È la regina delle maratone. New York, la città che ogni anno accoglie oltre 50.000 atleti con un unico obiettivo: correre i 42 km più ambiti al mondo

Immaginate di correre per le strade di una delle città più conosciute al mondo con milioni di persone che vi incoraggiano come se stessero tifando per la loro squadra del cuore. È questo quello che si prova a partecipare alla maratona di New York, non “una” ma la Maratona per eccellenza, quella che qualsiasi partecipante ha descritto come “un’esperienza irripetibile e impossibile da raccontare”. È quella più rinomata e per questo è riuscita a guadagnarsi un posto nel World Marathon Major, il circuito professionistico nato nel 2006 che comprende le cinque maratone più importanti al mondo: Berlino, Boston, Chicago, Londra e New York. 

La vera origine della competizione è da ricondurre al 13 settembre del 1970 quando Vincent Chiappetta e Fred Lebow, presidenti del New York Road Runners Club, organizzarono per la prima volta i noti 42.195 metri. A quella prima gara, un percorso di 6 giri intorno a Central Park, parteciparono 127 podisti (tra cui solo una donna) al prezzo di un dollaro ma soltanto in 55 riuscirono ad arrivare fino in fondo. Durante le prime edizioni le ricompense dei vincitori per i primi posti erano orologi da polso e trofei riciclati da tornei di bowling e di baseball disputati nel Bronx. Oggi il valore complessivo dei premi è di 534.000 dollari statunitensi da dividere tra i primi 10 classificati (il primo ne vince 100.000). Alla morte di Fred Lebow, avvenuta nel 1994, venne fatta scolpire una statua per ricordarlo: questa raffigura il fondatore con indosso una tuta e un cappello da corsa mentre controlla l’orologio nel momento in cui i corridori tagliano il traguardo. Ogni anno, nel giorno della competizione, la scultura viene spostata in un punto vicino all’arrivo. Lebow pensava che la gara da lui istituita fosse “una corsa per tutti: uomini e donne di ogni colore, credo e nazione, indipendentemente dalle capacità.

Dal 1976, anno della celebrazione del bicentenario degli Stati Uniti, l’evento si è ingrandito sempre di più. La prima domenica del mese di novembre di ogni anno è dedicata alla maratona la quale deve essere svolta entro un limite massimo di 8 ore e mezza affinché il corridore possa far parte della lista dei classificati (il tempo medio dei professionisti è di due ore o poco più). L’inizio della corsa avviene alle 10:10 di mattina e lungo i primi quattro km le strade si riempiono di vestiti che gli atleti si tolgono per essere più leggeri durante la corsa. Ogni anno vengono quindi raccolte diverse tonnellate di indumenti che vengono poi donati a Goodwill, un’organizzazione americana senza scopo di lucro. Il percorso che si compie ancora oggi è lo stesso sperimentato nel ‘76 e tocca tutti e cinque i distretti della metropoli: si parte da Staten Island (ponte di Verrazzano), poi Brooklyn, Queens, Bronx e infine Manhattan (Central Park South) dove si taglia il traguardo. 

La caratteristica che però rende speciale questa maratona è l’unicità del pubblico, un popolo pronto a entusiasmare, a fare festa, a emozionarsi nel vedere un corridore che non punta al primo posto ma che cerca con sudore e fatica di superare i propri limiti. In ogni angolo della città c’è gente che applaude, urla, suona e sfoggia cartelli con scritte di incoraggiamento. Volti sconosciuti che sorridono agli atleti, che porgono le mani per battere il “cinque”, che offrono cibo per aiutare ad arrivare alla fine. Uno dei momenti più particolari da vivere lo si incontra al 14esimo km dove da 35 anni la Bishop Loughlin High School Band suona senza mai interrompersi Gonna Fly Now, dalla colonna sonora della saga cinematografica di Rocky, per accompagnare il passaggio di ogni concorrente in gara. Un’energia che travolge e che fa sentire i runners acclamati e amati da una delle città più cosmopolite al mondo. 

Tra le curiosità che negli anni hanno contraddistinto la Maratona di New York c’è la partecipazione dell’atleta Rosie Ruiz avvenuta nel 1979. La donna terminò la gara in poco meno di tre ore ma il suo risultato parve strano fin da subito perché nelle dichiarazioni rilasciate non mostrò grande stanchezza, comune dopo un percorso così lungo e difficile. Si scoprì infatti che Ruiz aveva saltato gran parte del percorso prendendo la metropolitana. Oggi grazie alla tecnologia non è possibile barare: a ogni partecipante infatti viene messo un chip nelle scarpe. Se qualcuno è stato campione di imbrogli, nella lunga storia della maratona è esistito anche chi ha letteralmente dato la vita per portarla a termine. Solo in occasione dell’edizione del 2008 il brasiliano Carlos Jose Gomes crollò a terra dopo aver superato la linea del traguardo, Joseph Marotta venne colpito da un infarto al termine della sua quarta maratona di New York e Fred Costa collassò nel corso della gara morendo 13 giorni dopo. Un’altra edizione tristemente ricordata è quella del 2012, quando la competizione venne annullata il giorno prima dal sindaco della città, Michael Bloomberg, per il passaggio dell’uragano Sandy che aveva devastato la Grande Mela.

Sono migliaia gli atleti da tutte le parti del mondo che annualmente prendono parte all’evento: dall’Italia ne arrivano oltre 2.000 ogni anno. Nel corso della storia quattro di loro hanno lasciato il segno tricolore tra le affollate strade della città: Orlando Pizzolato, vincitore nell’84 e nell’85, Gianni Poli medaglia d’oro l’anno successivo e Giacomo Leone, primo posto nel 1996. L’unica donna italiana ad arrivare alla vittoria è stata Franca Fiacconi nel 1998. Poli raccontando la sua esperienza ha detto: «gli ultimi metri mi sembrava di essere diventato un palombaro e dall’emozione la fascia dell’arrivo sembrava irraggiungibile. È stato uno dei momenti più potenti che abbia mai vissuto».
Oltre ad essere un avvenimento che porta festa inondando le strade di sport e sana competizione, la New York City Marathon è un emblema mondiale della parità e dell’uguaglianza tra sessi. Fino al 1970, infatti, la federazione sportiva degli Stati Uniti, la Amateur Athletic Union, non concedeva alle donne la licenza di partecipazione alle maratone. È stato grazie a Lebow e Chiappetta, i quali sostennero le proteste del genere femminile, che finalmente le donne iniziarono a gareggiare.
Sono gli amanti della corsa a fare New York. Non sarà la maratona più antica e nemmeno quella più veloce al mondo ma rimarrà sempre il sogno nel cassetto di ogni corridore, che si realizzi o meno. Non è facile spiegarlo a parole, dicono, ma sembra poter essere equiparata ad una corsa dentro un film da attore protagonista.