SHUTTERSTOCK

Il “pollice in su” rientra nella comunicazione odierne e può valere come accettazione dei termini di un contratto

L’emoji con il “pollice in su” è valida quanto una firma: ad affermarlo è un giudice del tribunale del King’s Bench for Saskatchewan, in Canada.

In virtù della sua opinione, il togato, secondo il quale i tribunali devono adattarsi alla “nuova realtà” della comunicazione odierna, ha ordinato a un agricoltore il pagamento di 82mila dollari canadesi per un contratto non rispettato.

L’episodio a cui si riferisce la sentenza risale al marzo 2021 quando la cooperativa locale South West Terminal avrebbe inviato una proposta d’acquisto per la fornitura di 87 tonnellate di lino via messaggio di testo. Il rappresentante avrebbe poi firmato il contratto inviandolo tramite foto all’agricoltore Chris Achter e chiedendogli “Per favore conferma il contratto di lino”, messaggio a cui Achter avrebbe risposto proprio con l’emoji incriminata. L’agricoltore, tuttavia, non avrebbe mai consegnato la fornitura di lino, aprendo la disputa legale.

Il rappresentante della cooperativa ha dichiarato che già in precedenza le due parti avevano stipulato contratti via messaggio, l’unica differenza è che Achter avrebbe reagito con l’emoji invece di scrivere “sì”, “va bene”, “d’accordo” come al solito. L’agricoltore ha dichiarato che con il “pollice in su” voleva indicare la presa visione del documento e che “non era una conferma che ero d’accordo con i termini del contratto di lino. I termini e le condizioni completi del contratto di lino non mi sono stati inviati e ho capito che il contratto completo sarebbe seguito via fax o e-mail da rivedere e firmare. Il signor Mikleborough (il rappresentante della SWT) mi scriveva regolarmente e molti dei messaggi erano informali“.

Il giudice, tuttavia, ritiene che l’emoji stesse a indicare la conclusione “almeno verbale” dei documenti e quindi l’accettazione dei termini, a pari di una firma.

di: Alessia MALCAUS

FOTO: ANSA