Il film “Io capitano” racconta l’odissea migranti
È la notte di Matteo Garrone a Venezia ’80.
Il regista italiano presenta “Io capitano”, un film che racconta l’odissea dei migranti dall’Africa all’Europa passando per il deserto, i centri di detenzione libici, i pericoli del mare. Una “sorta di controcampo” rispetto alla visione occidentale, una “odissea omerica” per fare “luce su delle ingiustizie” nel tentativo di dar voce a chi non ce l’ha o non viene ascoltato. Ma non è un film politico, come precisa lo stesso regista: «io purtroppo di mestiere faccio il regista, racconto delle storie e posso parlare di quelle che ho raccontato perché le ho vissute attraverso gli sguardi di questi ragazzi. Non ho approfondito l’aspetto politico legato all’Unione Europea e a quello che potrebbero fare o non fare, quello che racconto è un viaggio che ha a che vedere con l’archetipo di chi parte da un paese più povero per andare in uno più ricco. Anche noi italiani siamo un popolo di migranti, parlo di loro ma anche di noi, penso che sia un film che si muove su un piano più universale, affronta un problema estremamente complesso. Ci sono tante forme di migrazione, c’è chi emigra per le guerre, chi per cambiamenti climatici o per disperazione. C’è poi un’altra forma legata ai giovani. Tra questi milioni di giovani c’è chi è disposto a rischiare la vita per cercare un futuro migliore, scappando non da una povertà assoluta, spesso dignitosa ma alla ricerca del coronamento di un sogno per arrivare in un paese europeo, realizzarsi e aiutare la famiglia. È un tema che mette in luce una profonda ingiustizia. Molti di questi ragazzi non sanno dare una risposta al fatto che molti loro coetanei possono andare in vacanza nel loro paese mentre loro devono fare viaggi di morte».
E Mamadou Kouassi, che ha collaborato alla sceneggiatura, spiega anche le assonanze con il precedente “Pinocchio”: «Collodi si muove dal racconto di un burattino puro e ingenuo che tradendo il padre va nel paese dei balocchi e si trova in un mondo estremamente violento. Anche qui partono sapendo i pericoli ma con ingenuità e purezza. Io l’ho fatto 15 anni fa attraversando il deserto dell’Africa subsahariana, sono passato per la Libia, ho visto persone vendute, imprigionate, torturate. Vivo a Caserta e so qual è la realtà che Matteo ha raccontato con Gomorra. C’è un solo modo per contrastare le tratte di esseri umani, dare la possibilità di avere un visto per viaggiare liberamente in Europa e in Africa. E non bisogna dare soldi alla Libia o alla Tunisia».
di: Micaela FERRARO
FOTO: ANSA/ETTORE FERRARI