Indigenza estrema, guerre, istruzione negata e retaggi patriarcali alimentano la piaga dei matrimoni precoci, silente ma drammaticamente diffusa in tutto il mondo dove si stimano 650 milioni di spose bambine

12 milioni all’anno, 30mila al giorno, 23 al minuto, quasi uno ogni due secondi: è a questo ritmo che in tutto il mondo bambine e ragazze con meno di 18 anni vestono l’abito nuziale e convolano a nozze. In tutto il mondo si stima che siano 650 milioni le ragazze costrette al velo bianco troppo presto. E raramente con i fiori d’arancio sboccia anche l’idillio. La piaga delle spose bambine, vittime di compravendite, unioni combinate o matrimoni riparatori, pregiudica il futuro di milioni di giovanissime in molte società del Terzo Mondo, ma attecchisce anche nel “civile” Occidente che non rinnega mai del tutto i suoi retaggi patriarcali e discriminatori.

Guardando ai dati ufficiali è facile individuare i Paesi che più di altri tollerano, o mal gestiscono, le bambine spose. Secondo l’UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, il 21% dei matrimoni celebrati in tutto il mondo sono “precoci”. La maggior parte di questi avvengono nell’Africa Subsahariana dove il 40% dei matrimoni coinvolgono una minorenne. Seguono l’Asia meridionale e l’America Latina, con una ragazza su quattro sposata prima del compimento dei 18 anni. La maglia nera nel mondo però spetta al Niger, nel cuore dell’Africa occidentale, dove il 76% delle ragazze si sposa prima dei 18 anni. Il 28%, quasi una su tre, prima dei 15.

Il solo dato quantitativo ci dà misura del fenomeno, ma non ci aiuta a comprendere tutte le reali implicazioni dei matrimoni precoci. Secondo Save The Children ogni anno più di 22mila bambine e ragazze muoiono a causa di complicanze di gravidanze e parti, esperienze precoci come le unioni che le hanno costrette a forzare la natura del proprio corpo. Non solo: il matrimonio precoce è la conseguenza di una visione culturalmente e socialmente patriarcale in cui le figlie femmine sono merce di scambio, destinate a cambiare proprietà senza voce in capitolo; il dramma nel dramma è che questo sistema è volto all’autoconservazione: una costante fissa quando si parla di spose bambine è infatti la correlazione fra la giovane età del matrimonio e la bassa o nulla scolarizzazione, con le novelle mogli costrette ad abbandonare gli studi anche più elementari. Annientando drasticamente la possibilità di costruirsi un futuro e un’indipendenza economica, le ragazze rimangono incastrate in un ruolo che non hanno scelto e che preclude loro ogni altra possibilità di realizzazione ed emancipazione: scappare dall’incubo senza una rete di assistenza sociale è quasi impossibile, soprattutto quando il primo aguzzino è proprio la famiglia di origine.

Povertà e bassissimi livelli di istruzione: è così che i matrimoni precoci forzati attecchiscono nella società, in un meccanismo che si auto-alimenta nella scarsa consapevolezza di tutti. Lo spiegava anche la direttrice dell’Institute of Gender and Development Studies all’University of the West Indies Gabrielle Hosein: l’intervento legislativo dello Stato è un passo necessario, ma non sufficiente, perché una volta vietato il matrimonio precoce comunque “non abbiamo debellato la mascolinità predatoria”. Come recita un luogo comune, “after 12 is lunch”.

L’illegalità di un comportamento, e la storia del proibizionismo dovrebbe avercelo insegnato, non ne scalfisce il radicamento culturale. Perlomeno non nel breve termine. È così che in India sposare una minorenne è illegale dal 2006; eppure nel 2017 nel Paese si contavano ancora 4,1 milioni di unioni di questo tipo. Fece discutere a marzo 2023 una retata condotta dalla polizia nello Stato dell’Assam, dove circa tremila uomini sono stati arrestati perché sposati con minorenni. Una buona notizia? Non troppo. Piuttosto, uno dei rari casi in cui l’applicazione postuma della legge – il reato si è già compiuto – danneggia ulteriormente la vittima anziché tutelarla. Se da un lato si spezza un vincolo socialmente e moralmente sbagliato, dall’altro si privano le giovanissime mogli dell’unica fonte di sostentamento della famiglia. Con bambini piccoli a carico e nessuna prospettiva lavorativa, il carceriere viene allontanato ma le piccole prigioniere rimangono tali, perché a soffocare il loro futuro non è un uomo ma l’intero contesto sociale.

In molte circostanze i matrimoni precoci sono incoraggiati dalla società per livellare gli squilibri demografici. È ciò che spesso accade in Cina, dove decenni di politiche del figlio unico (preferibilmente maschio) hanno portato ad un vero e proprio deficit di donne. Nel mondo interconnesso del libero scambio però è facile colmare la scarsità di un bene: basta importarlo dal Paese vicino. Ecco che in tutto il sud-est asiatico non è raro che una ragazza con meno di 18 anni venga venduta dalla sua famiglia di origine ad un uomo cinese in cerca di moglie. È il cosiddetto fenomeno del “marriage squeeze”, termine che indica uno squilibrio demografico in cui il numero degli uomini supera di gran lunga quello delle donne, col risultato che i matrimoni possibili calano drasticamente. Basti sapere che oggi in Cina (ma anche in India) gli uomini under 35 sono l’11% in più delle donne. Secondo alcuni studi, “l’imbuto” dei matrimoni in Cina raggiungerà il suo picco fra il 2030 e il 2055 e nel 2050 gli uomini ancora single a 50 anni aumenteranno ancora del 15%.

Un altro fattore non scatenante ma moltiplicatore del fenomeno dei matrimoni precoci è il cambiamento climatico, come racconta un reportage della Thomson Reuters Foundation in Bangladesh. Qui siccità, aumento delle temperature e inondazioni sempre più violente spingono le persone a lasciare le campagne per trovare riparo in città, dove però è difficile mantenere una famiglia numerosa. Ecco che le figlie diventano un peso economico insostenibile e sempre più spesso i genitori le fanno sposare giovanissime, arrivando anche a indebitarsi per pagare la dote che cresce con gli anni della promessa sposa, a riprova del fatto che la giovanissima età sia ritenuta un valore aggiunto. È così che il 66% delle ragazze bangladesi si sposa prima della maggiore età. Più del 30% di loro è convolata a nozze prima dei 15 anni.

La situazione è ancora più delicata nello Yemen, dove un diffuso contesto di povertà è esacerbato da 9 lunghi anni di guerra civile che hanno lasciato la popolazione stremata in preda ad una gravissima carestia. È così che qui, in cambio di una dote con cui sfamare parte della famiglia, si vendono bambine sin dal terzo anno di vita: prima degli 11 anni solitamente non si celebra il matrimonio, ma la piccola è già tenuta ad assolvere i propri doveri di moglie nella casa del futuro marito. Similmente, sotto la spinta impietosa della guerra, si registra che nei campi profughi in Giordania il 35% delle ragazze siriane si sposa entro i 18 anni; in questo contesto il matrimonio precoce rappresenta anche una “protezione” dalle violenze sessuali.

Il lettore storcerà il naso: al netto dello sgomento, sarebbe una velleità calarsi nei panni di due genitori costretti a mettere sulla bilancia la fame dell’intera famiglia da un lato e il futuro di una delle proprie figlie dall’altro. E dalla nostra parte della barricata cosa succede?

Le spose bambine non mancano nemmeno in Occidente, anche se in questo caso i dati a disposizione delle associazioni umanitarie scarseggiano. Spesso infatti i matrimoni vengono celebrati all’estero e non sono registrati nei Paesi occidentali dove sussistono dei limiti anagrafici. Negli Usa, ad esempio, il matrimonio infantile con il consenso dei genitori o l’autorizzazione di un giudice è legale in 44 dei 50 Stati federati; in 20 di questi non esiste un limite minimo di età. Secondo uno studio dell’ong Unchained at last negli Stati Uniti dal 2000 al 2018 quasi 300mila minori di 17 anni sono convolati a nozze. Anche se le situazioni di indigenza e di isolamento sociale sono meno frequenti che nei Paesi del Terzo Mondo, spesso negli Stati Uniti il matrimonio precoce viene sfruttato come un cartellino “esci gratis di prigione”. Come rileva il gruppo Equality Now, è illegale negli Usa avere rapporti sessuali con minori dai 12 ai 16 anni con almeno quattro anni di differenza, ma l’abuso diventa perfettamente legale se avviene all’interno di un’unione civile.

Per quanto riguarda l’Europa il divieto assoluto di matrimonio precoce sussiste solo in Svezia, Germania, Danimarca e Olanda. Negli altri Paesi il requisito anagrafico si aggira sui 15-16 anni, previo consenso dei genitori. Nessun limite in Grecia o in Francia. Anche in questo caso, il “problema” si aggira con l’informalità e rimane invisibile, a meno che non sia la brutalità della cronaca nera a portarlo a galla. Così è successo per esempio con il caso tragico e paradigmatico di Saman Abbas, per il cui omicidio sono indagati i genitori, uno zio e due cugini. La colpa della 18enne strangolata? Ribellarsi al matrimonio combinato dalla famiglia con un cugino in Pakistan. Né sono passati troppi anni da quando anche in Italia povertà e ignoranza dettavano legge nelle unioni private. Riecheggia il racconto della sposa bambina di Beppe Fenoglio: Catinina è una “mezza zingara” e ha appena 13 anni quando viene consegnata al nipote di un conoscente e convinta a sposarsi dalla madre e dalla sorella con “una bella veste nuova” e “tanti confetti”. Un anno dopo ha già in braccio il primo di 9 figli: «lasciatemi solo più giocare questa bilia!», urla tutta la sua innocenza davanti a un mondo di adulti che avrebbe dovuto proteggerla invece di venderla.

ActionAid stima che in Italia ci siano circa duemila spose bambine ogni anno, ma si tratta di un dramma nebuloso dai contorni sfocati perché spesso (non sempre) circoscritto a comunità straniere. A questo si aggiunge lo stereotipo che “nelle famiglie musulmane sia il padre a condannare le figlie a matrimoni precoci” anche se, come spiega la community trainer di ActionAid Tahany Shahin, “più spesso sono le madri a decidere il futuro delle figlie. Ed è con loro che bisogna creare un dialogo e un’alleanza”. Affinché la lotta al patriarcato non si riduca a mero capro espiatorio ma coinvolga davvero tutti: la posta in gioco, il futuro delle nuove generazioni, è davvero troppo alta.