Secoli di storia ingegneristica e politica si intrecciano nelle fondamenta di un progetto da sempre in prima pagina ma mai divenuto realtà: il Ponte sullo Stretto di Messina

Essere o non essere… costruito? L’amletico dubbio sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, narra la leggenda, attanaglia le menti degli abitanti italici sin da prima della venuta di Cristo, come raccontano lo scrittore romano Plinio il Vecchio e il geografo greco Strabone. Una prima – e ad oggi unica – costruzione sembra sia stata realizzata, come si evince dalle loro pagine, su volontà del console Lucio Cecilio Metello – protagonista della prima guerra punica – con l’aiuto di barche e botti. Da allora il “mastodontico” progetto è stato discusso dal Regno delle Due Sicilie e dal nascente Regno d’Italia per arrivare alla Repubblica Italiana, la Prima e la Seconda, fino al Terzo Millennio. Ma tra plastici, progetti, studi di fattibilità, finanziamenti e sovvenzioni, ad oggi la Sicilia resta un’isola, lontana 3,14 chilometri dalla Calabria, dal resto d’Italia e dal Continente.

Sarebbe forse iperbolico raccontare – limitandosi al solo secondo dopoguerra – di quando l’Associazione Costruttori Acciaio Italiani (ACAI) incaricò David B. Steinman, importante ingegnere edile statunitense, tra i più famosi progettisti di ponti sospesi e opere metalliche, di redigere un progetto preliminare. O di quando nel 1955 alcune delle principali imprese di costruzione italiane, Finsider, Fiat, Italcementi, Pirelli e Italstrade, si misero insieme per costituire il Gruppo Ponte Messina S.p.A; o di quando un decreto ministeriale del 1969 indisse un “Concorso internazionale di idee”. Sì, perché la data chiave per comprendere l’oggi è il 1981, anno di nascita della Stretto di Messina S.p.A.
Alla realizzazione di un collegamento stabile viario e ferroviario e di altri servizi pubblici fra la Sicilia e il continente – opera di preminente interesse nazionale – si provvede mediante affidamento dello studio, della progettazione e della costruzione, nonché dell’esercizio del solo collegamento viario, ad una società per azioni”. Così esordisce la legge n. 1158 del 17 dicembre 1971 dal titolo Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia ed il continente firmata dall’allora Esecutivo guidato da Emilio Colombo che pone le basi per affidare il progetto a una società di diritto privato a capitale pubblico. Nel 1979 il premier Francesco Cossiga approva, in definitiva, la costituzione della Stretto di Messina S.p.A a cui partecipano, in un primo momento, l’allora Italstat e IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) insieme a Ferrovie dello Stato Italiane, ANAS, Regione Siciliana e Regione Calabria. In quei primi passi si nascondono però le avvisaglie di un progetto che, negli anni a venire, ha riguardato sempre più la politica e i suoi protagonisti, meno il territorio e i suoi abitanti. Il 1981, infatti, inaugura insieme a quella società un susseguirsi di dichiarazioni e “promesse” avulse da qualsiasi schieramento ideologico: «il ponte si farà entro il ’94», dice nel 1984 il ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, Claudio Signorile; l’anno successivo è il primo ministro Bettino Craxi a dire che il ponte “sarà fatto presto”; segue Romano Prodi, allora presidente dell’IRI prima di salire a Palazzo Chigi, che promette lavori completati entro il 1996 definendo il Ponte una “priorità”. Il XXI secolo spalanca, per il progetto, le porte dei programmi elettorali: in vista delle politiche del 2001 Silvio Berlusconi, in cerca del suo secondo Governo, e Francesco Rutelli, che lascia il Campidoglio, annunciano entrambi di essere favorevoli alla realizzazione del ponte. Quella sfida la vince il Cavaliere, facendo del progetto il suo cavallo di battaglia, da lì e fino all’ultimo, lasciandolo poi in eredità. È infatti durante il suo terzo Governo, nel 2005, che Eurolink S.C.p.A con in prima fila l’allora Impregilo S.p.A oggi WeBuild S.p.A diventa il general contractor per 3,88 miliardi di euro. Il rapporto della cooperativa con il progetto sarebbe dovuto essere consolidato l’anno successivo con la firma ufficiale del contratto di realizzazione, ma viene impedito da un nuovo cambio al Governo – la risalita di Prodi – le cui intenzioni sono apporre la parola fine sull’appalto, anche a costo delle penali. Il tutto si risolve, con buona pace dell’opposizione, accorpando la Stretto di Messina S.p.A all’ANAS.
Nel 2008, con il Berlusconi quater, il progetto torna in auge: l’iter si riavvia e il 2009 è un anno di grande fermento con l’inizio (apparente) dei lavori che, si promette, si concluderanno nel 2016. Il 29 luglio del 2011 l’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli annuncia l’approvazione del progetto definitivo ma all’orizzonte si staglia un “terremoto”: a ottobre l’Unione Europea esclude l’opera dai finanziamenti comunitari facendo traballare tutto, incluso Montecitorio; allo stesso modo traballa l’economia italiana, sull’orlo del tracollo. L’Esecutivo, ormai debole, viene sciolto; quattro giorni dopo la sua nomina come senatore a vita l’economista Mario Monti viene chiamato a formare un governo “tecnico” e guidare la nave fuori dalla tempesta. Con la legge di stabilità del 2012 vengono stanziati 300 milioni per il pagamento delle penalità contrattuali dovute alla mancata realizzazione dell’opera e il 15 aprile del 2013, dopo il tentativo di stipulare tra Stretto di Messina S.p.A ed Eurolink S.C.p.A un atto aggiuntivo, la società nata oltre tre decenni prima viene posta in liquidazione.

Quello del ponte – se si fa eccezione per un poco inaspettato tentativo di Matteo Renzi di riportare il progetto sui binari nel 2016 e una blanda dichiarazione datata 2020 di Giuseppe Conte, ai tempi impegnato in questioni ben più urgenti – sembrava un capitolo chiuso. Prima di essere riaperto. A gennaio 2023 l’attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del Governo Meloni, Matteo Salvini, annuncia la rimessa in moto dell’iter legislativo con conseguente ripresa dei lavori. A marzo un decreto legge dal titolo Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria, poi approvato dal Parlamento a maggio, stabilisce la riattivazione della Stretto di Messina S.p.A, in virtù del comma 491 dell’art. 1 della Legge n. 197/2023 che ne ha revocato, con effetto immediato, la liquidazione. La società, oggi in mano per il 51% al MEF, riprende in mano il progetto datato 2011.
Così dicono le carte: un ponte sospeso – il più lungo del mondo – con campata unica lunga 3.300 metri tra Cannitello in Calabria e Ganzirri in Sicilia, per una lunghezza complessiva di 3.666 metri e di 60,4 metri di larghezza dell’impalcato; 399 metri di altezza delle due torri, collegate a due coppie di cavi da 1,26 metri di diametro per il sistema di sospensione, composti ognuno da 44.323 fili d’acciaio dalla lunghezza complessiva di 5.320 metri. Un franco navigabile di 65 metri per 600 metri di larghezza, quattro corsie di traffico stradale di cui due per ciascun senso di marcia oltre a due corsie di emergenza e due binari ferroviari, per una capacità di transito pari a 6.000 veicoli e 200 treni al giorno. Una struttura in grado di resistere a sismi di magnitudo 7,1 della scala Richter (l’area interessata, va ricordato, rientra nella categoria Zona sismica 1, quella a maggiore rischio di terremoti e tsunami) con un impalcato aerodinamico stabile per venti fino a 270 km/h, il cosiddetto Messina Type Deck, studiato – sempre su carta – in tutto il mondo. Come riporta il sito web di WeBuild, capofila del consorzio Eurolink, la sola opera di attraversamento prevede costi per 4,5 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti 5,3 miliardi per opere di collegamento funzionali e 1,1 miliardi per opere non funzionali e di mitigazione ambientale, ma soprattutto ritorni vantaggiosi: l’apertura dei cantieri coinvolgerebbe circa 300 imprese e la costruzione creerebbe 100.000 nuovi posti di lavoro tra diretti e indotto, assicurando un incremento della ricchezza prodotta su scala nazionale per 2,9 miliardi di euro l’anno, lo 0,17% del PIL. Secondo Pietro Salini, amministratore delegato dell’ex Impregilo intervistato da La Stampa lo scorso maggio, “chi mette in dubbio l’utilità del ponte disconosce il valore di un progetto storico e sostenuto a livello internazionale, dall’Ue in primis”.
La “scommessa dell’Italia”, come la chiama il MIT guidato da Salvini (che dice “bisogna osare” mentre si paragona a Michelangelo, Raffaello, Leonardo da Vinci) che stabilisce al 2024 l’inizio dei lavori e nel 2032 il primo transito, sembra però presentare “anche” degli aspetti negativi. Ed è su questi che viaggiano – da anni – i cosiddetti “nopontisti”. Il primo aspetto è quello ambientale: in un dossier pubblicato da Kyoto Club, Lipu (Lega italiana protezione uccelli) e Wwf si sottolinea la necessità di riformulare la valutazione ambientale del progetto, risalente a numerosi anni addietro, in particolare in relazione alle rotte migratorie degli uccelli e alla compromissione del paesaggio; ma altri punti critici si troverebbero nell’eventuale inquinamento acustico dei lavori di costruzione così come nella gestione dei rifiuti edili. Già nel 2013 il progetto di Eurolink non aveva ricevuto il via libera del Ministero dell’Ambiente poiché il parere espresso dalla Commissione Tecnica incaricata era stato classificato come “Compatibilità ambientale varianti non esprimibile”: un problema non da poco se si considera che l’area geografica interessata conta due Zone di Protezione Speciale e 11 Zone Speciali di Conservazione con un’alta concentrazione di ecosistemi, biodiversità e aree rilevanti per il transito di animali, sia in mare che in aria, e la loro riproduzione. I comitati e le associazioni contrari alla costruzione dell’opera, inoltre, dichiarano il progetto “un’opportunità di guadagno solo per gli attori coinvolti” con “nessun impatto” per il traffico caratterizzato soprattutto da pendolarismo locale a fronte di “pesanti conseguenze di una cantierizzazione pluridecennale” (come si legge in un comunicato di Comitato No Ponte Calabria dello scorso giugno). Dall’altra sponda il Comitato No Ponte Capo Peloro sottolinea altri punti critici come “la localizzazione e l’estensione dei 30 cantieri previsti sul versante siciliano da Contesse a Torre Faro, le 1.040 pagine di elenco di coloro che saranno soggetti ad esproprio o servitù, le enormi difficoltà che ci saranno per anni per la mobilità nell’intera città, l’alterazione dei siti ambientali tutelati dalla normativa nazionale ed europea che mette persino a rischio di sopravvivenza il lago di Ganzirri”. A fornire ulteriori argomentazioni al fronte “contro” ci ha poi pensato lo stesso Governo Meloni che a inizio dell’agosto scorso ha approvato il Decreto Legge Omnibus “Asset e investimenti”: tra le misure previste compare la deroga al tetto di 240mila euro per gli stipendi dei dirigenti pubblici, inclusi quelli in forze alla Stretto di Messina S.p.A, una mossa che ha spinto molti a pensare che la società è stata e resterà una “mangiatoia”, proprio mentre l’opposizione rappresentata dalla dem Elly Schlein scende in campo per il salario minimo.
Ma non esistono solo i no: c’è chi propone alternative, come i sostenitori de #InveceDelPonte che guardano a “investimenti davvero utili per l’area dello Stretto” come il “potenziamento e ammodernamento delle strutture portuali, dei nodi intermodali, delle ferrovie e delle reti stradali e autostradali” (e qui qualcuno potrebbe obiettare che tali lavori piuttosto che essere un “invece” dovrebbero essere un “innanzitutto”). E c’è chi si dice assolutamente a favore, come il comitato Ponte e Libertà secondo il quale “il sì al Ponte è un sì anche alla libertà” in quanto “opera che migliora la vita dei siciliani e favorisce la crescita economica e sociale del territorio e del Sud”.

Dopo decenni di valutazioni, vantaggi e svantaggi sembrano essere ormai chiari. La risposta alla domanda se questo Ponte s’ha da fare o no, seppur privata di qualsiasi sentimentalismo e armata di un più adatto pragmatismo, tuttavia, resta non affatto semplice e sembra spaccare in due l’Italia. Secondo un sondaggio dello scorso maggio condotto da Quorum/YouTrend il 42% degli italiani si dice favorevole e un altro 42% contrario contro il 16% di chi non esprime un parere. Il dato cambia se ci spostiamo lungo lo Stivale: se al Nord e al Centro prevalgono i contrari (47% contro 35% e 48% contro 38%), al Sud il Ponte sembra desiderato con il 56% che dice sì a fronte del 31% che punta al no. E cambia allo stesso modo se si guarda alla fascia generazionale: più favorevoli i cittadini tra i 35 e i 54 anni (46% contro 41%), meno gli over 55 che nel 49% dei casi dicono no e solo nel 37% sì. Per quanto riguarda la fascia 18-34 colpisce, invece, il numero di quanti “non sanno”: il 23%, ma questa è un’altra storia…

Dopo anni di silenzio il progetto, dunque, viene rispolverato e torna a farsi vessillo di un Esecutivo nel tentativo di riscattare il Paese agli occhi dei vicini e dei suoi stessi abitanti. Ancora una volta, tuttavia, la realizzazione corre sul filo del rasoio, dondolando tra i sì e i no, l’indecisione e l’incapacità di decidere, di andare avanti o tornare definitivamente indietro. Forse la questione andrebbe lasciata a mani meno terrene e più mitiche, ai due abitanti più famosi dello Stretto che divide la Sicilia dalla Calabria. «Nel destro lato è Scilla; nel sinistro / È l’ingorda Cariddi», scriveva Virgilio. Oggi da una parte è il sì, dall’altra è il no: a loro la scelta.