Il Governo di alto profilo guidato dall’ex premier ha tenuto saldo il timone affrontando sfide sanitarie, internazionali ed economiche. Ora la politica si riprende i suoi spazi
Era il 13 febbraio 2021 quando uno dei fronti parlamentari più ampi degli ultimi anni acclamava Mario Draghi come primo ministro. Una curva estesa dalla Lega a Leu, con l’eccezione di Fratelli d’Italia e di formazioni minori, da Sinistra Italiana ad Alternativa.
Il Governo spesso appellato come di “unità nazionale” stava per intraprendere 17 mesi densi di sfide, cambiamenti e scontri, affrontanti in un contesto internazionale sempre più fragile e con gli strascichi di una pandemia che non sembra volgere al termine.
Un’agenda fittissima per l’Esecutivo che ha affidato la guida a un personaggio dalla caratura internazionale Draghi, “prestato” dal mondo della finanza che ne ha plasmato il prestigio internazionale. Già direttore generale del Tesoro, governatore della Banca d’Italia e presidente della BCE, Draghi era noto alle cronache soprattutto per il suo “whatever it takes” e per la politica di Quantitative easing adottata alla guida della Banca Centrale Europea.
Oltre all’aura di “freddo banchiere”, un motivo sul quale lo stesso ex premier ha ironizzato spesso nel corso di queste concitate settimane, Draghi ha portato a Palazzo Chigi anche un tenore fortemente istituzionale, destinato a “parlare quando bisogna comunicare qualcosa“, senza prendere parte al teatro della politica che oggi, però, si riprende il suo spazio.
Un governo di impronta dichiaratamente “europeista e atlantista“, convinto sostenitore della vaccinazione anti-Covid, attento a rassicurare i mercati e determinato a ottenere, com’è di fatto accaduto, i 191 miliardi del Recovery Fund. Un timone saldamente tenuto anche grazie a un massiccio impiego del voto di fiducia, apposto 56 volte (il primato, nelle ultime legislature, spetta però a Matteo Renzi con 66 voti di fiducia).
Oggi, il Governo Draghi chiude la sua esperienza con una crescita assestatasi secondo l’Istat al 6,5%, oltre le stime del 2021, una riduzione del rapporto debito/Pil al 147,0% e un tasso di occupazione pari ai livelli pre-pandemici.
Uno scenario economico che ha dovuto fare i conti anche con l’ombra della crisi del gas, alimentata dal conflitto in Ucraina, nella cui gestione proprio Draghi ha mantenuto una posizione in prima linea rafforzando come non accadeva da diverso tempo l’asse Parigi-Roma-Berlino.
Anche in questo, il Governo lascia nelle mani del successore un progetto di affrancamento energetico già avviato, con la dipendenza di gas da Mosca passata da oltre il 40% a meno del 25% grazie a una serie di accordi bilaterali, l’ultimo dei quali con l’Algeria. Uno sforzo notevole ma ancora insufficiente che non consente di guardare con serenità all’inverno in arrivo.
Fra le altre misure protagoniste di questo esecutivo anche l’assegno unico universale che ha riunito tutte le misure a sostegno delle famiglie con figli, la proroga dei bonus edilizi, gli interventi sul caro-carburante con il taglio delle accise (nonostante il prezzo della benzina sia comunque salito oltre i due euro al litro), il passaggio da Alitalia a Ita, la rimodulazione delle aliquote Irpef e il taglio dell’Irap.
Oggi, a una manciata di mesi dalla scadenza naturale della legislatura che sarebbe caduta nel marzo 2023 e dopo 552 giorni di Governo di “alto profilo”, i partiti si defilano dal patto di unità. Ciascuno riprende la propria strada, lasciando Mario Draghi al suo destino personale che, con ogni probabilità, sarà meno in salita rispetto alla rincorsa che spetta alla politica italiana.
di: Marianna MANCINI
FOTO: ANSA/QUIRINALE PRESS OFFICE/PAOLO GIANDOTTI