Cristina Di Loreto, fondatrice di Me First, illustra il primo metodo erogato anche virtualmente che insegna alle donne a gestire meglio i vari aspetti della propria vita
La sintesi tra l’esperienza personale della maternità e la professione di psicologa ha permesso a Cristina Di Loreto di dare alla luce il progetto Me First, che supporta le donne che lavorano nella transizione verso la maternità, ma non solo. Lo scopriamo insieme a lei.
Come funziona il metodo Me First e quali sono i suoi obiettivi?
«Me First è un metodo di empowerment psicologico destinato al genitore come persona per aiutarlo nella sostenibilità psicosociale, ovvero nel vivere tutti i ruoli che ha scelto. Tuttavia, è anche un metodo di self coaching, che insegna strategie e tecniche che il genitore può applicare nella propria vita in modo autonomo. L’obiettivo con cui nasce è di ridurre il gender gap avendo un impatto sociale che interrompa gli stereotipi e rivoluzioni il concetto di genitorialità. Vorremmo arrivare ai tavoli istituzionali per far comprendere quanto la sfera psicologica del genitore lavoratore sia un aspetto che non si possa più ignorare».
Quali sono i principali ostacoli che la maggior parte delle donne riscontra dopo essere diventate madri?
«Uno dei principali ostacoli è costituito dal “maternal guilt”, ovvero il senso di colpa che si prova sia verso il ruolo professionale sia verso il ruolo materno, che discende dal cosiddetto goddess myth, il mito della donna che performa bene in ogni ruolo. L’altro conflitto è quello culturale, molte donne hanno partner o famiglie d’origine che gli chiedono di raggiungere uno standard di perfezione in ogni ruolo e questo genera pressione».
Ad oggi molte giovani donne scelgono sempre meno di fare un figlio, come mai?
«Il fatto che ad oggi sempre più donne non si sentono obbligate a fare un figlio è una conquista sociale, in quanto non c’è più lo stereotipo che una donna non è realizzata se non fa un figlio. Tuttavia, il dato del calo del desiderio genitoriale dovrebbe essere analizzato alla luce del modello tossico che abbiamo visto dai nostri genitori e che mostra le grandi difficoltà di fare il genitore e di lavorare e che in molti casi può addirittura condurre ad una scelta. Dunque, Me First vuole far vedere che le due dimensioni, quella di genitore e di lavoratore, si possono conciliare. Le nuove generazioni sono libere di non diventare genitori ma devono avere la tranquillità che il lavoro non rappresenti un ostacolo al desiderio di maternità».
L’imprenditoria può essere una via percorribile per una mamma lavoratrice?
«Non esiste una ricetta. La maternità a volte genera una forza motrice che spinge le donne a creare progetti propri. L’imprenditoria è molto sfidante, sia per un uomo sia per una donna, e bisogna avere dei buoni alleati ma ha il vantaggio della flessibilità, fattore imprescindibile per una mamma lavoratrice. Quello che è importante è che una donna non scelga l’imprenditoria come un exit strategy ma la scelga perché pensa che sia il cammino che vuole intraprendere. L’impresa e la maternità hanno un parallelo, ci si sente sole come imprenditrici e come mamme».
I padri sono disponibili ad aprirsi ad una genitorialità che sia paritaria?
«I papà stanno facendo un buon cambiamento culturale, aumentano sempre di più i papà che modificano le abitudini di lavoro per i figli e si dedicano a loro, sta avvenendo un cambiamento, non è ancora radicale ma è in atto. Il papà è una figura ancora non valorizzata quanto merita, si dovrebbe pensare che si diventa genitori non che la donna diventa madre. Lo stereotipo a livello culturale si riflette anche a livello aziendale dove maternità e paternità non sono riconosciute in egual misura».
Per arrivare ad una parità di genere bisogna acquisire la consapevolezza che tutti noi viviamo ancora i ruoli in maniera anacronistica e successivamente si devono prendere misure per decostruire questo stereotipo culturale.