Il contributo della prof.ssa Angela Gadducci in occasione della Festa delle Donne
Della prof.ssa Angela Gadducci
Le differenze biologiche tra i sessi hanno da sempre costituito motivo di diseguaglianza e discriminazione a svantaggio del genere femminile: un problema di rilevanza pubblica e di preminente interesse da parte degli organismi internazionali, nonostante l’introduzione di norme a garanzia della parità di trattamento.
In Italia la prima visibilità del fenomeno cominciò ad emergere attraverso le fonti di tipo giudiziario provenienti dalle denunce -la parte emersa di un sommerso invisibile sotto la superficie della dicibilità pubblica- e dai dati non sistemici desunti dai report delle associazioni di ascolto o dalle case di accoglienza. In ogni caso, la svolta si è registrata per la prima volta con l’affermazione dei principi costituzionali: il più generale art.3 contenente il noto principio di eguaglianza, il più specifico art.37 che prende in esame la condizione peculiare della donna lavoratrice, e l’art.51 che garantisce forme di paritaria partecipazione agli uffici pubblici e alle cariche elettive.
Nonostante alcune eccezioni riguardardanti l’istituto familiare (artt. 29-30-31-37) in cui viene ribadito il prioritario ruolo familiare delle donne, nel 1948 la Costituzione estese alle donne, fino ad allora estromesse, il diritto di accedere agli incarichi pubblici.
Volendo operare un bilancio sullo stato di attuazione della parità tra i sessi nelle istituzioni politiche, non si può prescindere dal volgere lo sguardo al passato richiamando alla memoria i passaggi salienti della fase in cui furono poste le radici dell’uguaglianza.
Il primo riferimento è da ricondurre senza dubbio al 2 Giugno 1946, giorno in cui si assistè alla contemporanea indizione del Referendum istituzionale che traformò l’Italia in una Repubblica, e all’elezione dei deputati dell’Assemblea Costituente che avrebbero avuto il compito di redigere la Costituzione della Repubblica Italiana in sostituzione dello Statuto Albertino. Tra i deputati eletti, pari a 556, per la prima volta figurarono anche 21 donne, pari al 3,8% dei membri.
Già la seconda guerra mondiale vide un importante protagonismo femminile: nel 1944 Gisella Floreanini fu la prima donna ad essere insignita della carica di ministra nella Giunta provvisoria di governo della Repubblica partigiana dell’Ossola e nel 1945 le donne ottennero, per decreto[1], il diritto all’elettorato attivo, mentre il diritto all’elettorato passivo venne acquisito l’anno successivo. Ma è nel ventennio successivo che si registrò una consistente proliferazione nella produzione legislativa sul lavoro, tale da consentire un reale progresso per quanto riguardava i diritti civili della popolazione femminile: al di là della nomina al governo nel 1951 di Angela Cingolati come sottosegretaria all’Industria e al Commercio, nel 1950 venne emanata la Legge 860 sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri; nel 1960 un accordo interconfederale sancì la parità formale e sostanziale tra uomini e donne nel mondo del lavoro mediante l’eliminazione della disparità nelle tabelle retributive; nel 1963 la Legge 7 sancì il “Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio”, mentre con la successiva L.66/1963 le donne vennero ammesse ad esercitare tutte le professioni, compresa la Magistratura.
Negli anni ’70, connotati da forte fervore sociale grazie alle iniziative di movimenti femministi, all’istituzione legale del divorzio e alla costituzione del Movimento di Liberazione della Donna (MDL), venne riformato il Diritto di Famiglia che garantì la parità legale tra i coniugi e, in mancanza di una diversa espressione di volontà, il regime patrimoniale della comunione dei beni (L.151/1975), venne legalizzata l’interruzione volontaria di gravidanza (L.194/78) e approvata la Legge di parità salariale e di trattamento nei luoghi di lavoro (L.903/1977). In questo periodo, inoltre, alcune donne come Tina Anselmi, che nel 1976 ricoprì per prima la carica di ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, e Nilde Iotti eletta presidente della Camera nel 1979 (era già stata una deputata dell’Assemblea Costituente nel 1948), iniziarono a conquistare le prime importanti cariche elettive.
Negli anni ’80 continuarono a fiorire importanti iniziative volte al raggiungimento della parità: nel 1983 venne istituito il Comitato Nazionale per l’Attuazione dei principi di Parità di trattamento e uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, e al 1984 risale la Commissione per le Pari Opportunità. Alla legislazione nazionale si affiancò, in questo periodo, la legislazione di delegazione europea (legge comunitaria), che spesso anticipava i temi successivamente riproposti in sede statale: la rappresentanza politica e la presenza delle donne nei processi decisionali fu uno dei fronti di maggiore dibattito.
Negli anni ’90 il protagonismo delle donne in politica accrebbe ulteriormente: nel 1993 l’Italia passò dal sistema elettivo proporzionale a quello maggioritario (Legge Mattarella) e vennero approvate le quote rappresentative di genere per le candidature maschili e femminili introdotte dalla L.125/91[2]; nel 1995 alla IV Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle donne svoltasi a Pechino, in seno alla quale trovarono cittadinanza due significative parole-chiave (empowerment, con riferimento all’acquisizione di poteri e responsabilità nelle sedi decisionali rilevanti e mainstreaming relativamente all’integrazione del punto di vista di genere in tutte le politiche), fece eco nel 1997 una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri recante “Azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilita’ alle donne” che, recependo le indicazioni del Programma di Azione adottato da Pechino, denunciò la marginalità femminile e sollecitò una più consistente rappresentanza delle donne nelle sedi decisionali.
Fin dagli albori del nuovo millennio il tema relativo al raggiungimento di un equilibrio di genere nel processo decisionale politico divenne sempre più pregnante.
Intanto l’Unione Europea continuava a condurre una politica attiva per l’integrazione della dimensione di genere nella vita politica intraprendendo una serie di iniziative (sondaggi, indagini, dichiarazioni di principio) tese ad una più significativa inclusione delle donne nel processo decisionale. Secondo il rapporto di ricerca 2022 promosso dall’EIGE(European Institute for Gender Equality)[3],nessuno Stato membro ha ancora raggiunto la piena integrazione di genere e i progressi vanno a rilento. Nell’indice sull’uguaglianza di genere 2022 tra i Paesi con i migliori punteggi figurano la Svezia(83.9), la Danimarca(77.8) e i Paesi Bassi(77.3); la Grecia(53.4), l’Ungheria(54.2) e la Romania (53.7) registrano i punteggi più bassi, mentre l’Italia, pur collocandosi con 68.6 punti in una posizione comunque inferiore alla media dell’UE, figura tra i Paesi membri che nell’ultimo ventennio hanno fatto rilevare i maggiori progressi raggiungendo il 12° posto tra i 27 Stati membri.
Una tappa significativa è rappresentata dall’elaborazione nel 2021, a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di un documento per la Strategia Nazionale sulla Parità di Genere 2021-2026 che, inserendosi nel solco tracciato a livello europeo dalla Gender Equality Strategy 2020-2025[4], declinava un ambizioso percorso quinquennale individuando specifiche azioni-chiave per garantire il raggiungimento dell’equilibrio di genere nel processo decisionale e politico.
Negli ultimi tre anni del nuovo millennio grandi passi in avanti sono stati compiuti dalle donne sul piano della leadership politica: nel luglio 2019 il Parlamento Europeo elesse la tedesca Ursula von der Leyen, già ministra in vari dicasteri sotto il lungo cancellierato di Angela Merkel, Presidente della Commissione Europea e nell’ottobre 2022 Giorgia Meloni, prima donna nella storia della Repubblica, è stata eletta Presidente del Consiglio dei Ministri.
“Ringrazio le donne che hanno osato”: così esordì la premier Meloni in apertura del discorso che il 25 ottobre 2022 pronunciò in occasione del voto di fiducia alla Camera. Poi, optando per un registro linguistico di tipo colloquiale, rese onore alla figura di molte ‘grandi’ donne che con il loro operato contribuirono alla costruzione della storia del Paese consentendo a lei di infrangere quel pesante “tetto di cristallo”[5] che da sempre ha gravato sulla testa delle donne: con 235 voti a favore e un discorso interrotto ben 70 volte dagli applausi, Meloni ha regalato un traguardo storico alla Nazione.
NOTE
[1]Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 23 del 2 febbraio 1945.
[2] Dopo l’annullamento delle quote di genere a seguito della sentenza di illegittimità emanata dalla Corte Costituzionale (sent. n. 422 del 1995), esse vennero reintrodotte nel 2004 a livello europeo e nel 2012 a livello nazionale.
[3] L’EIGE è un istituto europeo fondato nel 2010 per rafforzare e promuovere la parità tra i sessi e combattere le discriminazioni di genere in tutta l’Unione Europea. A tal fine fornisce ricerche, dati e buone pratiche.
[4]La Gender Equality Strategy 2020-2025 è stata approvata dal Parlamento dell’Unione Europea il 21 gennaio 2021 nell’intento di porre fine alle discriminazioni e alla violenza di genere da realizzare entro il 2025.
[5] La locuzione “tetto di cristallo” venne coniata nel 1978 dalla consulente del lavoro Marilyn Loden durante una tavola rotonda della Women’s Exposition di New York che presiedette con i suoi supervisori maschi.