La bioetica, una disciplina che cerca le risposte alle sfide sempre nuove che offre la contemporaneità

È il 1927 quando Fritz Jahr, teologo luterano e psicologo della vita vegetale, inventa il neologismo “bioetica” formulando inoltre l’imperativo kantiano (da notare che Kant applica l’imperativo categorico solo agli esseri umani, mentre Jahr lo estende a tutti gli esseri viventi): «tratta nella misura del possibile ogni essere vivente sempre anche come fine e mai solo come mezzo».

Il pensatore chiede insomma che sia tenuto in considerazione come ogni essere vivente abbia “un valore intrinseco e se non possiamo eliminare completamente ogni strumentalità, dobbiamo avere la consapevolezza che ogni sacrificio dovrebbe essere veramente voluto, richiesto da una ragione seria e profonda” spiega una delle voci più autorevoli in materia di bioetica in Italia, la professoressa di Filosofia Morale e Bioetica e fondatrice dell’Istituto italiano di Bioetica, Luisella Battaglia.

Solo nel 1970, però, in un editoriale dell’oncologo statunitense Van Rensselaer Potter spunta nuovamente il termine bioetica. Il medico scrive a proposito del bisogno di una “conoscenza di come usare la conoscenza” per la sopravvivenza dell’uomo e il miglioramento della qualità di vita, in questa accezione la bioetica intende essere un’area di ricerca e un modo di dare risposte alle domande scaturite dallo sviluppo tecnologico e medico della società.

Il carattere della bioetica è, dunque, interdisciplinare, coinvolgendo non solo la filosofia e la medicina ma anche la biologia, la giurisprudenza, la sociologia, la psicologia e la politica. A tutto questo si aggiungono inoltre le visioni morali atee, agnostiche, spirituali e religiose. La citazione di Albert Einstein nel titolo, nella sua interezza, recita che “non vi è nulla di divino nella moralità, è una faccenda puramente umana”; all’interno del dibattito soprattutto in materia di bioetica medica – dove a discutere a proposito di questioni come eutanasia, accanimento terapeutico, aborto, ricerca su cellule staminali embrionali, manipolazione del DNA è lasciato da sempre largo spazio alle sensibilità religiose e dove spesso uno dei muri alla sperimentazione è proprio la morale religiosa – la componente divina è spesso utilizzata come argomentazione. Oggi più che mai però gli esseri umani si trovano a vivere in un’epoca sempre più ricca di nuovi interrogativi e il confronto con l’alterità del non umano è il punto centrale della contemporaneità.

L’essere umano si trova a interagire non solo con animali e vegetali, ma anche con intelligenze artificiali che, come spiega Roberto Marchesini – filosofo, etologo e zooantropologo, direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di Interazione Uomo-Animale – fanno rendere conto al soggetto umano “di avere dei grossi limiti e soprattutto si rende conto di non essere più l’universale, cioè quello che sussume qualunque cosa, si rende conto di non essere più la metrica del mondo”. Quello attuale, sostiene il filosofo, è “il momento in cui l’essere umano capisce di essere una delle tante specializzazioni del mondo, allora comprende che l’essere una specializzazione non può voler dire essere un’unità di misura e cade così quella visione di ontologia sussuntiva di uomo come misura del mondo e contenitore di mondo. Con questo cade la concezione di universale umano”.  Confrontandosi con l’Intelligenza artificiale l’essere umano scopre “i propri bias cognitivi, le macchine sono in grado di fare delle computazioni e di far capire all’essere umano che molto spesso sbaglia nella valutazione del giudizio. L’essere umano si rende così conto di essere un soggetto della grande commedia del mondo e non più il soggetto, perché nella visione illuministica tradizionale l’uomo è l’unico protagonista e tutto il resto è palcoscenico”. Aggiunge Battaglia che “la ragione tecnologica sembra prendere il sopravvento sull’uomo ‘antiquato’: la riduzione della persona alla sua biologia, negando la sua biografia – il vero connotato dell’umano – rischia infatti di consegnarla nuda ad un potere che inclina pericolosamente verso un’esclusiva attenzione per la pura sopravvivenza biologica” e aggiunge che “forse il problema oggi è quello di proteggere non tanto l’umano – inteso nella sua purezza ontologica – quanto l’umanità e la sua futura sopravvivenza sul pianeta. Un’umanità che riscopre sempre più i suoi legami colla natura e col mondo non umano, con cui deve interagire responsabilmente. Legami, più che contaminazioni e ibridazioni da temere, cominciano ad apparirci come vincoli di solidarietà, di coappartenenza da riconoscere e da salvaguardare”.

Luisella Battaglia sottolinea infatti come la bioetica sia un’etica del mondo vivente che “riguarda sia il mondo umano (la bioetica medica), sia il mondo naturale (la bioetica ambientale), sia il mondo animale (la bioetica animale). Sono tre dimensioni della bioetica che in un’ottica di pensiero della complessità possono essere distinte ma in realtà sono profondamente unite perché proprio il pensiero della complessità ci fa capire le interrelazioni tra il regno umano, il regno ambientale e il regno animale e ci fa anche intendere che noi dovremmo raggiungere un pensiero capace di tenere insieme le ragioni di questi soggetti che appartengono a questi tre regni ma che dovrebbero essere uniti da un’idea di qualità della vita, di benessere”. Battaglia ribadisce che “la complessità ci fa capire che siamo interrelati con tutti gli altri esseri” e un aspetto fondamentale del pensiero della complessità “è che ogni individualità viene rispettata, nella visione olistica tutto si perde nel grande tutto mentre nel pensiero sistemico ogni individuo mantiene la sua peculiarità ed è proprio l’interazione che ci aiuta a capire perché noi dovremmo tenere conto di tutte le diverse prospettive”.

Questioni complesse che richiedono non solo risposte complesse, ma anche – e soprattutto – collettive e richiamano l’umano a quell’imperativo categorico che Jahr ha esposto a inizio Novecento, riconoscere l’altro da sé “sempre anche come fine e mai solo come mezzo”. Un paradigma utile non solo nelle dispute etiche.