La Walt Disney Company compie 100 anni, e tutto è cominciato con un topo

È tutto cominciato con un topo, come sottolinea in una delle sue citazioni più celebri Walt Disney. E quanta strada che ha fatto quel topolino da quando il 16 ottobre del 1923 è stata fondata la Disney Brothers Cartoon Studio, una delle avventure imprenditoriali più folli, geniali, strabilianti e magiche della storia. Niente più che un topo ai nastri di partenza, eppure 100 anni dopo la Disney è ancora la fabbrica dei sogni. Le indimenticabili avventure, gli iconici personaggi e l’immancabile lieto fine hanno cresciuto generazioni e generazioni di bambini, rimanendo scolpite nel cuore degli adulti a cui spesso basta l’intro musicale per sentirsi avvolti dalla confortevole coperta della comfort zone.

Ma facciamo un passo indietro. Benché oggi sembri improbabile, c’è stato un tempo in cui “Disney” era solo un cognome: quello di Walter Elias, un bambino nato nel 1905 a Chicago e cresciuto in una fattoria del Missouri. Un’infanzia nient’affatto dorata: Walt era il quarto di cinque fratelli, fin da piccolissimo lavorò duramente nei campi e, quando la famiglia si trasferì a Kansas City dopo aver venduto la fattoria, per una febbre tifoidea contratta dal padre, il bambino cominciò a svegliarsi a notte fonda per andare a consegnare giornali, prima della scuola. Ma la sua passione, fin dagli albori, fu il fumetto: a 7 anni vendeva i suoi bozzetti ai vicini, e a 15 partecipava già come fumettista al giornalino d’istituto, The Village Voice. Non andava d’accordo con il padre e mal tollerava i suoi modi autoritari: perciò nel 1918 se ne andò di casa per arruolarsi nell’esercito. Dovette falsificare la sua data di nascita sul passaporto per poter partire: lavorò come autista di ambulanze nelle forze armate fino al 1919. Al rientro a Kansas City iniziò un apprendistato in un’agenzia pubblicitaria dove conobbe Ub Iwerks, animatore statunitense e tecnico di effetti speciali. Fu un vero e proprio appuntamento con la Storia, perché è qui che tutto cominciò davvero: Disney e Iwerks lavorarono insieme a più riprese, inseguendosi tra un datore di lavoro e l’altro, finché nel 1923 Walt e suo fratello Roy si trasferirono a Hollywood e fondarono il Disney Brothers Studio. Nel 1924 saltò a bordo anche Ub Iwerks e dalla genialità dei ragazzi nacque Oswald, il coniglio fortunato. Forse non avremmo mai avuto ciò che abbiamo oggi se non fosse stato per una brutta disavventura: il principale cliente di Disney ottenne i diritti su Oswald e la compagnia subì un grave contraccolpo. Per cercare di salvare la situazione, Walt modificò i tratti del coniglio: le orecchie vennero accorciate, la coda risistemata, il musetto arrotondato. E Disney, proprio come Mastro Geppetto, si trovò a guardare per la prima volta una creatura che sarebbe diventata come un figlio: un topolino, a cui diede nome Mickey. Mickey Mouse fu una rivoluzione. La sua prima apparizione avvenne il 15 maggio 1928 ma il boom arrivò poco più tardi quando alle avventure del topo più amato del cinema venne aggiunto il sonoro. Walt Disney stesso prestò la voce a Topolinofino al 1947: e quell’animaletto umile, perlopiù sottovalutato, conquistò pezzo per pezzo tutta Hollywood, poi l’America, e infine il mondo.

Nel 1932 a Topolino si unirono Paperino, Pippo e Pluto con una serie di cortometraggi raccolti sotto il titolo di Sinfonie allegre. Nel 1937 fu il momento del primo lungometraggio: Biancaneve e i sette navi. La sfortunata, incantevole principessa ebbe il merito di dimostrare che i cartoni animati potevano costituire un genere cinematografico a sé stante. Le succedettero Pinocchio, Dumbo e Bambi, e poi a poco a poco tutti gli altri titoli passati alla storia come “I Classici Disney”.

Nel corso di questo secolo, Disney ha portato a casa 26 Oscar oltre a vari premi e riconoscimenti internazionali: è la persona in assoluto più premiata della storia del cinema, una stella nel firmamento hollywoodiano, talmente splendente da essere spesso considerato come l’inventore dell’animazione disegnata. È impensabile raccontare la storia della sua azienda, diventata nel frattempo The Walt Disney Company, senza tracciare anche un quadro della sua vita. Disney fu un visionario, un sognatore. È considerato a tutti gli effetti un eroe del Ventesimo secolo, simbolo americano del “self-made man”, l’uomo che realizza i propri sogni da solo.

Il successo della Disney è quindi sicuramente legato al genio del suo fondatore – e delle persone che con lui hanno lavorato in prima linea – ma dipende anche dalle storie che sono state raccontate. Non storie qualunque: fiabe, in grado di definire persone e società, controllare credenze, instillare sogni. Raccontare fiabe è un mestiere difficile ed è anche un superpotere, che va utilizzato bene: chi racconta una storia ha nelle mani la possibilità di influenzare l’immaginazione e il pensiero di piccole menti che un domani potrebbero trovarsi ai vertici della società. Queste storie servono a diventare grandi. Come diceva bene Gilbert Keith Chesterton, scrittore e giornalista britannico, le fiabe “non insegnano ai bambini che i draghi esistono, perché loro lo sanno già questo”. Le fiabe “insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”. Una lezione solo apparentemente banale: una fiaba è una lezione di storia, educazione civica, diritti, umanità. Se raccontata bene può instillare valori che faranno parte del proprio bagaglio per sempre, andando a sviluppare e sostenere un’intelligenza emotiva di cui l’umanità è spesso sorprendentemente carente.

In quest’ottica è facile comprendere il motivo per cui le storie disneyane seguono e interpretano i cambiamenti della società. Nel corso dei decenni il ruolo e la caratterizzazione dei protagonisti sono cambiati: si è passati dalle principesse dei grandi classici – Biancaneve, Cenerentola, La Bella Addormentata – che attendevano passivamente di essere salvate dal loro scintillante principe Azzurro per sposarsi e acquisire un ruolo in società; alle principesse moderne, donne forti, indipendenti, che osano sognare e combattere per realizzare i propri sogni. Da un lato c’è Biancaneve che dorme nella sua bara di cristallo attendendo il bacio del vero amore, simbolo di quelle giovani donne che sognavano il matrimonio per potersi staccare dalla famiglia di origine e acquisire una parte attiva nella società (tendenzialmente con la maternità); dall’altro lato c’è Elsa, principessa e un po’ strega, indipendente e autoritaria, sensibile e alla ricerca di se stessa, che strizza l’occhio alla comunità LGBT+ e rappresenta un nuovo tipo di donna: quella che combatte quotidianamente contro i pregiudizi della società, contro il gender gap, contro il sessismo, la violenza, fisica e psicologica, contro il maschilismo e il patriarcato, contro un pensiero tossico per cui una donna può sentirsi realizzata solo quando un uomo la rende madre. Sono cambiati anche i princìpi: non più maschi alpha simbolo dell’uomo che non deve chiedere mai, ma esseri umani con le proprie fragilità. Tra alti e bassi, Disney ha saputo interpretare le emozioni dei bambini che crescono, accompagnandoli nel corso della vita, sostenendo anziché demonizzando il cambiamento come qualcosa di negativo. Negli anni si è assistito anche a un cambio di approccio verso una categoria molto particolare di personaggi: i Villain. I cambiamenti della società come detto hanno portato a un cambiamento nelle storyline dei personaggi più iconici e ci si è trovati se non a parteggiare, quantomeno a essere incuriositi dalle figure più oscure delle fiabe. Il cattivo generalmente è brillante, intelligente, furbo, ma anche fragile: alle spalle ha spesso una storia di dolore e ingiustizia che può spiegare le motivazioni dietro ai suoi comportamenti opinabili. Questo, il “perché” di un Villain, è diventato il centro nevralgico della storia. Disney ha cavalcato l’onda ed ecco allora la rivisitazione della storia di Maleficent, portata in scena da una straordinaria Angelina Jolie, e quella di Crudelia, cui presta volto e voce un’istrionica Emma Stone. Ma ampio spazio ai “cattivi” viene dato anche nei nuovi live action: nella versione 2023 de La Sirenetta, Melissa McCarthy dà corpo e profondità al personaggio di Ursula rendendolo ancora più affascinante, imprevedibile e sfaccettato di quanto non fosse nella versione cartoon.

Walt Disney quando sognava, lo faceva in grande. Aveva deciso di dare vita ai suoi disegni creando non solo dei personaggi, ma anche dando una dimensione reale a tutto ciò che a loro girava intorno. Sulla scia di questo sogno apparentemente folle investì nella più rischiosa delle sue imprese: Disneyland. Il 17 luglio 1955 venne inaugurato il primo parco di divertimenti tematico mai aperto al mondo: un’opera da 17 milioni di dollari per 1,5 chilometri quadrati di regno, a poco più di 30 chilometri da Los Angeles. Come sappiamo non resterà un caso straordinario: gli faranno seguito Tokyo Disneyland in Giappone, Disneyland Paris, primo parco tematico europeo, Hong Kong Disneyland e Shanghai Disney Resort. Walt non fece in tempo a vedere nessuno di questi: morì nel 1966 per un cancro ai polmoni.

Dopo la morte di Walt Disney, l’azienda visse un periodo di forti alti e bassi. La salvarono, oltre alla fama e alle solide radici, le strategie di marketing: nel 2006 Disney acquistò Pixar, tra il 2009 e il 2011 riunì sotto la sua ala Marvel Entertainment e LucasFilm Ltd. Infine nel 2017 acquisì la 20th Century Fox, unitamente ai canali FX, a National Geographic e al 60% del servizio di streaming Hulu. Quest’ultima acquisizione era legata a una strategia di mercato precisa: Netflix aveva cominciato a dominare il mercato e grazie al know-how di Hulu e al portfolio di prodotti pressoché illimitato su cui ormai Disney poteva contare, nel 2019 venne lanciato Disney+, servizio di streaming che sancì la trasformazione in colosso globale dello studio.

Roberto Gagnor, storico sceneggiatore Disney, ha definito gli “originali” dei “classici”, perché, per citare Calvino, “non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire”. Gagnor faceva riferimento durante l’intervista sopracitata a Topolino & friends, ma la sua visione può essere estesa a tutto l’universo Disney: queste storie vanno a toccare quanto c’è di “universale e umano” in tutti noi ed è questo a renderle eterne e intramontabili, anche nel momento in cui spengono 100 candeline. Un secolo di fiabe, avventure, sogni realizzati e da realizzare, speranza e polvere di fata. Perché si sa, chiunque sia capace di sognare può imparare a volare: persino un topolino. Buon compleanno, Walt Disney Company.