etiopia

La drammatica situazione dello Stato africano, nonostante gli appelli delle Ong, non riesce a scuotere la comunità internazionale

La Commissione Etiope per i Diritti Umani (Ehrc) ha diffuso un comunicato che riporta la notizia dell’omicidio di almeno 45 civili compiuto dalle forze di sicurezza dell’Etiopia nello stato regionale di Amhara alla fine di gennaio. Si legge nel comunicato che è stata confermata “l’identità delle vittime che sono stati uccise in modo extragiudiziale dalle forze di sicurezza governative” a Merawi; con ogni probabilità i civili avrebbero sostenuto la milizia di etnia Amhara Fano (in contrasto al governo generale dopo la decisione di smantellare le forze regionali). Secondo quanto scrive l’Ehrcsi può presumere che il numero delle vittime sia ancora più alto”, inoltre almeno 15 persone – tra cui diverse donne – sarebbero state uccise in un blitz porta a porta compiuto dalle forze governative a inizio gennaio in un’altra zona di Amhara.

Secondo quanto riporta RaiNews gli scontri tra esercito regolare e Fano sono iniziati ad aprile scorso, proprio a seguito dell’ordine del governo di Addis Abeba di integrazione delle forze federali di sicurezza delle 10 regioni dell’Etiopia.

Come si legge sul portale specializzato africarivista.it una nota del governo dell’aprile 2023 recita: «il governo ha stabilito una direzione per costruire un esercito forte e centralizzato… ha avviato passi concreti che consentiranno alle forze speciali di ogni regione di essere integrate in diverse strutture di sicurezza», contestualmente i media locali di Amhara parlavano di scontri tra forze regionale e nazionali dettate dalla decisione delle forze regionali di non consegnare le armi (parte del processo di integrazione) e il Governo, confermando le tensioni nella regione ha parlato di “un’incomprensione”.

Donne e bambini sfollati attendono i medici a Dollow, città a confine tra Somalia ed Etiopia, 29 gennaio 2024. EPA/DANIEL IRUNGU

The Africa Report già nel settembre 2023 parlava di una possibile guerra civile in Etiopia a causa dei combattimenti ad Amhara, la seconda regione più popolosa del Paese, scoppiati a inizio agosto, a poco più di un anno dalla firma del cessate il fuoco della guerra del Tigray. A seguito degli scontri il Governo di Addis Abeba ad agosto ha dichiarato lo stato di emergenza (prorogato fino a febbraio), a metà agosto un attacco aereo ha ucciso oltre 30 persone nella città di Finote Selam e secondo alcuni testimoni locale a inizio settembre l’esercito avrebbe ucciso oltre 20 civili disarmati. Da un rapporto Onu risulta che alla fine di agosto almeno 183 persone sono state uccise in tutta l’Amhara. 

Fano, cos’è?

Fano è un gruppo etno-nazionalista che sostiene di rappresentare l’Amhara, la regione che storicamente dominava la vita economica, culturare e politica in Etiopia. Fano si traduce, in maniera piuttosto vaga, come “combattente per la libertà” e nonostante nell’immaginario la sua radici risalgano ai tempi dell’occupazione fascista del ‘900 – il termine storicamente infatti si riferisce ai soldati irregolari che partecipano a campagne militari volontariamente e si rifà ai combattenti della seconda guerra italo-etiopica – le milizie si sono formate durante le proteste di massa contro l’ex regime dominato dal Fronte di Liberazione del Popolo del Tigrè (TPLF) scoppiate nel 2016. Durante le proteste la milizia assume il carattere di un movimento giovanile, e appoggia l’integrazione di Welkait, Kafta Humera e Tsegede (ufficialmente situati nella regione del Tigrè) in Amhara; molti dei leader vengono incarcerati e rilasciati solo nel 2018 dal nuovo primo ministro, Abiy Ahmed e a seguito della loro liberazione sono ripresi gli scontri con l’esercito, così all’inizio del 2020 il governo tenta di sciogliere la milizia. Il quadro cambia nuovamente nel novembre 2020 quando Fano diviene un alleato chiave dell’esercito regolare allo scoppio della guerra con il Fronte di Liberazione del Popolo

Fano è legato indissolubilmente al cristianesimo ortodosso etiope e i militanti sostengono che il governo centrale stia perpetrando un genocidio contro la popolazione dell’Amhara, ricevendo un consenso forte dalla popolazione locale. 

Manifestazione militare, Addis Abeba, 4 novembre 2021. EPA/STR

La guerra del Tigrè

Il conflitto nel Tigrè scoppia il 3 novembre 2020 e vede contrapporsi le forze del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè e quelle del Governo Federale Etiope. 

Le tensioni iniziano però nel 2018, con l’ascesa al potere di Abiy Ahmed Ali innanzitutto va notato che il TPLF, per decenni è stato al governo alla guida della coalizione Fronte Rivoluzionario Democratico del Popolo Etiope, inoltre l’etnia tigrina – nonostante fosse numericamente inferiore –  ha dominato sull’etnia oromo Abiy Ahmed Ali è il primo primo ministro di etnia oromo e i tigrini hanno temuto una sempre maggiore marginalizzazione. 

Il neo premier promette di liberalizzare l’economia statale e liberando prigionieri politici, giornalisti e attivisti dell’opposizione che si trovano in carcere. Ciò porta però a riemergere tensioni che il governo oppressivo aveva solo silenziato, senza risolvere. Nel novembre 2019 il premier e il presidente del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope decidono di unificare i partiti della coalizione nel Partito della Prosperità, una scelta che il TPLF considera illegale e per questo non partecipa, a ciò si aggiunge, nel marzo 2020, il rinvio a data da destinarsi alle elezioni parlamentari (previste ad agosto) a causa della pandemia. La scelta è appoggiata anche da alcuni partiti di opposizione (come il Fronte di Liberazione Oromo e il Movimento Nazionale di Amhara). Secondo quanto stabilito dall’organo consultivo della Camera della Federazione le elezioni si sarebbero dovute tenere 9-12 mesi dopo che il covid non fosse più un problema di salute pubblica, il 10 giugno 2020 il Parlamento etiope approva un permesso per il premier Abiy Ahmed Ali che gli consente di rimanere in carica anche dopo la fine del mandato. Una mossa malvista dall’opposizione che accusa il primo ministro di utilizzare la pandemia come scusa per prolungare il mandato, viene dunque chiesto un governo provvisorio, ma questa possibilità è giudicata impraticabile dallo stesso Abiy Ahmed Ali

Manifestazione a supporto delle forze governative ad Addis Ababa, 07 Novembre 2021. ANSA/EPA/STR

Il TPLF a giugno minaccia di tenere elezioni proprie nella regione del Tigrè, mossa giudicata “un atto illegale e illegittimo” e che avrebbe messo “in pericolo la pace e la stabilità del Paese” dai partiti di opposizione Congresso Federalista Oromo e Fronte di Liberazione Oromo

Intanto la pandemia miete sempre più vittime e mette sempre più in ginocchio l’economia del Paese, aumentando le tensioni. Moti di protesta seguono l’omicidio a colpi di arma da fuoco del cantante oromo Hachalu Hundessa nella capitale, ondate di proteste che hanno causato 167 feriti gravi, 166 morti (di cui 155 civili e 11 membri delle forze di sicurezza) e circa 1.084 arresti, in prigione finiscono molti esponenti politici di opposizione come Jawar Mohammed, leader di un gruppo oromo considerato il principale rivale di Abiy Ahmed Ali. Gli scontri, per lo più di natura etnica, proseguono nonostante gli sforzi del premier e secondo un report di Amnesty International, uccisioni sommarie, torture e arresti non si sono mai interrotti durante tutto il 2019, soprattutto nelle regioni di Oromia e Amhara.

In questa cornice all’inizio di settembre, nonostante il parere contrario del governo, i leader del Tigrè organizzano le elezioni, il TPLF vince tutti i seggi disponibili nel Parlamento regionale e le elezioni, che il primo ministro Abiy Ahmed Ali definisce “illegali“, divengono così il primo passo verso la secessione.

Gli scontri veri e propri hanno inizio a novembre, quando a un generale nominato dal governo centrale il governo del Tigrè impedisce di assumere l’incarico miliare, le forze del Tigrè, durante la notte, lanciano degli attacchi alle basi del Comando Nord (nella capitale regionale del Tigrè, Macallè) della Forza di difesa nazionale etiope. L’indomani Abiy Ahmed Ali ordina l’offensiva militare e impone lo stato d’emergenza per 6 mesi nella regione, vengono anche sospesi collegamenti telefonici e Internet alla popolazione. Nei giorni seguenti gli scontri si concentrano sul confine della regione e il 7 novembre la camera alta del Parlamento vota per lo scioglimento del governo del Tigrè che viene dichiarato illegittimo e per l’istituzione di un governo a interim nella regione. Nella notte tra 9 e 10 novembre, secondo quanto documentato da Amnesty International, avviene un massaro nella cittadina di Mai-Kadra. Vengono uccisi quasi 500 civili perlopiù appartenenti all’etnia Amhara, secondo alcune testimonianze raccolte dalla Ong, ma non confermate, l’attacco ai civili sarebbe stato effettuato da milizie fedeli a TPLF.

Gli scontri provocano la fuga di migliaia di civili nel vicino Sudan. La guerra continua con lanci di razzi e, il 15 novembre, il governo annuncia il controllo di Alamata, al confine con la regione di Amhara, e Humera. Nei giorni seguenti le forze governative prendono sempre maggior controllo sulla regione. La guerra si è conclusa con un accordo di pace che ha visto l’Unione Africana come mediatrice ed è entrato in vigore in occasione del secondo anniversario della guerra, il 3 novembre 2022. I negoziati per arrivare all’accordo erano iniziati a ottobre in Sudafrica, dopo già lunghe trattative segrete mediate dagli Stati Uniti, e ad agosto era stata interrotta la tregua informale durata cinque mesi. Uno dei punti dell’accordo di pace è il ripristino dell’invio di aiuti umanitari al Tigrè.

Durante il conflitto con il TPLF Fano viene, in parte, istituzionalizzato nonostante alla milizia manchi una struttura formale. Durante la guerra i miliziani combattono con l’esercito federale e hanno cercato di annettere un’area contesa rivendicata dall’Amhara nel Tigrè occidentale.

Amnesty International e Human Rights Watch accusano Fano di aver compiuto una pulizia etnica nella zona in questione, con centinaia di migliaia di tigrini costretti alla fuga ed espulsi forzatamente a cui sono stati sostituiti insediamenti di agricoltori Amhara.

Nonostante la complicità nella guerra tra governo centrale e milizia le tensioni non sono poche, nel 2022, ad aprile, durante una tregua dal conflitto con il TPLF il governo lancia una repressione importante verso Fano che vede come una minaccia: diversi miliziani vengono arrestati (in più di un’occasione nascono scontri e attacchi nelle stazioni di polizia)

Il rapporto HRW 

Nel 2023 l’Ong che si occupa della difesa dei diritti umani Human Right Watch ha denunciato nel suo rapporto annuale la situazione dei Paesi del Corno d’Africa. Paesi “le dilaganti atrocità della guerra e le crisi umanitarie per tutto il 2023 con una magra assistenza internazionale”. 

Celebrazione del primo anniversario della guerra nel Tigray, Addis Abeba, 3 novembre 2021. EPA/STR

Soprattutto i conflitti in Sudan ed Etiopia hanno causato “un impatto sconcertante sulla popolazione civile, provocando massicce perdite di vite umane, distruzione di proprietà e sfollamenti su larga scala” scrive l’Ong, accusando i governi più influenti e le Nazioni Unite di aver svolto solo trovato soluzioni instabili e a breve termine, senza tentare di trovare soluzioni a lungo termine e attente ai diritti. Mausi Segun, direttore per l’Africa di Human Rights Watch, ha dichiarato: «Sudan ed Etiopia forniscono esempi agghiaccianti di forze governative e gruppi armati che si fanno beffe del diritto internazionale con poche conseguenze per le loro azioni. È necessaria una maggiore azione globale e regionale per proteggere i civili e porre fine al ciclo di abusi e impunità che mettono a rischio i civili». L’Organizzazione non governativa sottolinea inoltre come il 2023 sia stato “un anno importante non solo per la repressione dei diritti umani e le atrocità in tempo di guerra, ma anche per l’indignazione selettiva”, a proposito dell’Etiopia HWR segnala come dopo la firma del trattato di pace del novembre 2022 i già esigui sforzi internazionali si sono dissipati in fretta e nonostante i crimini compiuti durante il conflitto in particolare in Amhara e Tigrè i partner dell’Etiopia – tra cui Stati Uniti e Unione Europea – hanno normalizzato le relazioni con il governo. Il report ribadisce inoltre che “le forze eritree hanno impedito agli aiuti umanitari di raggiungere le comunità in alcune parti del Tigrè sotto il loro controllo, mentre pesanti combattimenti, frequenti interruzioni delle telecomunicazioni e attacchi agli operatori umanitari hanno limitato le operazioni di soccorso ad Amhara”. La Ong lamenta che la “risposta del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ai diffusi danni civili e ai grandi sfollamenti in Etiopia e Sudan è stata minima. I suoi tre membri africani non hanno promosso deliberazioni solide e significative sulla protezione dei civili in nessuno dei due Paesi” e, aggiunge HWR, “l’UE, protagonista delle precedenti risoluzioni del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite sull’Etiopia, a settembre ha interrotto il controllo delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani, nonostante un rapporto altamente critico della Commissione internazionale di esperti sui diritti umani sull’Etiopia su mandato del Consiglio per i diritti umani”. Conclude Mausi Segun: «in tutto il Corno d’Africa, le vittime di gravi abusi e le loro famiglie insieme agli attivisti hanno ripetutamente chiesto protezione civile, risarcimento per le violazioni e responsabilità per i responsabili, comprese le persone in posizioni di potere. Le organizzazioni internazionali e regionali e i governi influenti hanno profondamente deluso i bisognosi con il loro approccio poco brillante ai diritti umani e alle crisi umanitarie in corso».

di: Flavia DELL’ERTOLE

FOTO: EPA/STR