Un approfondimento della professoressa Angela Gadducci
Di Angela Gadducci
Oggi, 17 marzo 2023, ricorre il 162° anniversario della proclamazione dell’Unità d’Italia che celebra la nascita dello Stato italiano. Il solenne annuncio, vissuto come l’approdo dopo un lungo e arduo percorso di unificazione, avvenne il 17 marzo 1861 a Torino. Tale data fu scelta perchè fu proprio in quel preciso giorno che venne formalmente sancita l’Unità d’Italia, in forza di un atto normativo del Regno di Sardegna, la L.4761, con la quale Vittorio Emanuele II di Savoia, Re di Sardegna e del Piemonte, assunse il titolo di primo Re d’Italia dando l’avvio a quella monarchia costituzionale, che poi con il referendum del 2 giugno 1946 fu sostituita dalla Repubblica parlamentare.
La commemorazione, che cade annualmente ogni 17 marzo, è stata istituita come festività civile in forza della L.222/2012 (art.1,c3), nell’intento di promuovere il valore della cittadinanza attraverso la memoria civica e di riaffermare consolidandola l’identità nazionale. Il nome ufficiale attribuito alla celebrazione è “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”. Perchè la Costituzione, l’inno e la bandiera rappresentano i simboli della Repubblica in cui gli italiani si riconoscono.
Con la Costituzione, approvata in piena libertà e autonomia di pensiero nel dicembre del 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948, ci è stato consegnato il dono della libertà, aspirazione perenne dell’uomo, percepita nella sua istanza di composizione ed equilibrio sociale, convivenza pacifica, democrazia, difesa dei diritti umani quali esigenze innate e irrinunciabili dell’essere umano -dell’uomo, della donna, delle minoranze- inviolabili, imprescrittibili, inalienabili, irrinunciabili, assoluti, universali, anche di fronte all’irrompente divenire della società e al mutare dei tempi. Espressione di valori da tutelare per una convivenza ordinata e solidale tesa al perseguimento del benessere della persona e della giustizia sociale, le norme costituzionali si articolarono in un sistema complesso di diritti e doveri, che intersecandosi e condizionandosi vicendevolmente ne determinarono la legittimazione democratica.
Il Canto degli Italiani, conosciuto anche come Fratelli d’Italia o Inno di Mameli (musicato nel 1847 da Michele Novaro su testo di Goffredo Mameli) ha accompagnato le manifestazioni militari e patriottiche del nostro Risorgimento. Ma il simbolo più significativo della Repubblica italiana è rappresentato dalla bandiera tricolore.
L’emblema della nostra Patria nacque il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia quando i Costituenti, su proposta del deputato Compagnoni, individuarono nel Tricolore il vessillo della Repubblica Cispadana da sventolare al motto di “Libertà ed Eguaglianza. Una e indivisibile”.
Sotto i colori verde, bianco e rosso si compirono le gesta del Risorgimento per la realizzazione dell’Unità d’Italia. Ma quale fu la ragione della combinazione cromatica del Tricolore?
La riflessione sul perchè dei tre colori conduce alla considerazione che le imprese napoleoniche contribuirono a diffondere in Europa, sia i valori rivoluzionari, sia la bandiera tricolore quale simbolo delle libertà conquistate. Anche i reparti militari italiani, costituiti all’epoca per affiancare l’esercito di Bonaparte, ebbero stendardi che riproponevano la medesima foggia. Il verde, bianco e rosso vennero adottati, dapprima, nei vessilli reggimentali della Legione Lombarda (il bianco e il rosso comparivano nell’antichissimo stemma comunale di Milano -croce rossa su campo bianco- mentre verdi erano, fin dal 1782, le uniformi della Guardia civica milanese), successivamente, negli stendardi della Legione Italiana.
Presumibilmente fu proprio questo il motivo che spinse la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera composta di tre bande orizzontali con il rosso in alto, mentre al centro, nella banda bianca che rappresentava allegoricamente l’unione delle città di Ferrara, Bologna, Modena e Reggio Emilia, campeggiava un turcasso contenente quattro frecce, circondato da un serto di alloro e ornato da un trofeo di armi, con le lettere R e C ai lati.
Furono numerose le repubbliche giacobine che tra il 1796 e il 1799, in un’Italia attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, furono edificate sulle macerie dei vecchi Stati assoluti in cui la penisola era frazionata. Seppur con qualche variante nella foggia e nei colori, tutte le repubbliche assunsero come propria bandiera il Tricolore, di chiara ispirazione francese: la Repubblica Anconetana, per esempio, adottò un tricolore orizzontale blu, giallo, rosso; la Repubblica Romana, un tricolore verticale nero, bianco e rosso; la Repubblica Partenopea, un tricolore verticale blu, giallo e rosso; la Repubblica Cisalpina (1797-1802), un Tricolore costituito dalle tre bande -verde, bianca e rossa- parallele all’asta, identico a quello attuale; la Repubblica Italica (1802-1805), un drappo quadrato a fondo rosso, in cui era inserito un rombo a fondo bianco, contenente un altro quadrato a fondo verde; il Regno Italico (1805-1814) ripropose la bandiera della Repubblica Italica, ma vi aggiunse al centro l’aquila d’oro napoleonica.
La Restaurazione, seguita al Congresso di Vienna del 1815, represse il Tricolore per più di un trentennio, ma negli anni tra il 1815 e il 1861 il vessillo riemerse -assumendo una specifica valenza ideologica- ogni qualvolta i patrioti del Risorgimento organizzassero un moto insurrezionale per liberarsi degli austriaci.
Infatti, in occasione dell’ondata rivoluzionaria che nel 1848 interessò l’Europa, il Tricolore, considerato come il più significativo simbolo di libertà, fu usato durante i moti che ebbero luogo sul territorio italiano. E il 23 marzo 1848, quando Carlo Alberto di Savoia diede l’avvio alla prima guerra d’indipendenza, l’esercito piemontese adottò il Tricolore come bandiera ufficiale dello Stato di Sardegna: la bandiera sabauda era composta da tre bande verticali con al centro lo stemma di Casa Savoia, uno scudo rosso con una croce bianca. Anche con il Regno d’Italia (1861-1946) la bandiera continuò ad essere quella della prima guerra d’indipendenza fino alla proclamazione della Repubblica quando, rimuovendo dalla banda bianca lo stemma dei Savoia, la bandiera assunse l’aspetto attuale.
Per poter plasmare la Nazione del futuro in quella in cui vorremmo vivere per sempre, fondata su pace, libertà, rispetto, uguaglianza, solidarietà e resilienza, è necessario che il Tricolore continui ad infondere nei nostri cuori quel patrimonio di valori che sono solennemente sanciti dalla nostra Carta costituzionale di cui quest’anno è stato celebrato il 75° anniversario della sua entrata in vigore. Valori imperituri che rappresentano la linfa cui attingere ancora oggi per poter affrontare la turbolenta fase di insicurezza che attraversa il nostro Paese: un’Italia disunita a causa dei troppi governi che nel corso degli anni si sono avvicendati per scarsa stabilità, sconvolta da una pandemia ancora irrisolta, da un conflitto lacerante nel cuore dell’Europa, da una rivoluzione climatica senza precedenti, da flussi migratori spesso incontrollati e una paralizzante crisi economica. In un mondo percorso da una forte crisi valoriale e stordito da quelle spirali di odio e di violenza di cui ultimamente si nutrono le cronache a significare la negazione di ogni principio costituzionale, occorre più che mai pensare che qualsiasi traguardo raggiunto non si dà una volta per tutte, perchè la Costituzione -per dirla con Piero Calamandrei[1] “non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé”: la democrazia è un bene che va alimentato e rinnovato giorno dopo giorno da parte di ciascuno di noi, bisogna metterci l’anima dentro, sentirla come un qualcosa che ci appartiene e mantenerla in vita con impegno e dedizione.
NOTE
[1] P. Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza. Milano, 26 gennaio 1955.
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