettazione del normale margine di errore umano insomma, che non si limita a punire le disattenzioni ma mira a prevenirle in modo strutturale. Lo spiega bene Matts-Åke Belin, direttore della Vision Zero Academy presso l’Amministrazione dei Trasporti svedese, intervistato dalla casa editrice Strade e Autostrade: «Certamente è vero che i fattori umani siano la causa principale di incidenti stradali, ma non sono la causa principale di decessi e gravi infortuni. È il modo in cui progettiamo il sistema che determina se un errore umano finirà o meno in tragedia».
Un approccio che i suoi fautori definiscono, senza peccare di superbia, etico, e che annovera tra i suoi valori la responsabilità condivisa: l’imperativo di una società è investire in un progetto collettivo, prima ancora di guardare al comportamento del singolo. Nel concreto questo significa che i professionisti del settore dei trasporti condividono lo stesso peso di responsabilità degli automobilisti.
Ben vengano quindi legislazioni severe sui limiti di velocità, sanzioni rafforzate e assicurazioni obbligatorie. Senza una progettualità preventiva a livello strutturale, però, continueranno a verificarsi incidenti e a morire persone, con la sola (magra) consolazione di una punizione maggiore per chi infrange la legge.
Box 1: Il Comune di Parigi ha istituito delle “aree rosse” particolarmente trafficate in cui il limite di velocità dei monopattini scende a 10 km/h. Una decisione spinta anche dalla morte di Miriam Segato, l’italiana investita nella Capitale da un monopattino elettrico
Box 2: Vision Zero è un progetto di sicurezza stradale già diffuso anche in Regno Unito, Svizzera, Paesi Bassi e Usa. In 20 anni questo approccio ha ridotto la mortalità in Svezia da 7 a due vittime ogni 100mila abitanti
Box 3: Nel modello “svedese” svolgono un’azione chiave anche i deterrenti. Parliamo ad esempio dei classici dissuasori, ma anche di un sistema di videosorveglianza che monitora capillarmente le strade, svolgendo al contempo anche compiti amministrativi come l’identificazione delle targhe per inoltrare direttamente agli automobilisti le tasse sulla congestione stradale