PAPA FRANCESCO

Il Papa “riformista” che sulla strada verso il cambiamento della Chiesa ha incontrato scandali, correnti e – forse – una naturale predisposizione a parlare ma non agire

«È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore». Con queste parole Papa Francesco, all’anagrafe Jorge Mario Bergoglio, il 19 marzo del 2013 annunciava l’obiettivo del suo pontificato, prendendo per la prima volta nella storia del soglio pontificio il nome del santo d’Assisi patrono d’Italia. Accolto con approvazione dai fedeli di tutto il mondo, quello che Papa Francesco ancora non sapeva quel giorno di marzo era che il tempo gli avrebbe posto davanti grandi sfide da affrontare nel suo ruolo e verso tale obiettivo: le inchieste sui presunti abusi sessuali all’interno del clero; i tentativi, falliti fino ad ora, di riforma della Chiesa cattolica; il dissenso e la popolarità.

Tra i grandi scandali della Chiesa con cui Papa Francesco si è ritrovato a dover fare i conti c’è quello dei presunti abusi sessuali su minori perpetrati negli anni dagli appartenenti al clero. Dopo il caso francese e quello tedesco – che ha visto tra gli altri coinvolto anche il Papa emerito Benedetto XVI, accusato di aver gestito erroneamente quattro casi di denunce ai tempi del suo arcivescovato a Monaco di Baviera -, Bergoglio si è infatti esposto pubblicamente, condannando gli episodi e il “silenzio complice” ed esprimendo “dolore e vergogna” per non aver protetto i più piccoli. A prova delle sue parole avrebbe addirittura deciso di giocare d’anticipo: dopo aver ricevuto un dossier su presunti casi in Spagna (600 casi con 1.300 vittime dagli anni Quaranta ad oggi, stando a quanto riportato da El País), il Pontefice avrebbe richiesto l’apertura di un’inchiesta interna che, tuttavia, secondo alcuni appare al momento poco trasparente e frammentata. Per questo, e per rispondere alle richieste della popolazione, sono state le autorità politiche, e in particolare tre partiti, tra cui il Psoe del premier Pedro Sánchez, ad affrontare il problema in prima persona, facendo arrivare in Parlamento la richiesta di indagine. Se venisse approvata, la Spagna potrebbe essere depennata dalla lista dei pochi Paesi in cui ancora non è stata svolta alcuna indagine ufficiale in merito, lista su cui compare tristemente anche l’Italia.

Il Belpaese, infatti, sarebbe stato fino a questo momento escluso dall’ondata dei report e la motivazione potrebbe essere cercata nelle parole di Anne Tréca, firma della testata francese L’Express, quando dice che quello degli abusi sessuali è “un argomento ancora tabù in Italia”, più che nella volontà di Bergoglio. Il commento della giornalista arriva dopo la recente intervista definita storica rilasciata “in diretta” da Papa Francesco a Fabio Fazio per la trasmissione di Rai3, Che tempo che fa. La stampa estera ha colto la palla al balzo per dimostrare non poche riserve sulle affermazioni del Pontefice, o meglio sui temi trattati, additando tuttavia più l’emittente e il suo conduttore che lo stesso intervistato. Secondo Jason Horowitz, capo della redazione romana del New York Times, infatti, i grandi media italiani rimarrebbero “uno spazio sicuro per il Vaticano”, uno spazio in cui la Chiesa può mostrarsi senza che vengano poste domande scomode. Alcuni, tra cui il reporter di Reuters Gavin Jones, hanno sottolineato la troppo lampante mancanza di temi quali “il matrimonio gay, il diritto a morire, l’aborto, il disegno di legge italiano bloccato sui crimini contro la comunità LGBT (ddl Zan), o qualsiasi altra delicata questione etica”. Tra queste ci sarebbe stata appunto anche la questione degli abusi su cui, al contrario, molti riflettono, il Papa è intervenuto in modo apparentemente spontaneo in più di un’occasione. Sembra in ogni caso che il Belpaese non potrà restare ancora a lungo senza una sua inchiesta sui casi di pedofilia all’interno della Chiesa: molte organizzazioni, infatti, continuano a chiedere alla Conferenza episcopale italiana di agire, pressioni che la Cei non potrà ignorare ancora per molto tempo.

Se nel corso dell’intervista alcuni temi sono mancati in modo troppo palese per non essere notati, gli stessi temi sono stati trattati – o non trattati, come vedremo – in altre occasioni, a volte in modo ambiguo. Nel 2020 ha fatto discutere il film documentario di Evgeny Afineevsky, presentato a ottobre al Festival del cinema di Roma, che riportava le dichiarazioni rilasciate da Bergoglio in merito alle leggi sulle unioni civili durante un’intervista con la giornalista messicana Valentina Alazraki. In tale sede il Papa sosteneva che gli omosessuali “hanno diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo“. Poco dopo, tuttavia, lo stesso Pontefice ritrattò le dichiarazioni negando qualsiasi tipo di benedizione “a unioni di persone dello stesso sesso” e ancora sostenendo che il matrimonio “è l’unione tra un uomo e una donna”.

Sicuramente più decisa è la posizione espressa dal Pontefice sull’interruzione volontaria di gravidanza, così come più decise sono le sue parole: «l’aborto è più che un problema, è un omicidio. Chi fa un aborto uccide. Nei libri di embriologia alla terza settimana del concepimento tutti gli organi sono già formati. È una vita umana e va rispettata. Principio chiaro. E a chi non lo capisce farei due domande: è giusto uccidere una vita umana per risolvere un problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Scientificamente è una vita umana. E per questo la Chiesa è così dura su questo argomento, perché se accettasse questo, è come se accettasse l’omicidio quotidiano» – ha detto nel settembre 2021 in occasione del volo di ritorno dal suo viaggio a Budapest e il Slovacchia.

Tutt’altra storia è, invece, quella del ddl Zan. Il disegno di legge contro l’omotransfobia, bloccato dal Senato italiano lo scorso ottobre in quello che è stato definito come l’affossamento dei diritti civili, ha creato non pochi problemi tra lo Stato italiano e il Vaticano quando l’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Pietro Sebastiani, ha ricevuto da monsignor Gallagher una nota informale su presunte preoccupazioni della Santa Sede in merito alla proposta legislativa. Quello che poi il cardinale Parolin ha definito un “testo scritto e pensato per comunicare alcune preoccupazioni” faceva appello ai Patti lateranensi chiedendo, almeno all’apparenza, che il testo non venisse discusso in Parlamento. Alla questione ha poi messo la parola fine il premier Draghi ricordando la laicità dello Stato italiano, ma a far discutere, d’altro canto, fu l’assoluto silenzio di Papa Francesco. «Non giudicare la realtà personale, sociale, degli altri. Dio ama tutti! Non giudicare, lasciate vivere gli altri e cercate di avvicinarvi con amore» – furono le uniche parole che pronunciò, durante l’Angelus domenicale di quella settimana movimentata, mentre tuttavia il suo segretario di Stato confermava che la nota aveva ricevuto la sua approvazione.

Alla luce dei fatti, delle dichiarazioni, delle apparenti bricioline che il Pontefice sembrerebbe aver lasciato cadere sul percorso fatto in questi 9 anni di pontificato, resta ancora da capire se Bergoglio, primo Papa gesuita e primo Papa proveniente dal continente americano, abbia fino a oggi tentato davvero di riformare la Chiesa cattolica dovendo, tuttavia, fare i conti con un’istituzione secolare troppo radicata per essere cambiata o se abbia, invece, interpretato un personaggio, un Pontefice riformista, “socialista” secondo alcuni, vicino al popolo e dallo stesso apprezzato, piegato nel frattempo alle logiche e alle tradizioni vaticane.

Quel che è certo è che, mentre la sua popolarità tra i credenti si è sempre mantenuta ad alti livelli – a differenza di quella della Chiesa cattolica che attraversa uno dei periodi più bui in termini di fiducia, come proverebbe il numero sempre minori di cattolici nel mondo -, non si può dire invece che Papa Francesco abbia mai goduto dell’approvazione di tutti i prelati. Tra i cardinali che possono essere considerati in opposizione a Bergoglio c’è sicuramente Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong il cui nome è salito alla ribalta con l’avvicinarsi del rinnovo dell’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi e la composizione del Collegio cardinalizio, prolungato di altri due anni nel 2020. Zen, infatti, si sarebbe sempre opposto ad accordi tra il Vaticano e il partito comunista, arrivando a chiedere le dimissioni del segretario di Stato, cardinale Parolin.

Un altro famoso anti-bergogliano è sicuramente Carlo Maria Viganò, arcivescovo ex nunzio apostolico emerito negli Stati Uniti d’America, che con le sue lettere diede vita allo scandalo “Vatileaks” e portò in superficie la profonda spaccatura presente all’interno della Chiesa americana. Il dossier “Viganò”, che accusava Bergoglio di aver ignorato le denunce di abusi sessuali del cardinale Usa Theodore McCarrick, puntò il faro sulle divergenze tra una corrente più conservatrice, tra cui figurano il cardinale Raymond Leo Burke, il cardinal Daniel DiNardo, l’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput e l’arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone, e una corrente più riformista (e quindi più vicina a Bergoglio), formata dall’arcivescovo di Washington Donald Wuerl, l’arcivescovo di Chicago Blaise Cupich e l’arcivescovo di Newmark Joseph Tobin.

Non mancano poi esempi di dissenso anche nel contesto europeo: dell’Est Europa, infatti, non possono non essere nominati il cardinale ungherese Peter Erdo o il cardinale di Praga, Dominik Duka, soprannominato “il cardinale anti-immigrati”.

L’unica parte del mondo che sembra approvare in toto Papa Francesco sembra essere il Sud America, sua terra di origine, seguita dall’Africa.

Che sia da imputare a queste “correnti” all’interno del Vaticano o a una personale predisposizione, un’altra cosa certa è che al momento Papa Francesco non ha fatto grandi passi avanti nel suo intento di riformare la Chiesa – ascrivendo di fatto le sue rivalità a sola ideologia -, limitandosi invece a molte parole, molto spesso arrivate troppo tardi e in maniera poco convinta, e a pochi fatti concreti. Volendo fare il paragone con i suoi predecessori, sarebbero forse da ricordare le parole dell’ancora molto amato Papa Giovanni Paolo II, Papa Wojtyla, quando diceva che “la fiducia non si acquista per mezzo della forza. Neppure si ottiene con le sole dichiarazioni. La fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti”. Se così fosse, detto da chi nei suoi 27 anni di pontificato ha svolto un ruolo cruciale nella politica e nella società, Papa Francesco avrebbe ancora molta strada da fare per guadagnarsi “quella” fiducia, raggiungibile solo con grandi gesti. Chissà che non segua in qualche modo l’esempio del suo immediato predecessore, Papa Benedetto XVI, al contrario suo, Pontefice di poche parole ma che ha segnato la storia del Vaticano con un’unica grande mossa: le sue dimissioni.