ANSA

Il 28 agosto 1963 uno dei più noti leader del movimento per i diritti civili pronuncia “I have a dream”, un discorso che passerà alla storia e diventerà simbolo della lotta al razzismo. Ma a distanza di tanti anni cosa è cambiato?

«I have a dream». Queste le parole più note di uno dei discorsi più famosi della storia, con cui Martin Luther King Jr. (nato Michael King Jr.) il 28 agosto 1963 si rivolge alle 250mila persone al Lincoln Memorial alla fine della marcia per il lavoro e la libertà a Washington, una grande manifestazione a sostegno dei diritti civili e politici della comunità afroamericana.  

Un discorso diventato simbolo della lotta al razzismo, passato alla storia per la potenza, la musicalità, l’uso della retorica di King, uno dei leader del Movimento per i diritti civili e fautore della nonviolenza, che riceverà il Premio Nobel per la Pace nel 1964. A 60 anni di distanza, negli Stati Uniti ancora fortemente segnati dal razzismo a livello sistemico, si continua a riflettere sulle parole del reverendo pronunciate poco prima dell’approvazione del Civil Rights Act (1964) che ha dichiarato illegale la segregazione razziale a scuola, sul posto di lavoro e nelle strutture pubbliche, e il Voting Right Acts (1965), che proibisce la discriminazione razziale nel voto. Proprio quest’ultimo ha invalidato le cosiddette leggi Jim Crow, formulate sull’ agghiacciante assunto “separati ma uguali”.

Ma torniamo al 1963. Non si può parlare del celebre discorso di King senza parlare della marcia su Washington e di come si arrivò a quel fatidico 28 agosto. Una data non casuale: era stata scelta in occasione del centenario dell’approvazione del Proclama di Emancipazione che sanciva la liberazione di tutti gli schiavi nei territori confederati. Prima di quell’estate caldissima del ’63 erano state organizzate più di mille manifestazioni in oltre 200 città affinché venisse approvata, tra le altre, una legge per impedire ogni forma di segregazione. Molte proteste erano state pacifiche, soprattutto azioni di disobbedienza civile, mentre altre erano sfociate in scontri e represse dalla polizia. Si diffuse a quel punto una cappa di allarmismo, alimentata da alcuni politici conservatori, dalle autorità di polizia, dalle televisioni e dalla stampa che, all’annuncio di una manifestazione a Washington, paventarono la possibilità di disordini e saccheggi. L’organizzazione della manifestazione era stata, in realtà, molto lunga: i primi semi furono piantati alla fine del 1961 quando A. Philip Randolph e Bayard Rustin progettarono due giorni di proteste per attirare l’attenzione sul problema della disoccupazione e chiedere un programma di lavori pubblici che includesse anche i lavoratori neri. Da qui l’intenzione di organizzare una grande manifestazione incentrata sui diritti dei lavoratori. Cominciarono, così, le negoziazioni con i leader di altri movimenti imperniati sui diritti civili come Roy Wilkins, allora segretario della NAACP (National Association for the Advancement of Colored People)e Martin Luther King, presidente della SCLC (Southern Christian Leadership Conference). All’epoca “Doctor King” (aveva conseguito un dottorato in teologia sistematica) era un giovane pastore battista noto soprattutto per il suo ruolo nel movimento di Birmingham, campagna nonviolenta organizzata nella cittadina dell’Alabama che terminò con alcuni scontri e l’arresto di King e altri attivisti.

Nelle prime ore del 28 agosto, Washington, fatta eccezione per i primi manifestanti, era praticamente deserta. Chiusi gli uffici federali, chiusi i negozi in centro, un dispiegamento di forze roboante (quasi 6mila poliziotti, 2.000 membri della guardia Nazionale, migliaia di soldati tenuti in riserva), FBI e servizi segreti appostati sulla cima del Lincoln Memorial. Senza contare che nei giorni precedenti erano aumentate le attività di sorveglianza nei confronti dei leader del movimento, compreso King. Molte di queste misure erano state volute dall’allora presidente John Fitzgerald Kennedy e dai suoi consiglieri, tra cui il procuratore generale, il fratello Robert. La città, però, a poco a poco si riempì: una decina di treni speciali, una ventina di voli charter, oltre a convogli e aerei regolari, autobus e automobili, portarono i dimostranti nella Capitale statunitense. Mentre i 10 principali leader del movimento per i diritti civili (i cosiddetti “Big Ten”) erano ancora in riunione con i membri del Congresso, i manifestanti iniziano ad avanzare verso il Lincoln Memorial. Qui iniziarono poi gli interventi dei leader, intervallati dalle esibizioni di cantanti famosi come Joan Baez, Bob Dylan e Mahalia Jackson. Proprio Jackson avrà un ruolo fondamentale nella proclamazione del discorso di King. Il reverendo fu l’ultimo a parlare su quel palco. Una volta davanti alla folla, Martin Luther King iniziò a declamare la sua orazione preparata in precedenza, ma poi continuò a braccio. Dal pubblico l’amica e cantante gospel Jackson disse: «Raccontagli del sogno, Martin!»,come raccontò il consiglieredi MLK e co-autore della prima stesura del discorso, Clarence Jones.

Non era la prima volta che King citava il concetto del “sogno”, uno degli elementi costitutivi della tradizione americana, qui reinterpretato e ampliato. «Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere»si sentì risuonareintorno al Lincoln Memorial. Nel discorso, inoltre, non si lesinano critiche all’establishment e si mette apertamente in discussione l’autonarrazione degli Stati Uniti in quanto “nazione fondata per portare giustizia e libertà a tutti i popoli”.Scrosci di applausi dai manifestanti. Il discorso, e l’intera marcia, furono un trionfo.Non la pensò allo stesso modo l’FBI, allora diretta da J. Edgar Hoover,che estese il programma di controspionaggio interno COINTELPRO e dichiarò King nemico principale degli Stati Uniti.

Quei 17 minuti – tanto durò il discorso – segnarono un momento fondamentale nella storia del movimento per i diritti civili, così come l’intera marcia che, però, ricevette alcune critiche. Parteciparono moltissime donne, ovviamente, ma venne loro impedito di parlare. Tra loro c’erano l’attivista Rosa Parks, ricordata soprattutto per l’atto che diede il via al boicottaggio degli autobus nel 1955 (azione che, in realtà, fu preceduta qualche mese prima da un gesto molto simile di Claudette Colvin) e la cantante e attrice Lena Horne. Malcolm X, altro grande leader nella lotta per i diritti della comunità afroamericana, all’epoca portavoce della NOI (Nation of Islam), la definì la “farsa su Washington” (“farce on Washington”). Certo è che i leader a Washington chiesero cambiamenti sostanziali come, tra gli altri, l’eliminazione della segregazione scolastica, una legge federale per proibire discriminazioni di ogni tipo nelle assunzioni pubbliche e private e una paga minima di due dollari l’ora.

E poi? Poi King guidò le marce da Selma a Montgomery, in Alabama, in favore del diritto di voto per i cittadini afroamericani nel 1965. Poi, il 4 aprile 1968, Martin Luther King venne assassinato a Memphis. Per l’omicidio venne riconosciuto colpevole James Earl Ray, anche se sono in molti a credere che ci siano molti misteri irrisolti intorno al delitto.

Ma cosa è cambiato a 60 di distanza? Se a livello formale sono stati riconosciuti quelli che sono diritti basilari, a questi non sembra essere seguito un cambiamento sostanziale. Le disparità economiche tra la popolazione nera e quella bianca sono ancora molto accentuate e la comunità nera paga ancora il prezzo di politiche discriminatorie come il redlining, che per più di 30 anni ha negato alle persone nere l’accesso a mutui, servizi finanziari e investimenti nel mercato immobiliare Ufficialmente abolito nel 1968, il redlining mostra ancora oggi i suoi strascichi, segno di una reazione a catena ancora lungi dall’aver finito il suo corso, nella quale si inanellano fattori economici, giuridici, sociali e culturali. Come non sono finite la profilazione razziale e la brutalità della polizia nei confronti delle persone afroamericane e BIPOC (black, indigenous and people of color). Breonna Taylor, George Floyd, Michale Brown, Trayvon Martin, Tamir Rice,sono solo alcune delle persone morte per mano della polizia. A livello mediatico hanno ricevuto molta attenzione le proteste contro le violenze degli agenti organizzate dal movimento Black Lives Matter, che hanno fatto il giro del mondo, anche sui social, anche se presto alcuni commentatori hanno spostato l’accento sulle modalità delle proteste anziché sui contenuti.

«I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia»ha detto Martin Luther King quel giorno d’estate del 1963. La strada è ancora molto lunga, i cammini, i cortei, le marce non sono ancora finiti. «Il 1963 – ha dichiarato King non è una fine ma un inizio».

FOTO: ANSA