Il libro che si addentra nei luoghi del Presepe napoletano, in un eterno ciclo tra sacro e profano
Natale significa presepe, soprattutto a Napoli: una tradizione che risale a San Francesco d’Assisi e che significa “costruire”, “raccontare” una storia, che è sempre uguale e al contempo sempre diversa.
Lo spiega molto bene Eduardo Petrone nel suo nuovo libro “Suggestioni presepiali, Viaggio a Napoli nei luoghi del Presepe tra sacro e profano, ieri, oggi e domani“, edito da La Valle del Tempo.
Tra le pagine di questo saggio si rincorrono storie che sanno di tradizione, di racconti popolari tramandati oralmente, messi per iscritto da un appassionato che nel presepe, quello vero, quello eterno che è Napoli stessa come città, c’è nato e cresciuto.
Si potrebbe dire che nel Presepe lei ci sia nato.
«Sì, ho vissuto in quel magico incrocio che è San Biagio dei Librai quando incontra San Gregorio Armeno, la strada dei presepi, in cui il genio di questa tradizione ha sempre aleggiato. Una stradina dove anche nell’antichità romana si facevano delle piccole statuine di creta che venivano poi donate al Tempio di Cerere. Con lo scorrere del tempo è diventata luogo di residenza di scultori e artisti famosi in tutto il mondo, un esempio su tutti l’autore del Cristo Velato, il Sanmartino. Il mio palazzo aveva dei balconi che affacciavano su questa strada e mia madre era solita raccontare che, se anche fosse caduta, non si sarebbe potuta ferire perché sarebbe stata accolta dalla folla che passava sotto casa».
Petrone ci racconta che San Gregorio Armeno è una stradina in salita, pedonale e ciò nonostante a senso unico, perché non sarebbe possibile gestire altrimenti, soprattutto in questo periodo dell’anno, l’afflusso costante e continuo di persone.
«Le salite vanno sempre verso i Santuari, le discese vanno al mare: è un rito salire per San Gregorio Armeno sotto Natale, c’è l’abitudine di portare anche i bambini. È significativo perché Natale è una festa ricorrente, che segna un tempo ciclico, che ritorna; un momento dell’anno che aspettiamo con ansia perché è una speranza di rinnovamento».
Il presepe napoletano, svelato in ogni suo segreto sacro e profano tra le pagine del libro di Eduardo Petrone, racconta proprio questa storia di rinnovamento e tradizione, rappresentando il ciclo della rinascita e mettendo in scena la speranza di qualcosa di migliore che il Natale porta con sé tutti gli anni.
Quali sono i personaggi più rappresentativi del presepe?
«Ce ne sono tanti che cercano di rappresentare a livello inconscio e antropologico l’evento della natività. Uno dei più interessanti è il “Ciccibacco”, che prende il nome dal rumore che fa il conduttore di una carrozza trainata da cavallo per farlo andare avanti; “Bacco” invece è il dio del vino e notoriamente viene sistemanto sopra o sotto un ponte perché il ponte è un elemento di trapasso, di cambiamento, di passaggio; il Papa per esempio si chiama “pontefice” perché è un elemento trainante che unisce la Terra al Cielo, rappresenta un ponte tra l’umano e il divino. Così il Ciccibacco diventa un novello traghettatore di anime, un caronte dantesco. Ma se ne potrebbero citare molti altri: ci sono le donne, le pastore, che lavano i pannolini dei bambini appena nati; in alcuni presepi, per esempio quello di San Lorenzo Maggiore o del Chiostro di Santa Chiara, c’è una madonna distesa su un letto di origine giottesca vicino a cui ci sono delle levatrici che l’aiutano a partorire, una scena molto umana».
Su quali altri elementi presepiali mette accento nel suo libro?
«Il presepe è sempre organizzato su tre livelli: in alto c’è il castello di Erode, simbolo del potere; in basso la Natività, il momento della nascita del bambin Gesù che viene al mondo per cambiarlo; e nel mezzo il bimbo che dorme, il “benino dormiente”, con il pastore che non sa se svegliarlo e andare verso l’alto, verso il castello, o verso il basso, verso le grotte.
Nel primo livello le grotte sono tre: al centro c’è ovviamente la natività, ai due lati ci sono la macelleria e l’osteria. La macelleria è il simbolo delle profezie per il futuro che un avolta si facevano con le interiora degli animali, con le cose sminuzzate. L’osteria invece è importante perché l’oste è il diavolo travestito, che cerca di fermare il tragitto della coppia verso la natività, per impedire la nascita del bambinello».
Petrone racconta come alcune tradizioni presepiali vadano di pari passo a quelle culinarie. «In periodo natalizio a Napoli si mangiano cose “piccole”, sminuzzate, proprio come abbiamo visto che le profezie per il futuro si facevano con interiora di animali sminuzzate. E allora ecco che mangiamo gli struffoli, le lenticchie, decostruiamo per ricostruire, l’atto stesso del mangiare diventa un rito, per far rivivere ciò che è stato. C’è un personaggio molto simpatico che rappresenta questo passaggio».
E poi ovviamente non può mancare la tombola.
«Nel presepe napoletano i giocatori di tombola ci sono sempre. I numeri li danno i pazzi, che rappresentano quei personaggi “al limite”. È interessante perché nel momento in cui si cambia, il mondo si rinnova e il giocare a tombola significa cercare i numeri che permetteranno di cambiare le cose. Tant’è vero che la tradizione popolare vuole che siano i defunti a dare i numeri agli eredi, per cambiare la propria vita».
Il libro di Eduardo Petrone racconta la storia di una tradizione e contemporaneamente quella di una città, perché Napoli è la culla del presepe e questo la rende, in un certo qual modo, la custode del Natale, una metafora viva e bellissima di quello stesso presepio che contiene sole e luna, notte e giorno, inferno e paradiso, nel ciclo continuo che è la vita e nel segno di una speranza di equilibrio tra realtà e magia.
di: Micaela FERRARO
FOTO COPERTINA: SHUTTERSTOCK
GALLERIA: EDUARDO PETRONE