Dal Børsen di Copenhagen a Notre Dame, gli edifici storici simbolo di un Paese che vanno a fuoco e poi rinascono, come Fenici dalle ceneri
Il 16 aprile un incendio ha distrutto l’edificio della Vecchia Borsa di Copenhagen, uno dei simboli della città e della Danimarca intera. Le fiamme che lambiscono e distruggono un edificio di tale portata storica e culturale per un Paese scioccano non solo la popolazione locale ma, nell’era di internet e della globalizzazione, il mondo intero. Se le cause del rogo non sono ancora chiare, risultano evidenti invece i danni che lo stesso ha provocato: il fuoco ha causato il collasso della Guglia del Drago, uno degli elementi più caratteristici di tutto l’edificio rinascimentale, costruito tra il 1619 e il 1640 per volere del re Cristiano IV. E quelle fiamme avviluppate intorno alla guglia più alta dell’edificio hanno richiamato alla mente degli esterrefatti spettatori un altro incendio, che cinque anni fa nello stesso giorno – quando si dice la sorte – ha distrutto parte di Notre Dame, mandando in fumo il cuore stesso di Parigi.
L’incendio alla Vecchia Borsa
La Vecchia Borsa di Copenhagen, il Børsen, oggi utilizzata come sede della Camera di Commercio di Danimarca e da sempre uno degli edifici più apprezzati della città grazie anche alla preziosa collezione di opere d’arte al suo interno, era in ristrutturazione dal 2022.
Secondo il ministro della Cultura Jakob Engel-Schmidt, l’incendio ha provocato la distruzione di “400 anni di patrimonio culturale danese”, e questo benché subito dopo l’inizio del rogo i vigili del fuoco – supportati anche dalla popolazione locale – hanno messo in salvo moltissime opere d’arte, compreso un dipinto del pittore danese Peder Severin Krøyer, datato 1895 e rappresentante una riunione di 50 rappresentanti della finanza e dell’industria danese, ambientata proprio dentro la sala grande del Børsen. Engel-Schmidt ha definito “commovente” l’aiuto ricevuto dai passanti nel “salvare tesori d’arte e immagini iconiche dall’edificio in fiamme”.
Anche il re Frederik X ha commentato quanto accaduto con un post sul profilo ufficiale della famiglia reale danese su Instagram: «questa mattina ci siamo svegliati con uno spettacolo triste. Una parte importante del nostro patrimonio culturale architettonico era e continua a essere in fiamme. Nel corso delle generazioni, la caratteristica guglia del drago ha contribuito a definire Copenhagen come “la città delle torri”».
L’incendio è scoppiato alle 7:40 del mattino e ha provocato il collasso della stessa guglia citata dal re: uno dei simboli più storici e distintivi della capitale. Detta “Guglia del Drago”, era alta 56 metri e rappresentava un drago con quattro code a intrecciate, un simbolo di protezione con una forte valenza che esulava dal mero estetismo: tre delle quattro code rappresentavano i regni di Danimarca, Norvegia e Svezia, avviluppati insieme in segno di unione e forza tramite commercio e cooperazione. Nel 1775 re Cristiano IV aveva voluto che venisse eretta una nuova guglia, simile alla vecchia ma più forte, che venne progettata dal maestro pirotecnico del sovrano: si riteneva che questa nuova costruzione dovesse proteggere l’edificio dai nemici e dal fuoco. Parole che suonano ironiche all’alba del giorno dopo, quando proprio le fiamme hanno portato alla distruzione di un’opera di così grande valore. Ma all’epoca, il progetto della guglia era visto come un vero e proprio “talismano” architettonico, una protezione sicura (o quantomeno il più sicura possibile) in un’epoca in cui i roghi erano un pericolo costante.
A livello artistico, la guglia era un bell’esempio di arte rinascimentale danese, con influenze gotiche e olandesi nella struttura: l’intero progetto era studiato per unire e amalgamare perfettamente la bellezza estetica e il significato simbolico.






Le campane a Notre Dame
È impossibile guardare al disastroso incendio subito da Copenhagen e non tornare con la mente a un’altra immagine destinata a rimanere per sempre impressa nella memoria di tutti, parigini e non: la cattedrale di Notre Dame in fiamme, nella notte tra il 15 e il 16 aprile del 2019, ormai cinque anni fa. Un testimone che ha assistito all’incendio al Børsen, Henrik Grage, lo ha dichiarato senza mezzi termini ai microfoni della BBC: “è una giornata tragica, questa è la nostra Notre Dame”.

La cattedrale di Parigi, realizzata tra il XII e il XIV secolo sull’Ile de la Cité di Parigi, non ha mai subito incendi fino a quella notte del 2019 quando un cortocircuito (questa, almeno, è la teoria più accreditata nel momento in cui scriviamo questo articolo) ha causato le fiamme che hanno distrutto i due terzi del tetto e la guglia centrale. Le vetrate sono state danneggiate ma non irreparabilmente. Quella notte – durante la quale la Ville Lumiere non poté dormire – ci vollero 400 pompieri e 15 ore di lavoro per spegnere le fiamme. Sulla cattedrale era presente un cantiere, per un imponente progetto di ristrutturazione decennale che era iniziato l’anno precedente ed era costato al Governo 150 milioni di euro: in tutta Notre Dame, tanto all’interno quanto all’esterno, erano presenti impalcature in legno che hanno contribuito al propagarsi delle fiamme.
Il danno è stato enorme non solo in termini simbolici ed economici ma anche turistici: Notre Dame è il secondo monumento più visitato di Parigi dopo la Tour Eiffel e persino prima del Louvre. Inoltre è la seconda chiesa più visitata d’Europa dopo la Basilica di San Pietro a Roma. La preoccupazione per i tesori che contiene è stata altissima nelle ore successive all’incendio. Sono stati salvati la tunica di San Luigi e la corona di spine di Cristo (quella che sarebbe stata usata dai soldati romani sopra la testa di Gesù prima della crocifissione). Inoltre, è rimasta integra la Rose du Midi, il rosone principale della cattedrale, risalente al 1260. Per quanto riguarda invece il galletto dorato, il pezzo forse più simbolico della cattedrale, era andato completamente distrutto ma è stato ricostruito e riportato in cima alla guglia di 96 metri all’inizio di dicembre di quest’anno. Il responsabile dei monumenti storici, Philippe Villeneuve, ha dichiarato che il nuovo galletto ha “le ali di fuoco, per ricordare che la cattedrale può risorgere dalle sue ceneri, come la fenice”.

I lavori sono stati intensi ma l’obiettivo era di far coincidere la riapertura con i Giochi olimpici di Parigi del prossimo luglio. Sono stati investiti centinaia di milioni di euro e sono stati raccolti oltre 840 milioni da tutto il mondo. Una corsa che ricorda quella del periodo di Victor Hugo, quando la cattedrale era stata devastata e depredata negli anni della Rivoluzione: in quel caso fu proprio Hugo il protagonista della campagna per la ricostruzione, lo stesso che poi scrisse l’immortale romanzo “Notre Dame de Paris”, consegnando al mondo i personaggi indimenticabili del gobbo Quasimodo e della zingara Esmeralda.
Dalle ceneri come una fenice
Notre Dame e la Borsa di Copenhagen non sono gli unici edifici importantissimi da un punto di vista storico e culturale a essere stati devastati dalle fiamme nel corso dell’ultimo secolo. Dal 1984 ad oggi ci sono stati altri casi ugualmente gravi dovuti quando all’errore umano e quando a eventi naturali, che hanno comportato perdite significative in quel museo a cielo aperto che è l’Europa.

Il 9 luglio del 1984 è andata in fiamme la cattedrale di York: il rogo è scoppiato nel transetto sud della cattedrale anglicana, la seconda chiesa in stile gotico più grande dopo Colonia, costruita a metà del XIII secolo ma le cui fondamenta risalgono al 627 dopo Cristo. La storia della cattedrale è tormentata quanto quella inglese: nel 741 fu distrutta da un incendio, nel 1753 venne colpita da pezzi di carbone ardente, nel 1829 le venne dato fuoco da un pazzo e nel 1840 invece l’incendio divampò a causa di una candela lasciata incustodita. Ciò nonostante la Cattedrale è sempre risorta dalle proprie ceneri, come una Fenice, e ancora oggi svetta lì, più bella che mai.

Ma ci sono altri casi illustri: nel 1986 è andato in fumo Hamtpon Court Palace, nel 1992 nientemeno che il Castello di Windsor. Nel ’94 è stato il turno del Gran Teatre del Liceu a Barcellona, mentre nel ’96 è bruciato il Teatro La Fenice di Venezia. Nel 1999 è stato il turno della Biblioteca dell’Università di Lione, in Francia, nel 2003 le fiamme hanno distrutto il castello di Luneville, datato XIII secolo, sulla Loira. Nel 2005 è bruciato il Palazzo d’estate di Pietro il Grande a San Pietroburgo, in Russia. In tempi più recenti sono stati innumerevoli gli incendi scoppiati nel Regno Unito (nel 2015 ci sono stati roghi ad Albert Square, all’Arts Centre di Battersea, al Clandon Park House di Guildford e all’All Saints Church di Fleet).
di: Micaela FERRARO
FOTO: SHUTTERSTOCK