I 75 lunghi anni di una Carta costituzionale che, cercando il riscatto dal Regno e dal Fascismo, ha condotto l’Italia fino a oggi

Scritta, rigida, lunga, votata, laica, compromissoria, democratica e programmatica. Ma anche giovane, riformata, adattata, spesso criticata ma a tratti lodata. Nel 2023 la Repubblica italiana festeggia il 75esimo compleanno della sua Costituzione, garante dello Stato e fonte primaria della giustizia, pietra miliare posta sul cammino della rinascita per indicare il futuro.

In questi decenni la Carta ha assunto per gli organi statali italiani il ruolo del Virgilio dantesco: una guida per il “viator” addentratosi nella “selva oscura”, un simbolo della ragione umana che svela le “segrete cose” e riporta sulla corretta via, un maestro d’arte e politica. Se con la Divina Commedia, infatti, Dante è diventato “il padre della lingua italiana”, con la sua entrata in vigore la Costituzione è diventata madre biologica e matrice di una “lingua” di democrazia.

Per comprendere appieno oggi il valore della Costituzione italiana, e soprattutto i suoi cambiamenti, non ci si può esimere dal rivedere la sua genesi. Se guardiamo all’Italia di oggi, infatti, guardiamo a uno Stato appartenente al cosiddetto Primo Mondo, l’ottava potenza economica mondiale che vanta, tra gli altri, un alto indice di sviluppo umano e di speranza di vita, un prezioso alleato geopolitico, tra i Paesi fondatori delle principali istituzioni sovranazionali, oltre che sito storico, culturale e paesaggistico per eccellenza. 75 anni fa, al contrario, la situazione era molto diversa. Prima del 1° gennaio 1948 (entrata in vigore dell’allora nuova Costituzione, come vedremo) l’ancora Regno d’Italia era amministrato dalla “legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia sabauda”, come recita il preambolo autografo del sovrano dello Statuto Albertino. Al netto dell’altisonante monito, la carta ottriata, proclamata forzatamente e frettolosamente l’8 marzo del 1848 per arginare le sempre più insistenti spinte democratiche, presentava un (o forse più d’uno) difetto fatale, ovvero non prevedeva meccanismi aggravati per la sua modifica, lasciando così spazio negli anni Venti alla deriva dittatoriale fascista. Durante il ventennio lo Statuto venne svuotato di ogni valore giuridico e politico permettendo così il sovvertimento dell’assetto liberale dello Stato, la promulgazione delle leggi fascistissime e il rimpiazzo degli organi parlamentari con loro copie create ad hoc composte solo da rappresentanti del Partito Nazionale Fascista, di fatto partito unico. D’altro canto, nel pieno di un conflitto mondiale che segnerà la Storia dell’umanità in modo indelebile, proprio la Carta di re Carlo Alberto, in un ultimo anelito vitale, permise a Vittorio Emanuele III – su “suggerimento” dell’unico organo statale indipendente, il Gran Consiglio del Fascismo – di appellarsi alla “suprema iniziativa di decisione” espressa dall’articolo 5 per sfiduciare il governo di Benito Mussolini e intraprendere un percorso di resa, liberazione, riunificazione, pace e, infine, democratizzazione del Paese.

Il preambolo, seppur forse pleonastico, fornisce un quadro ben chiaro di tutto ciò che dal momento della sua entrata in vigore la futura Costituzione avrebbe dovuto rendere inattuabile. Nel 1946 l’Italia era ridotta in macerie, bisognava ricostruire non solo il tangibile ma anche l’intangibile, ripartire dalle basi, ovvero dall’articolo 1 del decreto legge luogotenenziale n.151 del 1944 che stabiliva che “dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova Costituzione dello Stato”. L’elezione – la prima nella storia italiana aperta alle donne – ebbe luogo il 2 giugno del 1946: su un’affluenza dell’89,08% (pari a quasi 25 milioni di italiani su circa 28 milioni aventi diritto), il 54,27% decise che la monarchia doveva lasciare il passo alla repubblica mentre quasi il 75% stabilì che la formazione dell’Assemblea che avrebbe redatto e approvato la nuova Costituzione doveva essere rappresentata in larga parte da Democrazia Cristiana, Partito Socialista e Partito Comunista. Questi partiti e i loro appartenenti si erano già resi protagonisti del Comitato di Liberazione Nazionale, dunque dovettero apparire al popolo come i più validi per risollevare il Paese dopo averlo liberato, con la convinzione che avrebbero messo da parte le loro divergenze ideologiche per il bene dell’unità. Per dirla romanticamente come Roberto Benigni dal palco dell’Ariston durante la prima serata dell’edizione 2023 del Festival di Sanremo, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sarebbero stati “divisi su tutto ma d’accordo su una cosa: essere uniti”.

Il 25 giugno successivo l’aula, poi presieduta da Giuseppe Saragat e organizzata in una commissione, tre sottocommissioni e un comitato, si insediò per la prima volta e impiegò 18 mesi per elaborare, discutere e infine, il 22 dicembre del 1947, approvare la Carta, proclamata il successivo 27 dicembre ed entrata in vigore con la prima alba del nuovo anno. I padri – e le madri, 21 precisamente – costituenti si impegnarono affinché il documento rispettasse alcuni parametri e si allontanasse così il più possibile dai suoi nefasti precedenti. È in tal senso che la Costituzione italiana oggi è definita come: scritta (contenuta in un testo legislativo), rigida (può essere modificata limitatamente solo tramite un procedimento parlamentare aggravato e, in quanto fonte primaria del diritto italiano, ogni legge in contrasto con i suoi contenuti va rimossa da un organo specifico), lunga (abbraccia numerosi ambiti della vita civile), votata (frutto di un patto tra il popolo e i suoi rappresentanti), laica (definisce una forma statale indipendente e priva di una religione ufficiale), compromissoria (risultato di una collaborazione tra forze politiche), democratica (basata sulla sovranità popolare esercitata in forme e con limiti esplicitati), programmatica (rappresenta un programma per il futuro del Paese).

Questi elementi si dipanano lungo tutta la sua struttura, 139 articoli (divisi in 12 immutabili “Principi Fondamentali”, 42 “Diritti e Doveri dei cittadini”, 85 che definiscono l’“Ordinamento della Repubblica”), di cui cinque abrogati, e 18 disposizioni transitorie e finali, suddivise in quattro sezioni. Delle 9.369 parole totali che costituiscono il documento, quelle che forse rappresentano al meglio il tentativo dell’Assemblea di scongiurare il ripetersi della Storia sono quelle del Titolo VI della Seconda parte, le “Garanzie Costituzionali”. Gli articoli dal 134 al 139, infatti, esplicano la formazione e i poteri dell’organo garante, ovvero la Corte Costituzionale, e gli strumenti – limitati e limitanti – di revisione costituzionale, da cui viene esclusa in modo definitivo la “forma repubblicana” dello Stato. Lungi dall’essere perfetta, tuttavia, i suoi creatori erano ben coscienti del relativismo storico di cui era frutto e si auguravano, con “la certezza che durerà a lungo e forse non finirà mai”, che le generazioni successive fossero pronte e in grado di rimediare “alle lacune ed ai difetti, che esistono, e sono inevitabili”, come scriveva l’allora presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini in un resoconto del 22 dicembre 1947.

Al pari di una profezia autoavverante, le generazioni che si sono succedute hanno effettivamente lasciato la loro impronta sulla Carta, tentando di adattarla alle necessità dello Stato, della popolazione e dei “tempi che corrono”, sebbene dopo 75 anni questa appaia in larga parte simile a quella promulgata sul finire del 1947. Sono stati infatti “solo” 47 i provvedimenti costituzionali approvati fino a oggi, tra riforme, abrogazioni e integrazioni. Le leggi di revisione costituzionale che si contano sono 16: cinque riguardanti la formazione delle Camere parlamentari, quattro riferite al Titolo V “Le Regioni, le Province, i Comuni”, due la Corte Costituzionale, una sui poteri del Presidente della Repubblica, due sui rapporti politici, civili ed economici, due sulla formazione delle leggi e, infine, una sull’Ordinamento giurisdizionale. Di queste alcune sono state esaminate e approvate dietro input di organi e carte sovranazionali, come la 1/2007 che esclude i “casi previsti dalle leggi militari di guerra” dall’articolo 27, abolendo di fatto la pena di morte in qualsiasi circostanza, o la 1/2012 che ha introdotto il principio dell’“equilibrio di bilancio” su richiesta del Trattato europeo Fiscal Compact. Altre hanno preso le mosse da temi sociali, come ad esempio la 2/1999 che introduce il principio del giusto processo all’articolo 111, la 1/2003 che ha stabilito come la Repubblica deve promuovere “con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini” nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, e la 1/2022 – la più recente – che all’articolo 9 ha introdotto la tutela per “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni” e ha aggiunto le diciture “salute” e “ambiente” all’articolo 41 sui canoni da rispettare per l’iniziativa economica privata.

Di tutte le riforme approvate, poi, solo due sono state sottoposte a referendum costituzionale e hanno avuto esito positivo: la modifica del Titolo V approvata dal 64,21% dei votanti nell’ottobre del 2001 e la riduzione del numero dei parlamentari a cui il 69,96% ha detto sì nel settembre del 2020. In altri due casi, al contrario, provvedimenti già approvati dal Parlamento sono stati bocciati dal popolo votante: la modifica della Parte II della Costituzione e la cosiddetta riforma “RenziBoschi”, stroncate dal no del 61,29% e del 59,12% dei votanti nel giugno del 2006 e nel dicembre del 2016. Il 75esimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione non rappresenta solo un’occasione di tirare le somme ma anche e soprattutto un’opportunità di guardare ai prossimi 75 anni e più dell’Italia. La XIX Legislatura, convocata per la prima volta lo scorso 13 ottobre dopo le elezioni nazionali di settembre, ha già proposto numerose riforme e integrazioni alla Carta, attualmente assegnate e in esame presso la Commissione Affari Costituzionali, toccando numerosi ambiti della vita del Paese, tra cui lo sport, la magistratura, le infrastrutture e la pubblica amministrazione, la lingua italiana, le professioni, l’iniziativa economica privata, le competenze legislative, l’accesso alla rete Internet, la tutela delle vittime di reati, la responsabilità penale, e via continuando. La celebrazione più adeguata per questo anniversario, dunque, è quella di sperare e lottare perché questa Carta continui a mutare restando allo stesso tempo colonna portante e garanzia di democrazia. Per – come disse Enrico De Nicola, unico capo provvisorio dello Stato e successivamente primo Presidente della Repubblica italiana – andare avanti con “sicura coscienza”.