In diverse intercettazioni i vertici delle infiltrazioni locali nella Capitale lamentavano la presenza di magistrati e ufficiali che avevano già “combattuto contro la cosca Alvaro, la nostra famiglia”

A margine dell’arresto di 43 persone nell’ambito dell’inchiesta Propaggine della Dia di Roma contro la ‘Ndrangheta (leggi qui), dall’ordinanza del gip emergono nuovi dettagli sulle ramificazioni mafiose nella Capitale.

Il boss della Locale di ‘Ndrangheta a Roma Antonio Carzo riteneva “rischioso” stare nella Capitale, dove erano stati trasferiti “magistrati e di ufficiali di pg che avevano lavorato in Calabria e avevano combattuto a Sinopoli e Cosoleto contro la cosca Alvaro” (“tutta la famiglia nostra“).

I timori della ‘Ndrangheta sono emersi da alcune intercettazioni, in particolare un discorso di Carzo: «…comunque c’è una Procura… qua a Roma… era tutta la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino», quelli che “combattevano dentro i paesi nostri …Cosoleto … Sinopoli… tutta la famiglia nostra…maledetti“.

Alla luce di questi timori, già nel 2017 Carzo, commentando l’ergastolo comminato a Carlo Cosco e gli esiti del processo Aemilia a Bologna, aveva suggerito ai suoi di stare “quieti quieti“.

«Ormai bisogna capire… c’è stato un periodo che hanno bersagliato i siciliani… Cosa Nostra… Cosa Nostra… e noi… sotto traccia facevamo… ora è da capire che ci hanno preso in tiro a noi calabresi e ora invece dobbiamo stare più quieti… quieti…», fermo restando che, comunque “le cose si fanno…“.

di: Marianna MANCINI

FOTO: ANSA/US DIA