Zaino in spalla, uno smartphone e una connessione. Sono i ferri del mestiere di chi sceglie il mondo intero come ufficio

Sostenere nel 2023 che Internet abbia cambiato il modo di vivere dell’umanità suona quasi anacronistico. È una di quelle verità già storiche, un po’ come dire “non esistono più le mezze stagioni“. Eppure ci sono ancora territori del web se non inesplorati sicuramente poco conosciuti e alcune delle possibilità che Internet offre, soprattutto dal punto di vista lavorativo, sono guardate con sospetto o sufficienza. Negli ultimi anni a margine dei canali tradizionali, in tutte le zone d’ombra lasciate dall’impiego pubblico e privato, sono nate nuove figure professionali che gravitano intorno al mondo di web e social media: web developer, content creator, web designer, per citarne alcuni; ma ne esistono anche altre che si sono per così dire trasformate, usando lo tsunami della digitalizzazione per scavalcare i confini del proprio lavoro e trasformarlo in qualcos’altro. Parliamo per esempio di giornalisti, traduttori, ma anche insegnanti di yoga, programmatori e consulenti, che sono usciti dalla gabbia dorata dell’ufficio e hanno cominciato a esercitare la propria professione armati soltanto di tablet e di una buona connessione Internet. Loro sono i nomadi digitali.

Il fenomeno si è diffuso così rapidamente che negli ultimi anni è nata una vera e propria organizzazione, l’Associazione Italiana Nomadi Digitali, che lavora per incentivare la cultura del lavoro da remoto e del nomadismo digitale in Italia in modo da attrarre remote worker provenienti da tutto il mondo e migliorare la qualità di vita degli italiani che scelgono di condurre questo stile di vita. «Non è il lavoro che scegli che ti definisce nomade digitale. Sei tu che decidi, avendo la possibilità di lavorare ovunque, di sperimentare nuovi stili di vita, mettendo alla prova la tua creatività, le tue capacità, ma anche il tuo problem solving – Ci spiega Alberto Mattei, fondatore di NomadiDigitali.it e Presidente Associazione Italiana Nomadi Digitali. – Un nomade digitale è una persona che, lavorando da remoto, inizia a sperimentare stili di vita alternativi rispetto a quelli tradizionali. Non si può parlare di un target di lavoratori, è più che altro un movimento di persone che sceglie di vivere, e dunque lavorare, in modo differente». Negli ultimi anni, complice la pandemia, si è innescato un processo di cambiamento che ha coinvolto tanto il mondo del lavoro quanto la società. Termini come “smartworking” e “remote worker” sono entrati a far parte del nostro linguaggio quotidiano e sempre più persone hanno abbandonato le quattro pareti dell’ufficio optando per modalità di gestione della propria vita lavorativa più flessibili. «Sta cambiando il metodo di lavoro, non solo nel mondo ma anche in Italia. Manca, però, la consapevolezza di questi cambiamenti. Il posto fisso rimane culturalmente importante, è un obiettivo vitalizio che viene insegnato nelle scuole ma contrasta con la realtà. Ancora oggi quando parliamo di lavoro, ci riferiamo sempre al lavoro dipendente. Eppure siamo uno dei Paesi con il più alto numero di partite Iva in Europa», riflette Mattei. Ma i cambiamenti, soprattutto quelli che vanno a intaccare gli elementi cardine della società italiana, come il lavoro appunto, vengono ancora guardati con apprensione e, spesso, pregiudizio. «Ho lavorato 10 anni in varie agenzie e prima ancora nella vendita al dettaglio e ristorazione per pagarmi gli studi. Lavoravo tanto ma notavo una dopo l’altra tutte le incongruenze e abitudini che avrei voluto correggere, che sarebbe bastato così poco per migliorare, cambiare e vivere meglio. Ho sempre provato una specie di insofferenza, come se mi sentissi intrappolata in una gabbia, in schemi non miei, ma mi sentivo sempre ripetere che si era sempre fatto così, e così bisognava lavorare. Poi ho aperto la partita Iva e tutto quello che è successo dopo è stato finalmente naturale davvero: lavoro tanto ma finalmente posso gestirmi come voglio, arrivando a essere finalmente padrona del mio tempo. Per lavorare mi bastano un computer e una connessione, adoro viaggiare e così è stato altrettanto naturale iniziare a spostarmi lavorando – ci racconta Veronica Duriavig, graphic e web designer. – Il mio battesimo a nomade digitale è stato il frutto di 12 anni di ragionamenti, nervosismi, rinunce, studi. Si tratta di andare contro ogni strada tracciata». A volte anche contro le aspettative della propria famiglia. «I miei non volevano studiassi grafica perché per loro era un lavoro “artistico” e poco remunerativo. Tuttavia non mi sono mai lasciata influenzare: ho preso un diploma di Grafica Pubblicitaria a Venezia, iniziato subito a lavorare e con altri soldi guadagnati mi sono pagata un Master in Art Direction e uno in UI Design. La passione che nutro per questo lavoro mi porta a formarmi costantemente, con articoli, webinar, corsi, per mantenermi sempre aggiornata e a proporre servizi e soluzioni di alto livello ai miei clienti».

Una delle prime difficoltà che chi sceglie di diventare nomade digitale incontra, è il pregiudizio della società. «In Italia c’è ancora l’idea che il posto fisso possa essere una “merce di scambio”. Non ci sono forme contrattuali altrettanto stimolanti, da un punto di vista di sicurezza. Altrove, invece, cambiano proprio i presupposti. Ci sono professionisti che si legano a un’azienda per un periodo di tempo che ritengono opportuno, con un accordo reciproco basato sul “sei tanto importante per me quanto io lo sono per te”. Il posto fisso è un concetto obsoleto, basta a renderlo tale già il solo fatto che le aziende non “durano” tanto quanto prima. Al giorno d’oggi è necessario puntare tutto su sé stessi, sulle proprie competenze, perché è questo che ci permetterà sempre di andare avanti e ripartire – specifica Mattei. – L’Italia ha un’attrattiva enorme per i nomadi digitali, ma ci sono tre problematiche forti: manca un inquadramento giuridico che tuteli questo stile di vita; mancano le infrastrutture; non c’è cultura digitale. Queste persone sono ancora considerate alla stregua di turisti. Invece sono persone che vengono a vivere temporaneamente nei nostri territori e portano grandi benefici economici, oltre che culturali. Ci vuole formazione ed è questo che stiamo portando avanti con l’Associazione».

«Mentre una persona non nomade finisce di lavorare e va a calcetto, si butta sul divano, o scende al bar, io spengo il computer e vado in spiaggia, a visitare un museo, a riempire i miei occhi sempre con qualcosa di nuovo. La vita prende un’altra velocità. È un modo di vivere diverso», conclude Duriavig, e le sue parole aprono la mente a orizzonti diversi, scenari nuovi, paesaggi inattesi; ché forse, proprio come cantavano altri Nomadi, siamo tutti vagabondi e non serve avere troppi soldi in tasca per godere del vento sulla pelle, del chiarore delle stelle, e sentirsi, ovunque, a casa.