La storia della cantautrice, tra successi internazionali e riappropriazione dell’identità

Miglior Album Dance, Miglior Registrazione Dance, Miglior Canzone R&B, Miglior Performance R&B. Nella notte del 5 febbraio 2023 alla Crypto.com Arena di Los Angeles è andata in scena la 65esima edizione dei Grammy Awards, durante la quale Beyoncé ha portato a casa i quattro premi menzionati, a fronte di 9 nomination: questo fa di lei non solo l’artista ad aver ricevuto più candidature (79), ma soprattutto la cantante più premiata della storia della manifestazione, con ben 32 statuette.

L’album in questione è Renaissance, settima opera in studio della cantautrice statunitense, pubblicato a 6 anni di distanza da Lemonade (2016), altro successo a livello globale. Così come il disco precedente, anche Renaissance fonde istanze socio-politiche a sonorità eterogenee.Ma se Lemonade è un album essenzialmentecontemporary R&B, con influenze blues, rock, hip hop, soul, funky, il nuovo lavoro spazia dalla disco fino all’afrobeat e alla musica house. Beyoncé, insomma, ha mostrato al mondo la sua nuova direzione, scegliendo l’escapismo e spalancando la porta alla voglia di leggerezza, pur mantenendo lo sguardo sulla realtà sociale e culturale.

Lo dimostra il primo singolo estratto, Break My Soul, premiato comeMiglior Registrazione Dance. Tra campionamenti di Show Me Love (1993) di Robin S. ed Explode di Big Freedia, regina della bounce music e icona della comunità LGBTQIA+ nera, “Queen Bee”esorta tutti a scatenarsi e a usare il ballo per liberarsi e ribellarsi. Un’esigenza che scaturisce da quanto accaduto negli ultimi tre anni, con una pandemia che ha acuito le ingiustizie sociali, come ha dichiarato la stessa cantante alla rivista Harper’s Bazaar: «con tutto l’isolamento e l’ingiustizia dell’ultimo anno, penso che siamo tutti pronti a scappare, viaggiare, amare e ridere di nuovo. Sento emergere una rinascita e voglio essere parte del coltivare quella fuga in ogni modo possibile».

Act I: Renaissance sembra essere la prima parte di un progetto più ampio. Un incipit che si configura come un caleidoscopio di suoni e campionamenti.  Un trionfo di campionamenti.Il secondo singolo Cuff It, vincitore del Grammy come Miglior Canzone R&B, contiene un sample di Ooo La La La di Teena Marie,cantautrice della Motown e della Epic, scomparsa nel 2010, e vanta la collaborazione di Nile Rodgers degli Chic alla chitarra. Ma sono tante le collaborazioni, dal rapper e marito Jay-Z all’icona della disco Grace Jones, fino a Drake, Pharrell Williams, Skrillex, e il rapper giamaicano BEAM, che compare nel brano Energy. Il pezzo in questione è diventato fin da subito il pomo della discordia: inizialmente conteneva il campionamento di Milkshake di Kelis, alla quale, però, non sarebbe stato chiesto il permesso per l’utilizzo del brano. Il sample è stato rimosso ma sono rimaste le polemiche.

Sotto la coltre delle diatribe che accompagnano spesso e volentieri l’uscita di un album di una popstar mondiale c’è però il contenuto e le modalità con cui questo viene veicolato. Con l’evolversi della sua carriera, Beyoncé ha incarnato sempre più la teoria del sociologo Marshall McLuhan secondo la quale il mezzo è il messaggio, attraverso l’innesto di ricerca visuale ed estetica e tematiche politiche e sociali. Riflessioni sulle questioni di genere, sul razzismo negli Stati Uniti, su cosa significhi essere una donna nera in un Paese molto lontano dalla fantomatica cartolina “the land of the free”, e la conseguente voglia di riscatto ed emancipazione si sono fatte sempre più spazio nel percorso musicale della cantautrice, e sono diventate sì un manifesto socio-politico, ma hanno anche contribuito a creare una nuova dimensione artistica e culturale.

Non è un caso che la figura di “Queen Bey” susciti interesse nel mondo accademico, soprattutto nell’ambito dei Media e dei Gender Studies. Già nel 2010 il professor Kevin Allred della Rutgers University in New Jersey avviò Politicizing Beyoncé, corso volto a indagare l’approccio della società statunitense alle questioni razziali e di genere attraverso lo studio della carriera della popstar. Nel 2017 l’Università di Copenaghen ha istituito il corso Beyoncé, Gender and Race, che analizza i testi e i video dei brani della cantante per riflettere sul legame tra musica, genere, etnia e sessualità.

A questo proposito è impossibile non citare Formation. Il video della canzone estratta da Lemonade, diretto da Melina Matsoukas, è il racconto dell’intersezione tra tante questioni: il movimento Black Lives Matter, il razzismo e il classismo sistemico, la brutalità e l’abuso di potere da parte della polizia, la cultura creola della Louisiana, il black feminism, l’empowerment delle delle persone queer nere e l’uragano Katrina. Si inizia con Beyoncé seduta su tetto di una macchina della polizia, la Ford Crown Victoria Police Interceptor, in una strada completamente allagata, poi entra la voce di Big Freedia seguita da quella dello youtuber e comico Messy Mya, assassinato nel 2010, che chiede cosa sia successo a New Orleans, quando Katrina devastò la costa sud-est degli Usa e spezzò 1.836 vite. In un frame un uomo mostra un quotidiano chiamato The Truth con la foto di Martin Luther King Jr. e il titolo More Than a Dreamer, mentre vediamo Beyoncé eseguire la coreografia insieme alle ballerine. Poi un bambino incappucciato balla la breakdance davanti agli agenti.

Rolling Stone ha inserito Formation al primo posto della classifica dei 20 Migliori Videoclip di sempre e alcuni critici hanno tracciato un parallelo con Flawless, contenuto nell’album Beyoncé del 2013. Il brano è inframezzato da un estratto del saggio Dovremmo essere tutti femministi in cui la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie affronta gli stereotipi legati all’educazione delle bambine e delle ragazze.

Beyoncé segna un punto di svolta: è, infatti, il primo visual e concept album della cantante e ballerina, lodato dalla critica per la sua sperimentazione musicale e il progressivo allontanamento dalla struttura tradizionale della canzone pop e R&B. Una ricerca sonora e contenutistica che ha spinto Bey a sconfinare dai contorni della “diva” ed abbracciare tematiche sempre più personali e anche politiche, come l’esplorazione della propria sessualità, il rapporto con il proprio corpo, le insicurezze, le difficoltà della vita coniugale, la depressione post-partum e l’amore per la figlia Blue Ivy Carter, nata nel 2012.

I prodromi di questa evoluzione possono essere rintracciati, a livello discografico, in I Am…Sasha Fierce (2008), terzo album in studio della carriera solista della popstar. Il lavoro è composto da due dischi, I Am…, che presenta ballad R&B e midtempo,e Sasha Fierce, con pezzi uptempo e synth pop. Una dicotomia rappresentata da due singoli estratti, If I Were a Boy e Single Ladies (Put a ring on it), entrambi grandi successi in Europa e negli Stati Uniti. Sasha Fierce è (o, per meglio dire, era) l’alter ego di Beyoncé, che l’ha aiutata a superare la timidezza e la paura del palco e a mostrare il suo lato più ironico e intrepido.

«Sasha Fierce è il lato divertente, più sensuale, più aggressivo, più schietto e più glamour che viene fuori quando lavoro e quando sono sul palco – aveva spiegato la cantante prima dell’uscita dell’album, – ho qualcun altro che prende il sopravvento quando è il momento per me di lavorare e quando sono sul palco, questo alter ego che ho creato in qualche modo protegge me e chi sono veramente».

Sasha Fierce ha aiutato Beyoncé non solo a vivere il palco e a destreggiarsi all’interno dell’industria musicale, ma soprattutto a riavvicinarsi al suo vero io e a risolvere questo dualismo. Nel 2010 l’artista ha dichiarato: «Sasha Fierce ha finito. L’ho uccisa. Non ho più bisogno di Sasha Fierce, perché sono cresciuta e ora sono in grado di unire le due». Non solo riconciliazione ma una vera e propria rinascita.

Flawless può essere definito il simbolo del percorso di crescita e autodeterminazione intrapreso dalla cantante. Il video del brano si apre e si chiude con alcune immagini di repertorio del talent show Star Search al quale Beyoncé partecipò con le Girl’s Tyme, l’embrione di quelle che divennero le Destiny’s Child. Il gruppo venne eliminato ma successivamente la cantante dichiarò che quell’esperienza le insegnò, quando era ancora una bambina, a perdere e ad accettare la sconfitta.

La storia musicale di Beyoncé Giselle Knowles-Carter inizia a Houston, Texas, con il padre Mathew, produttore discografico e manager, la madre Tina Knowles-Lawson, stilista e imprenditrice, e la sorella minore Solange, anche lei futura cantautrice, performer, produttrice e regista. Tra una lezione di danza classica e di jazz, Beyoncé scopre le sue straordinarie doti vocali, che la portano a partecipare a diverse competizioni cittadine. Nel 1990, a soli 9 anni, forma le Girl’s Tyme con la cugina Kelly Rowland e LaTavia Roberson. Qualche anno dopo si aggiungerà alla formazione LeToya Luckett. Durante le registrazioni del branoSay My Name, però, Roberson e Luckett lasciano il gruppo e vengono sostituite da Michelle Williams e Farrah Franklin. Ma dopo cinque mesianche Franklin abbandona il gruppo e si arriva al trio Beyoncé Knowles-Kelly Rowland-Michelle Williams. Nel 2001 la nuova e definitiva formazione, sempre accompagnata da Mathew Knowles in veste di manager e Tina Knowles-Lawson in qualità di stylist, pubblica l’album Survivor, trainato dal singolo omonimo e da Indipendent Woman Part I e Bootylicious. Il disco non solo scala le classifiche internazionali ma entra direttamente nella cultura pop mondiale.La carriera della band si conclude nel 2004 con l’album Destiny Fulfilled, ma già l’anno precedente tutte e tre le componenti avevano pubblicato un lavoro solista ciascuno.

Dangerously in Love (2003) è il primo tassello della carriera solista di Beyoncé. L’impatto commerciale del disco, grazie ai singoli Crazy in Love, Naughty Girl, Baby Boy e Me, Myself and I contribuisce a lanciare la cantante nell’olimpo delle star mondiali.

Negli anni “Queen B.” allarga i suoi orizzonti. Nel 2006, recita in Dreamgirls, collaborando anche alla colonna sonora con il singolo Listen. Nel 2008 fonda l’etichetta discografica e casa di produzione cinematografica Parkwood Entertainment, con la quale pubblica tutti gli album da 4 in poi e produce, tra gli altri, il film Cadillac Records, in cui interpreta Etta James

Questa espansione delle attività coincide con un’evoluzione progressiva nella carriera di Beyoncé che, riappropriandosi della sua “blackness”, mette al centro della sua narrazione artistica la donna nera. L’emblema di questo intento è Homecoming, documentario distribuito da Netflix nel 2019, che racconta la preparazione delle due mastodontiche performancedel 14 e del 21 aprile 2018 al Coachella, il noto festival che ogni primavera anima la città di Indio, in California. La cantautrice è stata la prima donna nera headliner della manifestazione musicale. Il documentario, che l’ha vista anche in qualità di regista e direttrice artistica, è uno spaccato di vita quotidiana dell’artista – molto spesso durante le prove, durate 8 mesi, si vedono il marito Jay-Z e i figli Blue Ivy, Rumi e Sir – ma è anche un omaggio alla cultura afroamericana. L’ispirazione estetica e musicale deriva dalle HBCU (Historically Black Colleges and University), università fondate prima della fine della segregazione razziale negli Stati Uniti rivolte all’educazione della comunità nera. La pellicola, inoltre, include interventi di numerosi artisti, attivisti e scrittori afroamericani, dalla pianista, cantante e figura cardine del movimento per i diritti civili Nina Simone, alle scrittrici Toni Morrison e Alice Walker, fino alla poetessa e militante femminista Audre Lorde, al sociologo W.E.B. Du Bois, fondatore della NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), una delle più importanti associazioni per i diritti civili negli States,e alla poetessa e attivista Maya Angelou. Contemporaneamente all’uscita del film è stato pubblicato Homecoming: The Live Album, il quinto album dal vivo della cantautrice.

Il concerto ha avuto una risonanza mediatica e culturale tale da essere stato ridefinito“Beychella”e il documentario ha vinto il premio come Miglior Film ai Grammy, oltre a ricevere 6 nomination agli Emmy.

La carriera nell’audiovisivo di Beyoncé è proseguita nel 2019 con il remake de Il Re Leone, in cui la cantante presta la voce a Nala, la leonessa compagna di Simba. I doppiatori sono al 90% afroamericani: spiccano i nomi di Donald Glover (Simba), Chiwetel Ejiofor (Scar) e Penny Johnson Jerald (Sarafina).L’anno seguente la cantante pubblica Black Is King, film e album visivo che fa da supporto al disco The Lion King: The Gift, colonna sonora del remake. Anche BIK è diventato un’esplorazione e una celebrazione della cultura afroamericana, in linea con la visione e il messaggio di Bey.

Il mezzo è il messaggio, si diceva. Con il suo progetto, in cui musica ed estetica sono inscindibili, Beyoncé riscrive il racconto di un’intera comunità in ottica afrofuturista, il cui perno è la rivendicazione della propria identità. Certo, lo fa dall’alto, in chiave pop, inserendosi perfettamente e al contempo ridisegnando le regole del marketing e dello showbiz. Un esempio su tutti: nel 2016 ha pubblicato a sorpresa Lemonade su Tidal, piattaforma di streaming in parte di proprietà di Jay-Z. Ci sono anche una nomination agli Oscar –  Be Alive è stata candidata come Miglior Canzone per il film Una famiglia vincente – King Richard –  una linea di abbigliamento (Ivy Park) e la fondazione di beneficenza BeyGOOD.

Però, per una comunità marginalizzata, la possibilità di vedere una propria rappresentazione sdoganata a un livello così alto, da una star globale, può essere un riconoscimento importante e un passo in più verso l’inclusione.

Il giornalista Ernest Owens nell’articolo The Summer Black Queer Music Took Over pubblicato su Rolling Stone US (trad. L’estate in cui la musica americana è diventata nera e queer nell’edizione italiana), parlando del successo di Renaissance e di altri lavori di artisti della comunità nera e LGBTQIA+ ha scritto:«ecco perché oggi sono più ottimista di ieri circa la possibilità che la musica che riflette le mie esperienze e la mia identità non sia più tenuta chiusa in un armadio, dimenticata o cancellata dall’industria. È salita sul palco principale grazie ad alcuni fra i più grandi artisti del pianeta. So che la rappresentazione non è tutto, ma è una bella sensazione sentirsi ascoltati, letteralmente».

Beyoncé, anche grazie al lavoro di grandi artisti del passato, è riuscita a portare alla ribalta e ad amplificare voci che non avevano la possibilità di essere ascoltate. Ora il compito, soprattutto nostro, in quanto pubblico, è ascoltare.