Se tradizione vuole che, dopo cinque anni, si celebri la solidità delle nozze, a Londra si fa il bilancio di un importante divorzio
Cinque anni fa, il 31 gennaio 2020, il Regno Unito ha lasciato l’Unione Europea, recidendo i legami politici che aveva mantenuto per 47 anni. La Brexit (contrazione di “british exit”) ha generato profonde divisioni, sia a livello politico che sociale, dominando il dibattito pubblico e alimentando discussioni sui suoi effetti.
Per quanto riguarda il commercio, il parametro più importante per valutarne gli effetti, economisti e analisti concordano generalmente sul fatto che l’uscita dal mercato unico e dall’unione doganale dell’UE, avvenuta il 1° gennaio 2021, abbia avuto un impatto negativo. Sebbene abbia negoziato un accordo di libero scambio con l’UE, evitando l’imposizione di tariffe su importazioni ed esportazioni, l’introduzione di nuove “barriere non tariffarie” ha complicato le procedure burocratiche per le aziende britanniche.
Le stime, tuttavia, variano: alcuni studi suggeriscono che le esportazioni di beni del Regno Unito siano inferiori del 30% rispetto a uno scenario in cui il Paese fosse rimasto nell’UE, mentre altri indicano una riduzione del 6%. Tali differenze dipendono dal metodo utilizzato per stimare il “controfattuale”, ovvero cosa sarebbe successo alle esportazioni britanniche senza la Brexit. È chiaro, tuttavia, che le piccole imprese sono state colpite più duramente rispetto alle grandi aziende, poiché meno attrezzate per gestire la nuova burocrazia transfrontaliera, come confermano diversi sondaggi.

Le esportazioni di servizi, come pubblicità e consulenza gestionale, hanno invece mostrato un andamento sorprendentemente positivo dal 2021. Tuttavia, l’Office for Budget Responsibility (OBR), il principale organismo di previsione economica del Governo, continua a stimare che la Brexit ridurrà a lungo termine le esportazioni e le importazioni di beni e servizi del 15% rispetto a uno scenario alternativo, causando una contrazione dell’economia britannica del 4%, pari a circa 100 miliardi di sterline. Sebbene il Regno Unito abbia firmato nuovi accordi commerciali con Australia e Nuova Zelanda e cerchi intese con Stati Uniti e India, le valutazioni ufficiali indicano che questi accordi non compensano la perdita di accesso al mercato unico europeo. Tuttavia, alcuni economisti ritengono che, nel lungo periodo, l’indipendenza normativa potrebbe offrire vantaggi economici in alcuni settori, tra cui l’intelligenza artificiale.
Sicuramente, l’immigrazione è stata una questione centrale nel referendum del 2016, in particolare per la libertà di movimento tra Regno Unito e UE. Dopo il referendum, l’immigrazione netta dai Paesi UE è diminuita significativamente, accentuandosi ulteriormente con la fine della libera circolazione nel 2020. Tuttavia, dal 2020, la migrazione netta dal resto del mondo è aumentata considerevolmente, superando le 900.000 unità nel 2022 e 2023. Nel gennaio 2021 è entrato in vigore un nuovo sistema di immigrazione basato su visti di lavoro per tutti i cittadini non britannici, eccetto gli irlandesi. L’aumento dell’immigrazione Extra-UE è stato principalmente guidato dalla domanda di lavoratori nei settori sanitario e dell’assistenza, nonché dall’incremento di studenti internazionali. Le successive restrizioni sui ricongiungimenti familiari per i titolari di visti di studio e lavoro, imposte dai Governi conservatori e mantenute dai laburisti, potrebbero ridurre il numero di ingressi nei prossimi anni.
Ma la fine della libertà di movimento ha avuto ripercussioni anche su turisti e viaggiatori d’affari. I titolari di passaporto britannico non possono più usufruire delle corsie rapide ai valichi di frontiera dell’UE. Possono soggiornare nell’UE per un massimo di 90 giorni su un periodo di 180 giorni senza bisogno di visto, mentre i cittadini UE possono rimanere nel Regno Unito fino a 6 mesi senza visto. Dal 2025, l’UE introdurrà un nuovo sistema elettronico di ingresso/uscita (EES), che registrerà i dati biometrici dei viaggiatori Extra-UE. Sei mesi dopo, entrerà in vigore il sistema ETIAS, un’autorizzazione di viaggio simile all’ESTA statunitense, al costo di 7 euro. Il Regno Unito introdurrà un sistema equivalente (ETA) per i cittadini dell’UE dal 2 aprile 2025, con un costo di 16 sterline.

Uno degli obiettivi della Brexit era ottenere la piena sovranità giuridica. Per ridurre l’impatto iniziale della separazione, il Regno Unito ha mantenuto circa 6.900 leggi dell’UE nel proprio ordinamento. Nel 2023, il Governo ha deciso di abrogarne circa 1.100, concentrandosi principalmente su regolamenti obsoleti. Alcune normative sono già state cambiate, come il divieto di esportazione di animali vivi e l’allentamento delle restrizioni sulle colture geneticamente modificate. La Brexit ha anche permesso al Governo britannico di modificare le regole fiscali, come l’abolizione dell’IVA sugli assorbenti igienici, invocata in quasi tutto il mondo.
Infine, uno sguardo alle finanze pubbliche: il contributo lordo del Regno Unito al bilancio dell’UE nel 2019-20 era di 18,3 miliardi di sterline (circa 352 milioni a settimana). Tuttavia, questi fondi erano parzialmente restituiti sotto forma di sovvenzioni all’agricoltura e allo sviluppo regionale. Dopo la Brexit, il Regno Unito ha smesso di versare questi contributi, risparmiando circa 9 miliardi di sterline netti all’anno, ma ha dovuto continuare a effettuare pagamenti all’UE in base agli accordi di recesso, per un totale di 14,9 miliardi tra il 2021 e il 2023, con altri 6,4 miliardi previsti nei prossimi anni. Nel 2023, il Regno Unito ha ripreso a partecipare al programma scientifico Horizon, contribuendo con circa due miliardi di sterline all’anno.
E il futuro? Con il Partito Laburista che cerca di rinegoziare i rapporti con l’UE, il tema continuerà a essere oggetto di dibattito ancora per anni.
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