Come celebrare i 330 anni dalla nascita di Voltaire se non con l’immortalità del suo pensiero, scoprendo l’attuale definizione di ciò che nel suo Dizionario inseriva tra “grazia” e “idea”
Come spesso accade nella storia dell’umanità, i contemporanei si trovano a riflettere su tematiche che, nell’eterno presente nietzschiano, attanagliano noi allo stesso modo di come attanagliavano i nostri antenati. In merito alla guerra, infatti, le speculazioni filosofiche risalgono già a Eraclito che la vedeva (Πόλεμος) come il “padre di tutte le cose”, mentre per Empedocle la contesa (Νεῖκος) è uno dei due fattori del ciclo cosmico di unione e separazione dei quattro elementi. Secondo Tucidide la guerra è un elemento che non si può separare dalla vita degli Stati (dato che la garanzia di sicurezza degli Stati deriva proprio dall’espansione territoriale), mentre la questione muta con l’avvento del cristianesimo, quando non si parla più di guerra come fenomeno naturale, ma iniziano a crearsi dei distinguo tra la guerra giusta e la guerra ingiusta. Sono soprattutto Agostino e Tommaso a praticare questa cesura, sostenendo che la guerra giusta sia quella sostenuta da un’autorità universalmente riconosciuta e combattuta per una giusta causa. La visione della guerra cambia ancora con Thomas Hobbes che definisce lo stato di natura come “stato di guerra” che può avere fine solo con l’intervento del grande Leviatano; con Jean-Jacques Rousseau la definizione hobbesiana viene spostata dallo stato di natura alla società civile (e in questo caso la risoluzione del conflitto passa per il contratto sociale). Benjamin Constant, contestando le tesi di Rousseau – ritenute un pericolo per l’individualismo che, per Constant, rappresenta la conquista moderna rispetto al collettivismo delle società antiche – vede nel superamento della guerra un tassello necessario per il progresso civile e del commercio internazionale. Immanuel Kant si lascia ispirare dal pensiero di Constant e pone questo pacifismo alla base dei suoi ideali cosmopoliti che hanno, come stella polare, il superamento della guerra. Si torna a una visione simile a quella più antica con Georg Wilhelm Friedrich Hegel che sostiene la guerra abbia un valore etico importante dato che “preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua”, per arrivare poi a Karl Marx che valuta positivamente le guerre, specialmente quelle che favoriscono il progresso economico (portando benefici al proletariato), anche se ritiene che la guerra, avendo origine dai rapporti sociali di produzione, man mano che il socialismo riuscirà nel suo scopo di produrre una unità tra tutti i popoli della Terra, sparirà.
C’è un filosofo, che compie 330 anni il 21 novembre, che ha scritto una definizione ben precisa della guerra nel suo Dizionario filosofico del 1764. Secondo François-Marie Arouet, altresì noto come Voltaire, “la carestia, la peste e la guerra sono i tre più famosi ingredienti di questo basso mondo” i primi due “ingredienti” sono portati dalla Provvidenza, “ma la guerra, che riunisce tutti questi doni, ci viene dall’inventiva di tre o quattrocento persone sparse sulla superficie del globo sotto il nome di principi o di governanti”. Nella sua definizione di guerra la penna sagace del filosofo prosegue: «non c’è dubbio che non sia una bellissima arte, quella che devasta le campagne, distrugge le abitazioni e fa crepare, normalmente, in un anno, quarantamila uomini su centomila», inoltre «la cosa più strabiliante di questa impresa infernale è che ogni capo assassino fa benedire le sue bandiere e invoca solennemente Dio prima di andare a sterminare il prossimo». Rischiarato dai lumi dell’Illuminismo, Voltaire si scaglia anche contro la religione che incoraggia la guerra: «la religione naturale ha innumerevoli volte impedito ai cittadini di commettere crimini. Un’anima bennata non ne ha la volontà; un’anima tenera ne ha orrore; essa si figura un dio giusto e vendicativo. Invece la religione artificiale incoraggia tutte le crudeltà che si commettono in gruppo: congiure, rivolte, rapine, imboscate, assalti alle città, saccheggi, stragi. Ognuno allegramente va incontro al delitto sotto la bandiera del proprio santo». Il filosofo francese si rivolge poi direttamente al predicatore gesuita Louis Bourdaloue, “reo” di aver fatto un sermone sulle “impurità” ma “tutti i vizi riuniti di tutte le età e di tutti i luoghi non eguaglieranno mai i mali che produce una sola campagna di guerra. Miserabili medici delle anime, state a gridare per cinque quarti d’ora su qualche puntura di spillo, e non dite niente sulla malattia che ci lacera in mille pezzi!” per poi esortare i “filosofi moralisti, bruciate tutti i vostri libri! Finché il capriccio di pochi uomini farà legalmente sgozzare migliaia di nostri fratelli, la parte del genere umano che si consacra all’eroismo sarà quanto c’è di più infame nell’intera natura”. Infine, le parole più dure senza alcuna ironia: «che diventano e che m’importano l’umanità, la beneficenza, la modestia, la temperanza, la dolcezza, la saggezza, la pietà, mentre mezza libbra di piombo sparata da seicento passi mi dilania il corpo, e muoio a vent’anni tra tormenti indicibili, in mezzo a cinque o seimila moribondi, mentre i miei occhi, che s’aprono per l’ultima volta, vedono la città dove sono nato distrutta dal ferro e dalle fiamme, e gli ultimi suoni che odono le mie orecchie sono le grida delle donne e dei bambini agonizzanti sotto le rovine, il tutto per i pretesi interessi di un uomo che non conosciamo?».
Voltaire, che a differenza del suo Candido non è un ottimista – nel romanzo il filosofo francese intende confutare le tesi di Leibniz con il protagonista che dopo una serie inenarrabile di sventure si chiede: «se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri come sono?» -, arriva a definire la guerra “un flagello inevitabile” aggiungendo che “a guardar bene, tutti gli uomini hanno adorato il dio Marte: Sabaoth, per gli ebrei, significa il dio degli eserciti; ma Minerva, in Omero, chiama Marte un dio furioso, insensato, infernale”.
A 260 anni dal Dizionario filosofico le parole di Voltaire appaiono, più che mai, attuali, e mentre all’umanità non resta che continuare a dibattere a proposito delle guerre che continuano a imperversare in tutto il mondo, che qualcuno reputa giuste, legittime, necessarie, dimostrano che, purtroppo, la guerra continua a essere un flagello inevitabile. E che, forse, gli esseri umani non imparano mai.