Un colpo di Stato fallito accende nuovamente i riflettori su uno dei Paesi politicamente più turbolenti del mondo
Il 26 giugno la Bolivia ha rischiato di veder ripetersi la sua Storia, a causa del tentativo di colpo di Stato organizzato dal generale Juan José Zúñiga che, radunando alcuni uomini delle Forze armate boliviane, ha assediato il palazzo presidenziale a La Paz. Il presidente Luis Arce con i militari alle porte di Palacio Quemado (un veicolo blindato ha cercato di sfondare una porta metallica del palazzo presidenziale) ha “convocato il popolo boliviano. Abbiamo bisogno che si organizzi e si mobiliti a favore della democrazia contro il colpo di Stato in atto” e ha destituito Zúñiga nominando il generale José Wilson Sanchez come nuovo comandante dell’Esercito, denunciando il tentativo di colpo di Stato. Nel frattempo il generale ribelle ha sostenuto che l’esercito volesse “ristrutturare la democrazia affinché sia di tutti, non di quei pochi che hanno gestito il Paese negli ultimi trenta o quarant’anni”. Anche l’ex presidente boliviano Evo Morales sui social network ha chiesto “una mobilitazione nazionale per difendere la democrazia”. Zúñiga ha sostenuto di aver operato su ordine del presidente Arce che “mi ha detto che la situazione è davvero incasinata, che questa settimana sarà critica, quindi è necessario preparare qualcosa che aumenti la mia popolarità”, parole smentite categoricamente dal presidente e nelle immagini diffuse da una televisione locale si vede uno scontro tra Arce e Zúñiga con il presidente che, nell’androne di Palacio Quemado, perentorio al generale ricordava di essere “il suo capitano e le ordino di ritirare i suoi soldati e non permetterò questa insubordinazione”. Nel giro di alcune ore Zúñiga è stato arrestato mentre rilasciava dichiarazioni ai giornalisti davanti a una caserma dopo aver ordinato il ritiro delle truppe e immagini televisive hanno mostrato il viceministro dell’Interno Jhonny Aguilera che, accompagnato dagli agenti di polizia, ha scandito “è in arresto, generale”. Il nuovo generale José Wilson Sanchez contestualmente ha disposto l’immediato ritiro dei militari da La Paz ordinando “che tutto il personale mobilitato per le strade ritorni nelle proprie unità. Chiediamo che il sangue dei nostri soldati non venga versato” e i militari fedeli a Zúñiga si sono ritirati in serata. Secondo quanto riporta la stampa locale in merito al tentato colpo di Stato militare sono state accusate 25 persone.

In Bolivia la situazione è incandescente da tempo, in vista delle elezioni presidenziali del 2025 e in relazione a esse due giorni prima del tentato golpe il generale Zúñiga aveva rilasciato un’intervista dichiarando che avrebbe arrestato l’ex presidente Morales se avesse confermato la candidatura alle elezioni nonostante il parere contrario della Corte Costituzionale. Morales ha governato il Paese dal 2006 al 2019 quando, in mezzo a una grave crisi politica – aveva vinto le elezioni ma venne accusato di brogli -, il suo governo fu estromesso e sostituito da un Esecutivo conservatore ad interim, l’anno successivo erano state organizzate nuove elezioni vinte con larga maggioranza da Arce. In vista delle presidenziali il Movimento per il socialismo (MAS) è profondamente diviso tra Arce e Morales, un tempo alleati ma ora in lotta per la guida del partito. Per meglio comprendere la situazione in Bolivia abbiamo parlato con il professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Udine Gian Luca Gardini, esperto di relazioni internazionali dell’America Latina.
Qual è la situazione attuale in Bolivia?
«Non rosea ma calma, crisi economica e politica continuano, ma non si può parlare di un vero e proprio golpe e le forze armate non sono in particolare subbuglio. Più che di un golpe si è trattato di una piazzata di un generale destituito, con scarse ramificazioni, e obiettivi politici pressoché nulli. Nessun settore civile si è schierato con Zúñiga, né il popolo ha occupato le strade contro di lui. Siamo ben lontani dai tempi delle grandi manifestazioni e proteste dei movimenti sociali boliviani degli anni ‘90 e inizio del 2000. C’è purtroppo molta disaffezione verso le istituzioni».
Perché la Bolivia ha una storia così ricca di colpi di Stato? E come riuscire a superare questa dinamica?
«Questo ha due matrici, una tipica della tradizione latinoamericana del caudillo, dell’uomo forte e del ruolo dell’esercito che è spesso un attore sociale e politico importante nelle dinamiche istituzionali. L’altra ha a che vedere con la peculiarità boliviana, dove nessun modello politico e di sviluppo è riuscito a dare risposte realmente efficaci ai problemi atavici del Paese, generando un ruolo forte tanto dei movimenti sociali quanto dell’esercito. Un certo successo lo aveva avuto Morales che però, pur di continuare nel potere, ha più volte violato l’ordine costituzionale boliviano. Questa tensione è alla base di molti dei problemi politici ed economici della Bolivia di oggi».

La figura di Arce esce rafforzata dal colpo di Stato fallito? E quella di Morales?
«Difficile da dire ora, la diatriba tra i due continua. Arce non è un leader carismatico, non suscita grandi entusiasmi, così come non li ha suscitati la sua gestione del gesto di Zúñiga. Morales continua a godere di ampi consensi ma anch’egli suscita dubbi in molti boliviani per la sua scarsa aderenza alle regole. Il gesto di Zúñiga poteva in qualche modo rafforzare i settori conservatori boliviani ma almeno fino ad ora anche questo non è successo in modo evidente. Direi che siamo in una situazione di pareggio, anche se Morales potrebbe sfruttare il fatto che Zúñiga aveva espresso posizioni a lui contrarie».
Quali sono le prospettive politiche future boliviane?
«Le prossime elezioni politiche e presidenziali si dovrebbero tenere nel 2025. La competizione per ora verte sul dualismo Morales–Arce dentro al MAS. Il primo ha il favore dell’ala indigenista del partito ma in effetti è ineleggibile secondo la Corte Costituzionale boliviana. Il secondo ha un profilo più istituzionale e tecnocratico ma la diatriba tra i due rischia di spaccare il MAS. Le dichiarazioni di Zúñiga, ciò che ha detto pochi giorni prima del sollevamento, che avrebbe arrestato Morales nel caso in cui costui si fosse candidato a presidente nel 2025, possono ora andare a favore o contro di ciascuno dei due contendenti e dei settori più conservatori. I prossimi 12 mesi saranno importanti per il futuro della democrazia boliviana».
Alla luce di tutto questo vale la pena ricordare il motto nazionale boliviano, “La Unión es la Fuerza” (“L’Unione è la Forza”) che oggi sembra essere, soprattutto, un monito.
[in copertina: La Bolivia ha una lunga storia di golpe, riusciti e sventati: dal 1945 al 2023 se ne contano 38, di cui 17 riusciti]
di: Flavia DELL’ERTOLE
FOTO: SHUTTERSTOCK