Il fenomeno dei book club con l’avvento di Instagram e di TikTok, parola all’esperta: Alice Cancellario, co-founder della piattaforma Heloola
Sebbene la lettura venga spesso considerata un hobby “solitario” non è necessariamente così, soprattutto al tempo dei social media.
Leggere è un’attività tanto dinamica per la fantasia quanto statica per il corpo, ma – e chi legge lo sa – spesso capita di provare, girando l’ultima pagina, un senso di vuoto, di perdita; scatta nel lettore la voglia di parlare con qualcuno di quanto ha appena letto, di confrontarsi su questo o quel particolare, di continuare a sognare ancora un po’ oppure di lamentarsi – perché no – di cosa non è andato esattamente come lo si desiderava.
I romanzi più belli danno poi spesso degli spunti di riflessione che, come semi, possono dare origine a pensieri profondi se annaffiati e curati nel modo giusto.
Dall’esigenza di condivisione dei lettori sono nati i gruppi di lettura, in origine veri e propri gruppi di persone che si organizzavano e riunivano con cadenza fissa per discutere di libri letti insieme; negli ultimi anni questi gruppi hanno trovato la loro controparte online nei “bookclub”, esplosi nel vero senso della parola sui social media, soprattutto su Instagram e TikTok.
Abbiamo parlato di questo fenomeno con Alice Cancellario, cofondatrice di Heloola, piattaforma che ha trasformato l’acquisto e la lettura di un romanzo in un’esperienza di intrattenimento, condivisione e crescita.
Come è cambiato il fenomeno dei book club con l’avvento dei social?
«Io ti direi che ci sono due cose che sono cambiate: la prima riguarda l’età media dei partecipanti e la seconda la posizione geografica in cui si trovano. Quando abbiamo lanciato il book club ormai quattro anni fa, in Italia non era ancora partito il “trend” e l’idea era che il club del libro fosse composto da un gruppo di signore che – essendo in pensione e non avendo molto altro da fare – si leggevano un libro al mese e poi lo commentavano con le amiche, bevendo un bicchiere di vino. Questo succedeva effettivamente, ma prima dei social perché l’occasione di aggregazione non poteva essere virtuale: il book club allora doveva seguire delle regole, chi voleva parteciparvi doveva avere molto tempo a disposizione e i partecipanti dovevano tutti vivere in prossimità. Perciò la prima cosa ad essere cambiata è l’età anagrafica di chi desidera unirsi a un club letterario. Secondariamente come dicevo, i social superano il problema della geolocalizzazione. Noi aggreghiamo migliaia di persone e sarebbe impossibile farlo dal vivo».

Cambia anche il target di riferimento, il book club oggi è più inclusivo?
«Esatto. Gli incontri dal vivo non li facciamo per due motivi: intanto geografico, come detto, e poi l’utenza a cui ci rivolgiamo è tendenzialmente introversa, perciò sull’evento fisico sarebbero più in difficoltà. I social da questo punto di vista aiutano molto, alzano un po’ di barriere che permettono alle persone di partecipare di più e ci danno una mano ad andare incontro alle esigenze di un pubblico più introverso».
Quali sono i limiti dei social?
«Il limite più importante è dato dal fatto che non è prevista una forma di approfondimento e questo non perché alle persone non importa. Le piattaforme non sono lo spazio più adatto a farlo, perché i contenuti devono seguire un certo schema per poter risultare interessanti per l’algoritmo e questo spinge chi i contenuti li crea, anche in ambito letterario, a rispettare i dettami della piattaforma; non per diventare famosi e fare numeri, ma proprio per riuscire a raggiungere le persone che a quel contenuto potrebbero essere interessate. Questo è da un lato molto frustrante, dall’altro ti spinge a spostarti altrove per fare approfondimento. Noi con Heloola cerchiamo di fare contenuti interessanti ma quando proviamo a spingere, a fare quel passo in più di discesa sotto la superficie, inizia ad essere più complesso: sia per l’algoritmo che non favorisce quel tipo di contenuto, sia per la lunghezza del post, sia per la tematica trattata»
Vi influenza il modo in cui le persone usano i social?
«Inevitabilmente, è una cosa che va capita. La gente usa i social come momento “filler”, mentre fa altre cose. Di fronte a qualcosa che lo stimola di più, l’utente si innervosisce. Questo anche nel nostro settore. Noi abbiamo una community molto carina, e di solito le persone che leggono sono persone che hanno un senso critico più sviluppato, non stiamo parlando degli hater di cui tanto si sente parlare; però più ci allarghiamo più ci rendiamo conto che c’è una difficoltà di dialogo importante. Se un concetto entra leggermente in conflitto con quello che pensi tu o è più provocatorio, meno banale, allora subito ci si esprime in maniera anche poco carina per segnalarlo. Il limite è questo: i social non sono visti come spazi per scoprire qualcosa di nuovo ma per essere rinfrancati su opinioni che già si hanno. Ed è una cosa pericolosissima».
Frequentare una community online può far perdere il senso della realtà?
«Ci sono community che si “sentono” più di altre. Nel settore dei libri questa cosa è fortissima: esiste una vera e propria “bolla” di persone che credono che tutto sia come lo vivono loro, come lo vedono loro; invece fuori da questa nicchia esiste gente che non legge un libro da anni».

E gli editori come si pongono con tutto questo?
«Anche gli editori fanno parte della stessa “bolla”. Alcune tipologie di attività di promozione editoriale, per esempio, vengono indirizzate ad un pubblico già esperto del settore».
Molto spesso si sente dire che l’editoria italiana “è in crisi”. Quanto c’è di vero?
«Io non penso che l’editoria sia in crisi, così come non penso che sia un settore “morto”, né ritengo che morirà mai. Basti pensare che è in grado di attirare giovanissime startup come noi, come Heloola. Le case editrici dovrebbero fare uno sforzo per avvicinarsi maggiormente al pubblico, questo sì. Perché si continua a dire che i dati sulla lettura sono in calo ma è anche vero che si continua a parlare sempre alle stesse persone. La vera sfida è ricordarsi che le persone a cui devi rivolgerti non sono tue alleate. È senza dubbio un target più difficile, ma c’è un vero e proprio buco, un disallineamento comunicativo tra il momento in cui i libri vengono selezionati, tradotti e messi sul mercato, e il momento in cui vengono acquistati e finiscono sul comodino di qualcuno. Serve una maggiore attenzione per i lettori “non forti”, quelli che non fanno parte di quella “bolla” di cui parlavamo prima. E bisogna smarcarsi da certi stereotipi nati soprattutto con il BookTok».
Parliamo di TikTok e Instagram: qual è stata la rivoluzione dei social nel mondo editoriale?
««Il bookstagram, vale a dire quella fetta di Instagram che si è dedicata a creare contenuti in ambito editoriale, è rimasto una “nicchia”: fin da quando è nato si è rivolto esclusivamente a chi era già amante dei libri e non ha mai fatto il “salto” in termini di numeri che invece è avvenuto con TikTok. Il booktok è una parte fondamentale della app, forse la parte maggiormente preponderante. Siamo ai livelli del Travel e del Beauty, con numeri che non si sono mai visti su Instagram. Quasi la metà delle persone in app bazzica sul booktok. La differenza è questa, TikTok funziona molto sulla moda, sui “trend”. Tante persone rifanno la stessa cosa perché è “l’inside joke” di chi frequenta la piattaforma e questa cosa – iniziata con i balletti – si è riversata sull’editoria. Questo ha avvicinato molti ragazzi alla lettura, sicuramente ha il merito di aver creato nuovi lettori».
Quali sono i rischi?
«Il mio timore riguarda ciò che succederà quando questi giovanissimi lettori nati “per trend” cresceranno. Quando la moda cambierà, per esempio. Cioè, leggono perché amano leggere o perché in questo momento si confrontano e parlano in questo modo? Quando saranno più grandi continueranno a leggere magari cambiando genere oppure passeranno a un’altra categoria forte sui social come può essere il make up? In questo secondo me sarà essenziale il lavoro degli editori. Booktok ha un’età media molto bassa, i teen, 16-25 a voler stare larghi, e c’è una preferenza di genere molto specifica; non tanto lo Young Adult, che si tratta di letteratura contemporanea leggera, ma i “Romantasy”, i Romance Fantasy. Come punto di accesso alla lettura va benissimo ma non deve nemmeno diventare secondo me sinonimo di libro, perché ci sono moltissime cose che si possono esplorare. In un momento così curioso per l’editoria sarebbe più importante imparare a guidare il fenomeno piuttosto che lasciarsi guidare da esso, senza lasciare che siano le community in maniera organica a “stabilire” le linee editoriale degli editori, ma piuttosto usando lo strumento come una delle leve a propria disposizione. Invece vedo che al momento l’editoria si divide tra chi sposa in pieno la piattaforma e chi si rifiuta di includerla nei propri piani perché la propria linea editoriale non comprende il genere di romanzo che su TikTok va di più. Secondo me si tratta proprio di una responsabilità sociale, educare lo strumento, e dunque raggiungere nuovi lettori, come cerchiamo di fare noi proprio sul booktok».
Parliamo di voi: come nasce e come funziona Heloola?
«Heloola ha vissuto due momenti: il momento in cui è nata la pagina instagram “Le ragazze bookclub”, creata non con un obiettivo di business ma perché io e la cofounder, mia sorella Giada, avevamo necessità di avere uno spazio in cui esprimerci liberamente. Lavoravamo in aziende importanti molto più grandi di noi e il nostro ruolo era circoscritto: sentivamo di non avere troppo il polso e avevamo bisogno di uno spazio di prova per tirare “leve” e capire cosa funzionava e cosa meno. La base ovviamente è stata una passione smodata per la letteratura, soprattutto per la narrativa contemporanea, molto sottovalutata, divisa tra cose inaccessibili e cose che non considererei nemmeno libri. Ci siamo rese conto che la nostra era una necessità condivisa: molte persone volevano qualcosa con uno stile comunicativo più da streaming, avevano voglia di sentirsi raccontare le cose in modo nuovo e innovativo, meno con il racconto del libro o la presentazione dell’autore e più sulla scia di quello che si stava facendo con altre piattaforme di intrattenimento in altri settori. Noi siamo partite con il libro del mese dal primo giorno in cui abbiamo lanciato il canale e non abbiamo mai saltato un mese, mai trattato questa cosa come un extra, non abbiamo mai detto “se abbiamo tempo lo facciamo”; abbiamo lavorato con l’obiettivo di dare il massimo anche quando avevamo pochi follower. Poi abbiamo iniziato a raccogliere feedback ed emergeva spesso la necessità di un maggior approfondimento. Così è nato Heloola: il nostro core rimane la selezione editoriale ma tramite il lancio della piattaforma abbiamo creato uno spazio in cui spiegare di più perché quella selezione ha senso per noi, un mezzo per andare “dietro le quinte”, con gli autori che ci appassionano, che hanno qualcosa da dire. Ovviamente fare da ponte tra social e sito è la parte faticosa. Veniamo da un retaggio storico in Italia in cui i libri avevano un altro aspetto perciò far capire che Heloola non è performativo, didattico, autocelebrativo, è davvero una sfida. I lettori finchè non lo provano non ti credono. per noi il valore enorme è far provare il servizio ma è una sfida che accettiamo con piacere».
Com’è il vostro rapporto con le case editrici?
«Per noi si tratta di partner, sigliamo accordi per lavorare insieme ma siamo una piattaforma indipendente, non ci viene mai suggerito il titolo da scegliere; anzi, ogni tanto è capitato di scegliere dei libri che poi non abbiamo potuto avere come romanzo del mese perché l’editore non voleva collaborare con noi. Naturalmente è piuttosto raro: in genere gli editori colgono l’opportunità di avere una vetrina così importante, anche perché quando scegliamo libri che stanno per uscire o che sono usciti da poco in libreria, facciamo anche una campagna massiva di marketing che va avanti per settimane in maniera impegnata. Ci sono editori con cui lavoriamo più che con altri, perché hanno una produzione letteraria molto affine a quello che facciamo noi, come Neri Pozza, Sur, NN; ma in generale non abbiamo limiti, se non quello della nostra linea editoriale. È perché questa funziona che funziona anche Heloola. Di conseguenza non facciamo accordi promozionali: se il libro ci interessa e contemporaneamente la casa editrice vuole promuoverlo riusciamo a fare delle belle cose, altrimenti non possiamo scendere a compromessi».
di: Micaela FERRARO
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