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Il reato di muharebeh, ovvero “guerra contro Dio”, secondo i religiosi esperti sarebbe da applicare alla guerra, non agli scontri tra una o due persone

La Corte suprema iraniana ha sospeso l’esecuzione del 23enne Mahan Sadrat Marni, manifestante condannato a morte negli scorsi giorni, la terza dall’inizio delle proteste. Lo ha annunciato il suo avvocato, Abbas Mousavi, specificando che la decisione si basa su una richiesta di riprendere il procedimento penale. Teheran ha confermato la notizia.

Il parlamentare tedesco Hakan Demir, intanto, avrebbe assunto la garanzia politica di due fratelli – Farhad e Farzad Tahazadeh, di Ashnoye – accusati di “guerra contro Dio” e condannati a morte per aver preso parte alle proteste nel tentativo di impedire l’esecuzione che sembrerebbe imminente. Lo rende noto Bbc Persia. Un altro membro del parlamento tedesco, Yeh Van Ree, ha assunto il patrocinio politico del rapper incarcerato Tomaj Salehi.

I media curdi hanno riferito che negli ultimi mesi 6 manifestanti di Ashnoye, di nome Mola Bengini, Karvan Shahi Parvaneh, Reza Islam Dost, Hejar Hamidi e Farhad e Farzad Tahazadeh, sono stati condannati a morte dal tribunale rivoluzionario di Urmia. Il governo non ha fornito notizie, come riferisce Iran International.

Le stesse autorità iraniane hanno d’altro canto annunciato di aver emesso una maxi condanna a 28 anni di carcere nei confronti dell’operatore umanitario belga Olivier Vandecasteele. Un portavoce della famiglia ha fatto sapere lo sconvolgimento alla notizia della condanna.

Anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha espresso parole di condanna per le esecuzioni: «quanto accade in Iran è assolutamente inaccettabile. L’orrore delle esecuzioni capitali dei manifestanti segna un punto di non ritorno. Abbiamo espresso l’indignazione del governo italiano. Nessuno al mondo può arrogarsi il diritto di togliere la vita a un essere umano».

In occasione del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, dove si è votato per rimuovere l’Iran dalla Commissione sulla condizione delle donne, l’ambasciatrice americana all’Onu Linda Thomas-Greenfield ha dichiarato che “la risoluzione di oggi è importante. Risuonerà in tutto il mondo e risponde all’appello delle voci della società civile in Iran“. L’ambasciatrice ha poi ricordato che “la Commissione è il principale organismo Onu per promuovere la parità di genere e l’emancipazione delle donne. Non può svolgere il suo lavoro se viene minata dall’interno. L’adesione dell’Iran in questo momento è una brutta macchia sulla credibilità di questo organo“.

Tre ayatollah iraniani contro le esecuzioni

Non tutti gli appartenenti all’establishment sciita iraniano sembrano d’accordo con le condanne a morte dei manifestanti, alcuni ayatollah sembrano infatti manifestare dissenso contro la linea dura dimostrata fino a ora della magistratura e criticata a livello internazionale.

«Chiunque sia accusato di muharebeh ovvero di guerra contro Dio o “corruzione sulla terra”non dovrebbe essere necessariamente giustiziato», ha dichiarato all’Ilna un membro dell’assemblea degli esperti ed ex capo della Corte suprema, l’ayatollah Morteza Moghtadai, aggiungendo che secondo l’Islam tali accuse sono legate alla guerra, non agli scontri tra una o due persone. Gli hanno fatto eco altri due ayatollah.

L’ayatollah Mohammadali Ayazi, membro dell’assemblea della città santa di Qom, ad esempio, ha dichiarato che la muharebeh viene usata in tempo di guerra, non per le proteste o gli scontri di piazza. «La partecipazione a qualsiasi cerimonia organizzata da questo regime tirannico è haram (religiosamente proibita) fino a quando non sospenderanno le esecuzioni», ha aggiunto un altro ayatollah, Mahmoud Amjad, istruttore al seminario di Qom.

di: Alessia MALCAUS

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