Una sentenza stabilisce la minore invasività dei messaggi perpetrati attraverso social rispetto a chiamate e messaggi tradizionali
I social network e le telefonate non sono equiparabili, nemmeno quando si parla di molestie. Lo ha stabilito una sentenza della Cassazione, che ha annullato una sentenza di secondo grado accogliendo il ricorso di una donna.
La vicenda
Una donna aveva chiesto l’amicizia su Facebook ai propri figli naturali, per poi contattare e inviare messaggi ai loro genitori adottivi. La nuova famiglia dei suoi figli naturali però non l’aveva presa bene e, dopo una denuncia, l’aveva fatta condannare a due mesi per molestie e disturbo delle persone (art. 660 CP) dalla Corte di Appello di Caltanissetta.
La donna però non si è data per vinta e, facendo ricorso alla Cassazione, ha ottenuto la sua giustizia.
La sentenza: le molestie vie social non sono equiparabili a quelle sul telefono
Secondo il Palazzaccio, “l’equiparazione tra la invasività delle comunicazioni moleste effettuate tramite sistemi di messaggistica telematica e quella delle comunicazioni tradizionali effettuate con il mezzo del telefono non si giustifica più“.
Questo, anche perché la messaggistica telematica ormai “permette al destinatario di sottrarsi sempre all’interazione immediata con il mittente ponendo un filtro al rapporto con il soggetto che invia il messaggio molesto“. Insomma, è più facile sfuggire a un messaggio indesiderato sui social, diversamente da quanto ancora oggi avviene con il proprio numero di telefono.
Dopotutto, prosegue la Cassazione, le “notifiche dei messaggi in arrivo possono essere attivate per scelta libera dal soggetto che li riceve“.
di: Marianna MANCINI
FOTO: ANSA/EPA/SEDAT SUNA