Il carisma, il talento compositivo, l’incredibile voce di un artista eclettico che con i Queen ha scritto una pagina importante del rock
«Si può essere tutto ciò che si vuole, basta trasformarsi in tutto ciò che pensiamo di poter essere». Così canta Freddie Mercury in Innuendo, il brano che dà il titolo al quattordicesimo album dei Queen. Il compositore morirà 9 mesi dopo la pubblicazione del disco, il 24 novembre 1991, a causa di una broncopolmonite, complicanza legata all’AIDS. La band britannica venderà circa 300 milioni di dischi in tutto il mondo, diventando uno dei gruppi musicali di maggior successo di tutti i tempi, ma questa storia, e quella di Mercury, iniziano molto tempo prima.
Freddie Mercury, nome d’arte di Farrokh Bulsara, nasce a Stone Town, centro storico della Capitale dell’arcipelago di Zanzibar, in Tanzania, il 5 settembre 1946 da genitori di etnia parsi originari del Gujarat, regione dell’India occidentale. La famiglia si trasferisce nell’arcipelago per via del lavoro del padre, Cassiere della segreteria di Stato per le Colonie. Arriva, poi, il trasferimento in India dove Farrokh trascorre la sua adolescenza. È qui che scopre il suo talento artistico e musicale e proprio qui è dove inizia a essere chiamato “Freddie”. Nel 1964 la famiglia Bulsara si trasferisce nuovamente, questa volta in Inghilterra. Due anni dopo Freddie conosce Tim Staffell, cantante e bassista degli Smile, di cui fanno parte anche il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor. Freddie si unisce prima agli Ibex, con i quali fa la sua prima esibizione in pubblico, il 23 agosto 1969, poi ai Sour Milk Sea. Infine nel 1970 fonda i Queen insieme a May e Taylor, l’anno seguente si unisce il bassista John Deacon. Il 1970 è un anno cruciale: è proprio in questo periodo che “Freddie” decide di farsi chiamare Freddie Mercury. Sono state fatte tante speculazioni in merito ma non è mai stato chiarito il motivo di questa scelta.
Già durante le prime esperienze musicali il cantante mostra la sua presenza scenica, il suo carisma, il suo talento compositivo e la sua incredibile vocalità. Tanto incredibile da essere poi studiata, e confermata, anche dalla scienza. Un team di ricercatori europei (come si legge nell’articolo Freddie Mercury – acoustic analysis of speaking fundamental frequency, vibrato and subharmonics pubblicato nel 2016 su Logopedics Phoniatrics Vocology) ha infatti dimostrato che il cantante padroneggiava la tecnica delle subarmoniche e che le sue corde vocali, in sostanza, si muovevano più velocemente rispetto alla media. L’uso delle dinamiche, il vibrato e la versatilità della voce di Freddie Mercury hanno contribuito al successo dei Queen, autori di una pagina importante della storia della musica rock, in bilico tra glam, operatic pop, gospel, blues e prog. Nel 1973 esce il primo album della band, l’omonimo Queen, ma il successo globale arriva nel 1975 con il quarto lavoro, A Night at the Opera, che contiene la celebre Bohemian Rhapsody, una fusione tra rock e opera con una complessa struttura musicale divisa in cinque parti, considerata un punto di svolta nella sperimentazione di Mercury – autore del brano – che si colloca al di fuori degli standard della musica rock dell’epoca.
In realtà tutti i componenti del gruppo si sono occupati della stesura delle canzoni. Tra quelle scritte da Mercury ci sono grandi successi come Somebody to Love, We Are the Champions, Don’t Stop Me Now, Crazy Little Thing Called Love.
Con i Queen Freddie Mercury pubblica 15 album, compreso Made in Heaven, uscito postumo nel 1995. Quest’ultimo lavoro contiene alcuni brani in versione riarrangiata di Mr. Bad Guy, il primo – e tecnicamente unico – disco solista di Mercury. L’album, trainato dal singolo Living on my Own, contiene canzoni scritte dal cantante e originariamente destinate ai Queen, ma scartate dal resto del gruppo, che qui vengono riproposte in chiave pop-dance, spinta dal produttore Reinhold Mack. Nel 1988 collabora con la soprano catalana Montserrat Caballé nell’album Barcelona. Il singolo omonimo, uscito l’anno precedente, diventa l’inno ufficiale delle Olimpiadi di Barcellona del 1992. Evento a cui, tuttavia, Freddie Mercury non riuscirà ad assistere. Nel 1987 scopre di essere positivo all’HIV, e dopo tempo di aver sviluppato l’AIDS. Inizialmente il cantante decide di parlarne solo con il compagno Jim Hutton, poi, con l’amica ed ex compagna Mary Austin e, in seguito, con gli altri componenti dei Queen. Mercury rivelerà al pubblico il suo stato di salute solo il 22 novembre del 1991 con un comunicato rilasciato due giorni prima della morte. La scelta di Mercury di mantenere privato il suo stato di salute verrà criticata da alcuni ma in parte compresa alla luce di un periodo – la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta – in cui l’HIV era poco conosciuto e soggetto a falsi miti e a un forte stigma, molto più di oggi. Ai giorni nostri – sebbene non esista una cura definitiva – è infatti possibile, grazie ai farmaci antiretrovirali, rendere non rilevabile la carica virale e quindi non trasmettere il virus (“U=U”, Undetectable=Untransmittable, Non rilevabile=Non trasmissibile), possibilità allora inimmaginabile. Senza contare che all’epoca i rumors sul cantante si susseguivano senza sosta, spinti dalla stampa e dai media.
Freddie Mercury continuerà a fare musica fino a 6 mesi prima di quel 24 novembre 1991: l’ultima apparizione pubblica è quella nel videoclip di These Are The Days of Our Lives. La canzone esce il 5 settembre del ’91, 45esimo compleanno di Mercury, ma il video, per sua volontà, viene pubblicato solo dopo la sua morte. Nonostante sia stata scritta soprattutto da Roger Taylor, la canzone viene interpretata come il commiato affettuoso e sincero di Freddie Mercury ai suoi amici e al suo pubblico.
Freddie Mercury è stato ed è ancora un’icona della musica e della moda, con la sua estetica camp e i suoi outfit memorabili tra le tute glam e il cosiddetto “Castro clone” (o “clone”), il look con i baffi e i capelli corti, ispirato alla comunità e ai club queer dell’omonimo quartiere di San Francisco negli anni Settanta. Non sempre la voglia di giocare e sperimentare con la moda e il make up del cantante è stata capita e apprezzata, neanche dagli stessi fan dei Queen, ma Mercury usava lo spettacolo e la teatralità per sfidare le convenzioni e approcciarsi alla complessità, come dimostra proprio la sua musica.
Nonostante la sua continua ricerca estetica, tuttavia, l’immagine con cui più spesso viene ricordato Freddie Mercury è forse quella più semplice, quella legata alla storica performance dei Queen al Wembley Stadium di Londra per il Live Aid, il 13 luglio 1985: canottiera bianca, jeans, sneakers, bracciale e cintura borchiata. Ma a 32 anni dalla sua precoce scomparsa c’è un’altra immagine difficile da dimenticare: è l’ultimo frame del video di These Are The Days of Our Lives, in cui Freddie Mercury guarda in camera e, con un sorriso, recita l’ultimo verso del brano: «I still love you».