PSOCHIATRA PISA BARBARA CAPOVANI

L’ex direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’Usl Toscana Nordovest ha affermato che parlare di malattia mentale significa “fare un torto ai veri malati”

Scoppia il dibattito dopo l’aggressione, alla psichiatra Barbara Capovani, della quale è stata dichiarata la morte cerebrale nelle scorse ore. Capovani era stata aggredita da un suo paziente, il 35enne Gianluca Paul Seung.

«Quello che è accaduto alla dottoressa Capovani, lo sappiamo, è orribile e assurdo. Ancor più perché era evitabile, conoscendo personalmente il presunto colpevole. Di certo i demagoghi di turno (non mancano mai in queste circostanze) individueranno le cause nella carenza di risorse umane e strutturali, nel cronico affanno degli operatori sanitari, nelle imperfezioni organizzative, se non nella insufficienza delle cure prestate al “malato”. Tutto scontato e risaputo, ma lontanissimo dai veri motivi. Queste persone, diagnosticate con errore colossale e imperdonabile come “malati di mente”, sono in realtà balordi delinquenti, pericolosi per i sanitari e per tutti i cittadini, che non sono in grado e non dovrebbero vivere (a piede libero) nella società civile». Sono le parole dello psichiatra Roberto Sarlo, ex direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’Azienda Usl Toscana Nordovest, collega di Capovani, riportate dal quotidiano Il Tirreno.

 «Ora se l’esito giudiziario di questo terrificante reato sarà (come mi immagino) vizio di mente (stabilito da qualche frettoloso perito), quindi non punibilità e nuovo affidamento alle cure della Psichiatria, credo proprio che il corso di questi fatti efferati non si fermerà – ha aggiunto Sarlo – Parlare di cura per queste persone è mistificante: si fa un torto ai veri malati di mente. Questo perché “curare” le così dette personalità abnormi (così vengono definiti) è come voler “curare” il colore degli occhi: quello è e quello rimane! Non solo: se vengono etichettati come “pazienti psichiatrici”, sviluppano un sentimento di impunità per cui si sentono autorizzati a perpetrare le loro condotte (“tanto non possono punirmi, sono un malato!”). E imparano anche ad imitare i sintomi della malattia mentale, essendo di solito cognitivamente molto ben dotati. La violenza e la cattiveria esistono e non sono tout court attribuibili alla follia. Insomma gli psichiatri e tutti i sanitari che lavorano in Psichiatria non sono complementi delle forze dell’ordine e i reparti psichiatrici non sono succursali del carcere».

di: Francesca LASI

FOTO: ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI