Analisi e confronto del clamoroso episodio della nave Ever Given, sulla rotta più famosa del mondo
Le immagini della Ever Given, arenatasi nel Canale di Suez, bloccando una delle rotte commerciali più trafficate al mondo, hanno fatto in poche ore il giro del mondo. Si tratta della nave più grande che abbia mai ostruito il canale: 400 metri di lunghezza per 60 e un peso di 220 mila tonnellate, la portacontainer si è incagliata a causa del forte vento impendendo il passaggio da un lato all’altro e creando un ingorgo che ha congestionato per giorni i porti di mezza Europa. Un blocco che ha interessato anche l’Italia che nel Canale di Suez vede transitare ogni anno circa il 40% di tutto il suo import-export marittimo per un valore di 82,8 miliardi di euro.
E non è stato neanche l’unico “incidente” avvenuto quest’anno. A 6 mesi di distanza un’altra nave si è arenata all’altezza del chilometro 54, bloccando però in questo caso il traffico solo per alcune ore. Parliamo della Coral Crystal, una nave battente bandiera panamense costruita nel 2012 che trasportava un carico di 43.000 tonnellate.
Entrambi gli episodi, soprattutto quello della Ever Given, che ha bloccato per ben sei giorni il transito tra Asia ed Europa, hanno puntato i riflettori sull’importanza economica e geo-politica di questa rotta commerciale.
Lungo 193 chilometri, questo canale, pensato e creato dall’uomo, attraversa verticalmente l’Egitto collegando direttamente il Mar Mediterraneo al Mar Rosso e per estensione all’Oceano indiano, mettendo in comunicazione l’Europa e l’Asia, senza la necessità di circumnavigare l’Africa sulla rotta del Capo di Buona Speranza, come necessariamente si faceva prima della sua apertura avvenuta il 17 novembre 1869. Per questo è considerata una via d’accesso chiave per i traffici commerciali, perché riduce notevolmente i tempi di permanenza in mare. Per transitare da un capo all’altro ci vogliono normalmente tra le 13 e le 15 ore.
Ma qual è la sua storia? Be’, le origini di questo Canale sono antichissime: i primi scavi per collegare il Mar Mediterraneo con il Mar Rosso risalgono al 1800 a. C., quando, secondo alcuni autori antichi tra cui Aristotele, il faraone Senusret III avrebbe creato un primo canale per l’irrigazione, che poteva diventare navigabile nei periodi di piena, in seguito chiamato Canale dei Faraoni. Le prime testimonianze certe della sua realizzazione però risalgono a molto dopo, al tempo del faraone Necao II, che regnò attorno al 600 a.C. Il Canale dei Faraoni si estendeva da ovest a est e collegava un ramo della foce del fiume Nilo con il Mar Rosso. Nel corso del tempo fu esteso, anche in epoca romana, tanto che a un certo punto divenne noto come il Canale di Traiano, dal nome dell’imperatore. Fu chiuso definitivamente nel 676 d.C. per ragioni militari.
I resti del Canale dei Faraoni, descritto in numerose opere storiche, furono rinvenuti nel 1799 dalla celebre spedizione in Egitto di Napoleone che per diversi anni nutrì la speranza di poter aprire una via verso il Mar Rosso. Il suo intento era mettere in difficoltà la Gran Bretagna, rivale della Francia e che al tempo dominava i mari e i commerci anche grazie al suo controllo della rotta del Capo di Buona Speranza che circumnaviga l’Africa per collegare Europa e Asia. Napoleone rinunciò alla costruzione di un canale perché i suoi scienziati gli dissero che il livello del Mar Rosso era di circa 9 metri più alto di quello del Mar Mediterraneo e per costruire un canale navigabile sarebbe stato necessario creare un complesso e dispendioso sistema di chiuse. Gli scienziati di Napoleone però si sbagliavano: la differenza d’altezza tra i livelli dei due mari è in realtà trascurabile, ma dovettero passare una cinquantina d’anni prima che nuovi studi se ne accorgessero. Nel 1830 l’ingegnere Prosper Enfantin iniziò a studiare il progetto e costituì, nel 1846, una società che dimostrò che l’opera era realizzabile, ma esclusivamente con la navigazione di mezzi a vapore che rappresentano solo il 5% delle imbarcazioni. Nel 1854 il progetto definitivo venne firmato dall’italiano Luigi Negrelli, un ingegnere trentino, e la costruzione del Canale di Suez iniziò il 25 aprile 1859. Ci vollero 10 anni per realizzarlo, 1,5 milioni di lavoratori e costò 100 milioni di dollari, il doppio della stima iniziale. La direzione dei lavori venne affidata a Ferdinand de Lesseps, un diplomatico francese che ottenne la concessione di 99 anni da Said Pascià, viceré d’Egitto. Lesseps fondò la Compagnia del Canale di Suez, ne vendette il 49% delle quote per finanziarsi mentre il restante 51% rimase in mano francese.
La prima nave di prova attraversò il canale il 17 febbraio 1867, poi l’inaugurazione ufficiale fu il17 novembre 1869. Fin da subito cambiò il mercato ed ebbe un immediato impatto sul traffico delle merci. La Gran Bretagna, inizialmente contraria alla costruzione, perché avrebbe messo in pericolo le sue rotte commerciali tradizionali, ne ottenne poi il controllo alla fine del 1800, quando conquistò di fatto l’Egitto e comprò il 44% delle quote della Compagnia del Canale di Suez. Nel 1888 la Convenzione di Costantinopoli dichiarò il canale un territorio neutrale sotto la protezione britannica. Il canale divenne centrale negli scontri geopolitici soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale: nel 1956 il presidente dell’Egitto, Gamal Abdel Nasser, nazionalizzò la gestione del canale, e in risposta il Regno Unito, la Francia ed Israele invasero il Paese. Ma la pressione internazionale, sia da parte degli Stati Uniti sia da parte dell’Unione Sovietica, fu così forte che i tre furono ben presto costretti a ritirarsi. Per Regno Unito e Francia fu una grave umiliazione ed oggi gli storici ricordano la crisi di Suez come il momento in cui divenne chiaro a tutto il mondo che le uniche superpotenze erano gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e che il declino militare dei Paesi europei era ormai inarrestabile.
Un decennio dopo la guerra arabo-israeliana del 1967 spinse l’Egitto a chiudere Suez al traffico navale per 8 anni, mentre le forze egiziane e israeliane si affrontavano. Oggi il canale è gestito dall’Autorità del Canale di Suez, di proprietà statale, ed è un’importante fonte di guadagno per il governo egiziano. Nel 2015 è stata avviata un’espansione del canale da 8 miliardi di dollari, per aumentare il traffico navale in entrambe le direzioni, raddoppiando così le entrate.
L’importanza di Suez si riconosce, oltre che nella sua storia, anche in alcuni numeri del commercio mondiale. Ogni annocirca il 12% del commercio mondialepassa attraverso il canale, dal petrolio ai cereali al caffè istantaneo. In particolare, da qui passanoil 30% dei container, il 10% delle merci e il 4,4% del greggio globale. Secondo l’Autorità del Canale nei primi 10 mesi del 2021 i ricavi generati dai transiti ammontano a 5,1 miliardi di dollari, contro i 4,53 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. Questo incremento deriva da quello del numero di navi e del tonnellaggio totale: dal 1° gennaio al 25 ottobre 2021 sono passate per il canale 16.661 navi (contro le 15.310 del 2020), con un incremento dell’8,8%, mentre il tonnellaggio netto è aumentato dell’8,5% (29 milioni di tonnellate). Il Wto prevede che nel 2022 il trasporto marittimo globale crescerà del 4,7%.
È chiaro poi che il clamoroso stop della navigazione, causato dal blocco della Ever Given, ha portato ad una conta dei danni non indifferente. Secondo le autorità egiziane del Canale di Suez l’Egitto avrebbe perso in totale dai 12 ai 15 milioni di dollari al giorno e proprio per i danni subiti il Cairo avrebbe ottenuto, dopo svariate trattative, un risarcimento di 550 milioni che tiene conto anche delle spese sostenute per l’utilizzo di draghe e di rimorchiatori usati per disincagliare il cargo e delle perdite dovute ai pedaggi. Per passare di lì bisogna infatti pagare unacifra cospicua che dipende da cosa si porta e dalle dimensioni del bastimento ma che può arrivare a 700 mila dollari. E fisiologicamente il costo del transito sarà più alto nel 2022 visto che il 4 novembre scorso il presidente della Suez Canal Authority, Osama Rabea, ha annunciato che da febbraio del prossimo anno i pedaggi aumenteranno del 6% rispetto all’attuale tariffa. Un aumento che interesserà tutte le tipologie di navi e che escluderà solo quelle che trasportano gas naturale liquefatto.
C’è poi chi ritiene che questo incidente possa avere ripercussioni sulla scelta di nuove rotte commerciali. La Russia, per esempio, subito dopo l’incidente della Ever Given, ne ha approfittato per sponsorizzare la nuova rotta dell’Artico. In pratica, sfruttando lo scioglimento del ghiaccio e le nuove tecnologie per fendere la calotta polare, a Mosca sperano di poter creare nuovi corridoi marittimi per far arrivare i mercantili in Oriente o in Europa passando da Nord. Una scelta strategica potenzialmente rivoluzionaria, ma su cui pesano diversi ostacoli: a cominciare dalle tempistiche. Mosca può certamente investire in questa nuova via polare ma è chiaro che serviranno molti anni prima che si renda operativa al punto di avvicinarsi all’utilità della rotta di Suez.
E comunque malgrado l’incidente della Ever Given, Suez rimane molto appetibile agli occhi dei rivali strategici dell’Egitto, in primis della Cina. Il gigante asiatico ha messo gli occhi da tempo sul canale consapevole del fatto che, per incrementare sempre di più i suoi traffici marittimi, sia di fondamentale importanza controllare i punti di passaggio obbligati. I chokepoints, o colli di bottiglia, sono stretti o canali artificiali d’importanza globale in quanto costituiscono punti obbligati di passaggio per le merci lungo le principali rotte commerciali internazionali. Nel mondo sono quattro quelli considerati d’importanza strategica: il Canale di Panama, lo Stretto di Malacca, lo Stretto di Hormuz e, appunto, il Canale di Suez. Le ultime stime indicano che il 90% dei flussi commerciali marittimi internazionali transitano per almeno un chokepoint tra cui il 61% dei flussi di petrolio mondiale. Da qui si capisce ancor meglio l’importanza che questo canale rappresenta.
Ma al di là di tutti questi discorsi, è doveroso fare una riflessione. L’incagliamento della Ever Given non è soltanto un caso di cronaca da ricordare ma è la metafora di un gigantismo insensato, frutto della mente umana, rispetto alle possibilità che la Natura ci offre. È bastato un soffio di vento in più per paralizzare tutto il canale e questo perché a volte la nostra megalomania, la nostra idea di progresso è troppo sproporzionata, troppo fragile, rispetto al contesto naturale in cui operiamo. Se ci soffermassimo di più sull’importanza di adattare noi stessi e ciò che creiamo a quello che abbiamo intorno, che non possiamo né stravolgere né tanto meno dominare, certi incidenti non capiterebbero e la qualità della vita sarebbe migliore per tutti.
di: Maria Lucia PANUCCI