La nuova segretaria del Pd promette una rivoluzione copernicana nel Partito e si dice pronta a trascinarlo a sinistra. La sua ricetta? Tante buone idee. Ma ancora poche soluzioni

È con la consegna di un melograno, “simbolo di prosperità e fortuna”, che si chiude un’era e se ne apre un’altra in via delle Fratte 16, nella sede romana del Pd. Il segretario uscente Enrico Letta passa il testimone a Elena Ethel, detta Elly, Schlein, consegnandole un partito ai minimi storici per numero di tessere e consenso ma forte, finalmente, di un ruolo all’opposizione che la quasi 38enne cavalcherà per ricostruire una credibilità appannata da anni di larghissime intese e governi tecnici. Schlein non sembra però interessata a recuperare la verginità politica del Pd: il suo progetto è ancora più ambizioso. Senza scomodare sgraditi paragoni (nessuno bestemmi parlando di rottamazione), la nuova segretaria lavorerà sulle macerie del Partito per costruire un nuovo polo partecipativo, severissimo con gli avversari e radicalmente di sinistra. Le idee ci sono, l’entusiasmo è tanto, la preparazione politica non manca. Un solo errore, in questa prima fase, potrebbe esserle fatale: adagiarsi sulla teoria e rimandare la pratica.

Il “personaggio” Schlein piace già molto alla stampa: donna, giovane, cosmopolita, sicura di sé, bisessuale. Tutti elementi che da un lato avranno almeno in parte contribuito alla sua vittoria alle elezioni primarie del Pd, ma che dall’altro rischiano di far passare in sordina le sue lotte su temi cruciali, dall’ambiente al lavoro, ormai ridotti a slogan privi di contenuti da anni di riformismo moderato e accordi politici al ribasso. Nella prima manche delle primarie, giocata nei circoli, Schlein si ferma al 34,88% e lascia gongolare lo sfidante e presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini (poi indicato dalla stessa Schlein come Presidente del Partito)fino alla fatidica domenica dei gazebo, quando la giovane candidata rimonta l’avversario e gli sfila da sotto al naso l’incarico con il 53,75% dei voti. Non era mai successo alle primarie del Pd che il suffragio universale dei gazebo ribaltasse completamente il voto degli iscritti. Ai 5.500 seggi in tutta Italia l’affluenza è stata la più bassa di sempre, ma comunque superiore alle aspettative (la Direzione conferma 1.098.623 votanti). All’amministratore locale pragmatico e schivo delle logiche correntizie, che immediatamente sente “la responsabilità di darle una mano”, si preferisce una figura più idealista ma anche ideologica. La vocazione strettamente territoriale di Bonaccini si rivela perdente rispetto all’approccio universale di Schlein, che attinge a piene mani all’iperuranio della sinistra, “a difesa dei poveri, dei precari, degli sfruttati, della sicurezza sul lavoro, della scuola pubblica”, pur non condividendo il background sociale del proletariato, nata e cresciuta nella gabbia d’oro della borghesia radical. La sua posizione di outsider cela in realtà il pieno appoggio della medesima granitica classe dirigente che propone di rinnovare. Sono con Schlein il suo predecessore Letta, gli ex ministri Dario Franceschini e Andrea Orlando, a capo di due delle correnti più influenti del Pd, ma anche l’ex presidente del Lazio Nicola Zingaretti, Peppe Provenzano e Francesco Boccia. Una cordata quantomai eterogenea, al netto del rigetto dell’esperienza renziana, che sarà difficile accontentare in toto, a partire da snodi politici come il riavvicinamento al Movimento5Stelle, demonizzato da alcuni (Letta in primis) e caldeggiato da altri (Boccia compreso). È in questo intreccio di correnti e sottocategorie che Schlein troverà il suo principale nemico, prima ancora che nella maggioranza di centrodestra: negli anni sono stati anche e soprattutto gli interessi particolari e i solchi correntizi a sbarrare la strada alla vocazione maggioritaria del Pd, che approda nelle mani della sua segretaria più giovane di sempre, oltre che prima donna, come un contenitore pieno di istanze ma svuotato della sua identità.

La sua vittoria non sarebbe che un timbro alla fine del Pd, che “era già morto” come sentenzia l’editorialista del Corriere Paolo Franchi, critico rispetto a un “partito di servizio e di sistema che, comunque andassero le elezioni, restava dentro le varie maggioranze”. Più fiducioso il giornalista Gianfranco D’Anna che celebra una “generazione Schlein” capace di spazzare la polvere dal gattopardismo del Nazareno attraverso una “immediata metamorfosi ideologica”, quasi una “seconda fondazione del partito” che mai come oggi è distante dal patto della sinistra democristiana, capace di fondere tradizione comunista e cattolicesimo. L’immediata uscita dal partito di Giuseppe Fioroni, leader dei popolari nel Pd, ce ne offre una prima prova tangibile. Il partito insomma scommette su Schlein e punta tutto sulla frattura, con Franceschini che ammette che “in questo momento non serve tranquillità” dato che la generazione di Bonaccini è giusto che lasci il passo” (e chissà se lui è compreso). Secondo il leader di Italia Viva, a proposito, la vittoria di Schlein segnerebbe più un ostacolo per il capo pentastellato Giuseppe Conte che non una sconfitta per Bonaccini, oltre a fare da assist alla premier Giorgia Meloni che proprio grazie ad un’opposizione di una sinistra più radicale ed estrema potrebbe trovarsi la strada spianata.

Ma quali sono i terremoti politici promessi da Schlein? Ambiente, femminismo, disoccupazione giovanile, diritti delle minoranze, comunità LGBTQ: capitoli portanti nel grande manuale della sinistra che la nuova direzione promette di affrontare nel massimo rigore ideologico. Sul lavoro, la deputata accusa il decreto Poletti e il Jobs Act, rilanciando l’obiettivo di “porre fine alla concorrenza al ribasso sul terreno delle tutele e dei salari”. In questo sembra che il Pd perseguirà un fronte comune con il Movimento per mantenere (e migliorare) il reddito di cittadinanza e fissare un salario minimo. Un partenariato ma anche una competizione fra i due partiti che ora si contendono una fetta di elettorato marcatamente progressista anche se minoritaria, con il Terzo Polo che attende all’uscio, pronto a intercettare il pubblico meno politicizzato e riformista in uscita. Schlein marcia sicura anche sui diritti e rilancia lo Ius Soli, perché “nella storia non si è mai fatta inclusione negando il riconoscimento delle identità”. Coerentemente con i pilastri del progressismo, anche sull’energia Schlein ha le idee chiare e rilancia un piano “per infrastrutturare una massiccia produzione di energia pulita e rinnovabile in un Paese ricco di sole, vento e acqua come il nostro”. Un assunto quasi tautologico per quanto difficile da contestare che però diventa paradigmatico per comprendere lo scetticismo di avversari ed ex alleati sul programma di Schlein.

Una classe politica visionaria e competente come quella che la nuova segretaria incarna sarebbe infatti chiamata a declinare il problema al netto di valutazioni tecniche e contingenti sull’incertezza insita nella natura delle fonti rinnovabili, “incostanti come il vento e ingovernabili come il sole”, come spiega anche Jacopo Gilberto sul Sole24ore citando quanto accadeva in Germania nel gennaio 2022, quando la “siccità eolica” nel Mare del Nord ha costretto Berlino a fare marcia indietro e ri-affidarsi a carbone e metano. Non solo. Secondo un rapporto di The European House Ambrosetti e A2A, l’Italia sarebbe seconda in Europa per potenziale disponibilità di energie rinnovabili. Eppure, dopo un vero e proprio boom registrato fra il 2008 e il 2013, la capacità installata in termini di eolico e fotovoltaico si è drasticamente ridotta. Per raggiungere l’intero potenziale delle rinnovabili in Italia, l’Irena (Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili) ha stimato una spesa di circa 145 miliardi di euro. Un investimento difficile da raggiungere con i soli green bonds, che pure nel 2021 hanno finanziato progetti di sviluppo per la cifra record di 18,3 miliardi. Limitarsi a “tifare” per le pale eoliche senza menzionarne i costi e precisare dove reperire i fondi, insomma, non basta più, e il timore che le belle parole spese sull’ambiente dalla deputata rimangano tali è già palpabile. Su questo, l’opposizione sarà un banco di prova importante, con Schlein che promette: «saremo un bel problema per Giorgia Meloni» e la premier che augura alla “nuova” sinistra della segretaria di “guardare avanti e non indietro”.

Ecco che a poche ore dalla sua elezione, avversari politici e osservatori critici convergono già sul suo punto debole, che potrebbe diventare tallone d’Achille: quella evocata dalle parole di Schlein è una sinistra velleitaria. Ambiziosa e idealista, che non è necessariamente un difetto, ma poco concreta e, parrebbe, lontana dal fango della realtà con il quale, quando si scende in politica, è necessario sporcarsi. Netti e velleitari sono i molti no ambientalisti della segretaria: no discariche, no inceneritori, no trivelle, no nucleare. Un indirizzo politico legittimo solo se non si è chiamati a prendere delle decisioni. I bivi di chi governa, e anche quelli di chi aspira a governare, bussano invece con urgenza e non c’è tempo per farli attendere alla porta mentre si è impegnati a guardare dalla finestra. Il primo passo da compiere per avviare davvero il processo di frattura con l’inconsistenza tanto criticata al “vecchio” Pd sarebbe rispondere alle questioni imminenti e concrete, scegliendo da che parte stare sul campo e non solo nei salotti del bel pensiero. Come si dovrebbe comportare l’Italia davanti all’esigenza di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico – leggasi svincolarsi dal giogo del gas russo? Per quanto ancora bisogna elemosinare il consenso degli elettori legittimamente ambientalisti sventolando il vessillo delle rinnovabili senza neppure abbozzare un piano energetico e fattuale che ci assicuri forniture sufficienti in tempi certi e preferibilmente brevi? Se siamo stufi delle discariche e non tolleriamo più inceneritori sul suolo italiano, come smaltiremo i nostri rifiuti? Perseguiremo l’adagio del “nimby” continuando a pagare altri Paesi affinché inceneriscano la nostra immondizia con strumenti che demonizziamo, ma solo entro i nostri confini nazionali? Secondo l’Ispra, nel 2018 l’Italia ha esportato 3,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (+13,7% rispetto al 2017), espatriando con essi anche posti di lavoro, energia e riduzioni nel consumo di combustibile petrolifero. Come si articolerà il dibattito interno con i dem (e non sono pochi) che invece invocano termovalorizzatori e trivelle? Utilitalia ha stimato che al nostro Paese mancherebbero ancora impianti per smaltire 5,7 milioni di tonnellate di spazzatura ogni anno: «se non si inverte questa tendenza, continueremo a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica» denuncia la Federazione, ricordando che attualmente ci attestiamo al 20% mentre gli obiettivi europei ci imporranno di dimezzare il dato entro il 2035. Per farlo, servirebbero almeno altri 30 impianti fra termovalorizzatori e compostaggio. Vincere le elezioni, insomma, è il passaggio più semplice della politica. Se da un lato nessuno può accusare Schlein di non avere una visione politica netta e decisa (lacuna imperdonabile ai suoi predecessori), dall’altro forse è ancora presto per capire se sarà sempre lei a suggerire anche come attuare i buoni propositi. Nel frattempo, con la speranza che la ventata fresca non si riveli uno spiffero, la politica italiana non può che applaudire al coraggio di un’energica pasionaria che raccoglie una sfida non da poco: lustrare la sinistra italiana dalla stantia patina moderata dei suoi pavidi protagonisti.