I “seahorse dad” sono uomini transgender che decidono di portare avanti una gravidanza, tra mille difficoltà
Il cavalluccio marino, in inglese “seahorse”, rappresenta l’unica eccezione nel regno animale in materia di gravidanza, è infatti il maschio a occuparsi di gestazione e parto. Gli uomini transgender a cui è stato attribuito il sesso femminile alla nascita che decidono di portare avanti una gravidanza non potevano dunque che riconoscersi in questo animale, così unico.
Innanzitutto è necessario fare un passo indietro, chiarire alcuni concetti fondamentali che per molte persone risultano familiari mentre per altre è ancora confusa la terminologia che la comunità in questione ha deciso di adottare per definirsi. Quando si parla di una persona transgender si fa riferimento a un individuo a cui è stato assegnato alla nascita il sesso (maschile o femminile) che vive una “varianza di genere” ovvero, come si legge nel portale web dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, “non si riconosce in quest’assegnazione binaria che avviene alla nascita. La sua identità di genere, cioè, non viene percepita come corrispondente al sesso assegnato alla nascita”. Le persone transgender possono riconoscersi in un’identità di genere binaria (uomini e donne) o non binaria (trovando la propria dimensione in una combinazione soggettiva dei generi). Inoltre, come ricorda la sociolinguista Vera Gheno nel suo podcast Amare Parole, transessuale è un aggettivo ormai in disuso dato che viene sentito come inutilmente medicalizzante dalla comunità.
Nel 2017 è stato pubblicato un documentario intitolato Seahorse: The Dad Who Gave Birth, diretto da Jeanie Finlay, dedicato alla storia di Freddy McConnell, un giornalista freelance che ha deciso di condividere la storia della sua genitorialità. Si tratta di una documentazione importante perché le storie dei seahorse dad sono poche; secondo uno studio pubblicato nel 2011 sulla piattaforma Oxford Academic su 50 persone transgender intervistate più della metà (il 54%) ha espresso un desiderio di avere figli, mentre l’8% aveva sperimentato questo desiderio in passato. A pesare sulla decisione di affrontare una gravidanza non è solo la scarsa informazione intorno alle possibilità di preservazione della fertilità all’inizio del percorso di transizione, ma anche lo stigma sociale che le persone transgender si trovano costrette ad affrontare una volta deciso di intraprendere la gravidanza. Anche dopo il parto le problematiche non finiscono, infatti dopo la transizione e l’aggiornamento dei documenti con l’identità di genere, gli uomini trans si vedono comunque registrati come “madre” sui documenti di nascita e ciò comporta outing forzati e, talvolta, impossibilità di viaggiare. Secondo l’organizzazione non governativa per i diritti delle persone transgender, Transgender Europe, sempre più spesso all’attenzione dei tribunali europei vengono posti casi legati a problemi di questo genere.
Per rivendicare uno spazio nel mondo e informare altre persone alcuni seahorse dad hanno iniziato a pubblicare sui social le proprie storie. Trystan Reese, padre di tre bimbi che vive a Portland con il suo compagno, ha creato il portale online Trans Fertility, a New York spicca invece Kayden X Coleman che racconta la vita con le sue due bambine e organizza eventi informativi sulla gravidanza transessuale. Reese ha concepito suo figlio dopo 15 anni di assunzione di testosterone e, dopo aver raccolto numerose testimonianze di uomini trans convinti che il testosterone ne avrebbe compromesso la fertilità, ha deciso di diffondere informazioni sulla ricerca medica, che sta indicando il contrario.
I dati sui parti di persone transgender sono ancora difficili da reperire, dato che vengono comunque registrati come donne che partoriscono. Secondo i dati che arrivano dall’Australia, dove dal 2013 nei registri ufficiali viene trascritto sia il sesso sia il genere delle persone che partoriscono, nel 2014 sono stati 54 gli uomini transgender che hanno dato alla luce un figlio, nel 2016 sono stati 75 e 40 nel 2017.
Per dare voce a una comunità praticamente invisibile è stato importante il documentario di Freddy McConnell e il lavoro degli altri seahorse dad. Nel documentario non si concedono sconti a nessun aspetto di questa gravidanza, dalle trasformazioni del corpo di McConnell, che interrompendo il testosterone vede tornare ad ammorbidirsi i fianchi, ridursi la barba e il ritorno delle mestruazioni. Il giornalista nella pellicola racconta che “ogni volta che ci penso, penso: che cazzo sto facendo?” e una notte, in lacrime, dice di sentirsi “un fottuto alieno”, a motivare la sua scelta di condividere tutti i turbamenti intorno a questa scelta è proprio l’obiettivo di dare risonanza a una fetta di popolazione che esiste, seppur marginalizzata e sottoposta a una crescente ondata di odio (nel 2022 sono state 381 le persone uccise dalla transfobia in tutto il mondo, secondo quanto emerge dai dati dell’Associazione Transgenere ACET). «Ho pensato che potesse essere una buona opportunità per diffondere empatia. Penso che l’empatia sia la chiave per convincere le persone che le persone trans sono in realtà abbastanza normali e vivono vite che non sono sensazionali o spaventose» spiega McConnell in un’intervista al Guardian, e aggiunge: «sono andato avanti e indietro per secoli. Ma per me, avere quel legame genetico è qualcosa che sento di dover avere. Mi ci è voluto così tanto tempo per sentirmi a mio agio nel volere dei figli, perché c’è uno stigma collegato a questo. Mi ci è voluto molto tempo per separare l’identità dalla biologia. Sto solo usando il mio hardware per fare una cosa. È pragmatico».
A febbraio scorso, dall’India, è arrivata la storia di un bimbo nato da una coppia di persone trans, si tratta del primo caso conosciuto in India e dimostra come le persone transgender esistano, facciano parte di tutto il mondo e chiedano di essere riconosciute. Oltre ogni ideologia, oltre ogni divisione politica, ricordando semplicemente che “i diritti delle persone trans sono diritti umani”, come recita il titolo dell’appello di Amnesty International per la raccolta firme contro la legge votata nel 2021 dal Parlamento ungherese che vieta il riconoscimento giuridico di genere per le persone transgender e intersessuate.