Il sociologo Alain Touraine ha immaginato una società capace di superare la logica di dominio, dove gli individui possano riconoscersi nella difesa dei diritti umani universali
In un’epoca dominata dall’individualismo e dal sovranismo, dove oltre alla visione politica si aggiunge quello che il professore Alberto Mattiacci definisce “l’individualismo egocentrico che, in epoca globo-digitalizzata, ha trovato sponda e leva nei social network: l’io al centro del mondo, l’‘io’ sovrano (e sovranista), l’io onnisciente, l’io iper-connesso e onnipresente”, la visione dell’individuo di Alain Touraine si rende più che mai necessaria.
«È semplicistico dire che l’individualismo è l’espressione dell’economia liberale e del “ciascuno per sé”, dove tutto diventa disordine, criminalità, legge della giungla. La realtà è molto più complessa: c’è per esempio la tendenza a sostituire i legami sociali propri della società come sistema, con legami più caratteristici della comunità, ovvero comunità di simili con le stesse identificazioni, dove tutti la pensano allo stesso modo, il che è a mio parere sempre un’espressione dell’individualismo» dice intervistato da Il Mulino nel 2009 il sociologo che per primo, nel 1969, ha definito la società “post-industriale”.
Nella società industriale l’individuo – inteso come lavoratore salariato – “era inserito in un sistema di produzione e in un sistema di dominazione che alimentava conflitti all’interno di questo stesso sistema di produzione; al di fuori del mondo del lavoro lo spazio per l’individuo era assai ridotto” spiega Touraine; lo slittamento nell’attuale contesto storico è reso evidente dal fatto che oggi “l’individuo fa parte di mondi diversi: lavoro, consumo, comunicazione, ciascuno dei quali ha un suo sistema di pressioni e di dominazioni, bisogna quindi difendersi in quanto cittadini, lavoratori, consumatori, pertanto ci si difende globalmente in quanto ‘persone’. Questo avviene in un contesto in cui la legittimazione dei miei diritti e dei miei doveri non arriva più dall’esterno, dalla nazione, da Dio o dal partito, l’individuo può appoggiarsi solo a se stesso o eventualmente ad altri individui singoli”. Quello che sottolinea Alain Touraine è che questo “si traduce in una forma che non possiamo definire individualismo, quanto piuttosto come una rivendicazione del soggetto a essere se stesso, ovvero a essere padrone della propria esistenza, che concretamente si esprime nel lavoro, nei consumi, nell’esercizio della cittadinanza. Come dice Hannah Arendt ciò che definisce l’essere umano è ‘il diritto ad avere diritti’ e quello che io definisco come soggetto è proprio l’individuo che diventa soggetto di diritti ovvero che può dire ‘sono il fondamento dei miei diritti’”.
La concezione del soggetto per il sociologo è intrinsecamente collegata a quella di società post-industriale, infatti nel 1978 scrive che nella società “non è più la lotta del capitale e del lavoro in fabbrica a essere al centro, ma bensì quella contro gli apparati da parte degli utilizzatori, dei consumatori o degli abitanti, definiti non tanto dalle loro caratteristiche specifiche, quanto dalla loro resistenza alla dominazione di tali apparati”.
Studiando i movimenti operai e di contestazione degli anni ‘60 e ‘70 Touraine teorizza che l’azione di un movimento sociale sia efficace se costituita da tre principi fondamentali: di identità, di opposizione e di totalità – deve cioè avere una rappresentazione di sé, sapere contro chi si batte e conoscere il terreno della battaglia – e supera la concezione introdotta da Max Weber dell’avalutatività, in quanto sincero sostenitore che il ruolo del sociologo debba essere quello del mediatore nell’autoanalisi dei movimenti stessi e nella loro capacità di agire nella lotta per la direzione sociale degli orientamenti culturali.
Proprio con il continuo studio dei movimenti sociali, passando per quelli per i diritti umani, pacifista, femminista ed ecologista, sottolinea come questi movimenti non abbiano l’obiettivo tipico di quelli che hanno animato il momento industriale di superare le contraddizioni del sistema sociale, e Touraine si concentra sulla concezione di “soggetto personale” che cerca di diventare autore della propria vita e attore etico della società, fino a considerare questo soggetto personale come un attore storico centrale nel nostro mondo. In questo senso nel 1998 evidenzia il fatto che questi movimenti pongano in essere il desiderio di accrescere la capacità di azione e di libertà dei singoli, dato che “vogliono cambiare la vita più che trasformare la società, in questo senso possono essere definiti movimenti culturali, in quanto sono azioni collettive tese a trasformare una figura del soggetto”.
Il sociologo giunge, nel 2013, a teorizzare l’avvento “di un altro tipo di vita collettiva e individuale basata sulla difesa dei diritti umani universali contro ogni logica di interesse e potere”. Alain Touraine è morto nel giugno del 2023, di fronte a una società ancora e forse sempre più disgregata, ma soprattutto ben lontana da combattere per la difesa dei diritti umani universali.
Touraine, insomma, non ha visto la vittoria del soggetto sulle logiche di interesse e di potere, ma per tutta la sua vita ha seminato la speranza che l’individuo – e non l’individualismo – trovino uno spazio di autodeterminazione significativo nella lotta dell’affermazione di dignità che, nel 1994, il sociologo ha conosciuto nel suo più fulgido esempio: il movimento indigeno messicano zapatista. Il movimento armato clandestino di stampo anticapitalista, anarchico e indigenista, attivo in Chiapas.
L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionaleda sempre si riconosce in due motti semplici: “democracia, justicia y libertad” e “para todos todo”, una filosofia, un inno, un auspicio fatto proprio anche da Touraine che vede il mondo non come puro sistema di dominio, ma come soggetti in conflitto atti a orientare la società e rivendicarne i valori. Valori come democrazia, giustizia e libertà. E, soprattutto, con un obiettivo nella lotta: per tutti, tutto.