Odiato, amato, “conteso”. Il leader in pectore del M5S ha stupito tutti. In attesa di vederlo “triplicato” ripercorriamo la sua vicenda

Da semisconosciuto avvocato e professore ordinario di Diritto Privato all’Università di Firenze e docente alla Luiss di Roma, Giuseppe Conte verrà ricordato dai posteri come il primo premier europeo che ha dovuto affrontare l’insorgere dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19. Ma il Conte che abbiamo imparato a conoscere, temprato da due crisi di Governo e una pandemia globale, è molto diverso dal Conte che ha esordito a metà del 2018 alla guida dell’Esecutivo di coalizione tra Movimento 5 Stelle e Lega. Un Conte che, nonostante tutto, riceve ancora consensi, direttamente o indirettamente.

Al contrario di colui che l’ha succeduto, Mario Draghi, il nome di Giuseppe Conte prima del suo insediamento a Palazzo Chigi era per lo più sconosciuto ai non addetti ai lavori giuridici. Solo in quest’ambito, al pari dell’economista ex presidente della BCE, anche lui poteva vantare un profilo ricco e blasonato. Stando al curriculum pubblicato sul sito web dell’Associazione Civilisti Italiani, la sua carriera da giurista parte dalla laurea all’Università “La Sapienza” di Roma conseguita nel 1988 e dal ruolo di borsista presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche tra il 1992 e il 1993. Sulla scena universitaria Conte si distingue, secondo quanto riportato, per aver perfezionato gli studi in alcune delle Università internazionali più note al mondo: Yale University e Duquesne nel 1992, l’Internationales Kulturinstitut di Vienna nel 1993, la Sorbonne nel 2000, il Girton College a Cambridge nel 2001, la New York University nel 2008. Un percorso che lo porterà ad annoverare nel suo résumé decine di pubblicazioni di ricerca e ad occupare le cattedre dei maggiori atenei italiani.

In ambito extra-universitario, oltre a portare avanti la sua attività di avvocato civilista e patrocinante in Cassazione, Conte ha condiretto la collana Laterza dedicata ai Maestri del diritto e ha fatto parte della Commissione Cultura di Confindustria.

Il suo primo impegno politico risale al 2013 quando viene eletto dal Parlamento a far parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, organo di autogoverno della magistratura amministrativa, di cui sarà membro laico, e per due anni vicepresidente, fino al 2018, agli albori dell’esperienza nel Governo.

Nel febbraio del 2018, infatti, in vista delle elezioni politiche, il Movimento 5 Stelle indica proprio Giuseppe Conte come possibile ministro della Pubblica amministrazione di un ideale Esecutivo pentastellato. Dimettendosi dal Consiglio, in quell’occasione l’avvocato pugliese racconta come cinque anni prima fossero stati proprio i grillini a chiedergli la disponibilità alla nomina per l’organo della magistratura. Lui per onestà disse di non averli votati e di non essere un loro simpatizzante ma, nonostante ciò, Luigi Di Maio lo tenne in considerazione come uno dei nomi su cui puntare: serio ma defilato, con esperienza e grande professionalità a garantire per lui.

Da papabile ministro, dopo una tornata elettorale ambigua e senza vincitori espliciti e la crisi istituzionale post-voto più lunga nella storia della Repubblica, Giuseppe Conte viene chiamato dai firmatari dell’accordo di Governo, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, a divenire capo dell’Esecutivo di coalizione. Il suo ruolo è molto chiaro: fare da mediano e mediatore tra due schieramenti politici e leader opposti che, a conti fatti, non vogliono vedere l’altro diventare primo ministro. Ma, come fatto notare da molti, alleanze atipiche come quelle tra il M5S e la Lega, fino alle elezioni rivali, non creano Governi numericamente stabili. Un difetto congenito che si rivelerà diverse volte in seguito, soprattutto nella presentazione dei disegni di legge e nella loro approvazione. Ad esempio, già nei primi 100 giorni dopo il suo insediamento, il Consiglio dei Ministri si riunisce 16 volte per discutere e deliberare 11 disegni di legge e cinque decreti-legge. Ma di questi, in realtà, tra ratifiche, rendiconti e provvedimenti d’urgenza, solo due risultano essere vere e proprie proposte politiche. Una partenza lenta in confronto ai Governi precedenti, dunque, aggravata anche dal ritardo nella nomina di alcuni componenti, in particolare dei viceministri e dei sottosegretari delegati.

Che poi il ruolo di Conte fosse chiaro anche agli europei, lo ha dimostrato il suo debutto come premier davanti all’Unione Europea. Nel febbraio del 2019, il capo del Governo si presenta all’Europarlamento di Strasburgo per discutere le politiche economiche dell’Eurozona e la questione migranti. Il suo esordio, tuttavia, diventa un vero e proprio fiasco trasformatosi in un processo alla sua persona.«Per quanto tempo ancora sarà il burattino mosso da Di Maio e Salvini?»- gli chiede il leader dei liberali dell’Alde, Guy Verhofstadt, definendo l’Italia il fanalino di coda dell’Europa. «L’Italia è il paese che cresce meno in Europa e il cui Governo non riesce a mettersi d’accordo nemmeno su un progetto già approvato come la Tav»- gli fa eco il capogruppo del Ppe, Manfred Weber, seguito dal leader dei socialisti, Udo BullmannIl vostro Governo deve smettere di mostrarci questo viso inumano» – tuona. In quell’occasione Conte risponde per le rime («un capogruppo ha detto ‘burattino’ a chi rappresenta il popolo italiano: non lo sono e non mi sento un burattino») e il popolo italiano si indigna grandemente. Però, a conti fatti, il dubbio che questo primo ministro sconosciuto sia stato messo in bella vista ad agire per conto di qualcun altro è venuto un po’ a tutti. Forse sin da quando Conte si presentò in Aula per chiedere la fiducia ai deputati e, rivoltosi a Di Maio con le parole “posso dire”, ricevette un secco no dall’interlocutore. Gli analisti politici ci andarono a nozze con l’episodio prima che il Corriere rivelasse il retroscena: la domanda del premier entrante era “posso dire che ho perso gli appunti?”, domanda a cui la risposta fu appunto “no”. Ma anche in seguito, in più di un’occasione, la sensazione, guardando Conte parlare, era che il suo sguardo volgesse sempre verso i due vice, come in cerca di una continua approvazione. Che fosse vero o meno, che Conte fosse davvero un burattino o meno nelle mani di Di Maio e Salvini, non passa molto tempo prima che riesca a liberarsi di alcuni dei fili che in apparenza lo “controllano”.

Ad aprire ufficialmente la prima stagione di crisi, nell’agosto del 2019, sarà la mozione di sfiducia nei confronti dello stesso premier presentata dalla Lega. Ma a conti fatti è poi lo stesso Conte, dopo 445 giorni di comando, a mettere la parola fine al Governo presentando a Mattarella le sue formali dimissioni. E così a poco più di un anno di distanza l’Italia rischia di tornare di nuovo alle urne ma a salvare la situazione arriva, nientemeno che dall’altra parte dell’oceano, l’allora Presidente Usa Donald Trump. «L’altamente rispettato primo ministro della repubblica italiana, Giuseppi Conte, ha rappresentato l’Italia in modo energico al G7. Ama il suo Paese grandemente e lavora bene con gli Usa. Un uomo molto talentuoso che spero resti primo ministro» – scrive il tycoon su Twitter (sbagliando maccheronicamente il nome del premier dimissionario). E secondo alcuni proprio queste parole hanno convinto il Partito Democratico di Zingaretti, fino a quel momento irremovibile, a cedere ad una coalizione con i pentastellati. Ad inizio settembre, dunque, prende vita il Conte bis e, forse, l’ancora premier comincia a prendersi le prime rivincite nei confronti della comunità internazionale. “Un burattino diventato burattinaio” titola non senza malizia il quotidiano francese Le Figaro all’annuncio del nuovo Esecutivo, definendo una “piroetta eccezionale” la capacità dell’avvocato di passare dalla guida di un Governo di centrodestra a quella di uno di centrosinistra benedetto nientemeno che da Trump. La stampa estera, comunque, si divide: da una parte c’è chi vede di buon occhio l’estromissione di Salvini e della sua politica sui migranti, dall’altra c’è chi punta il dito sulla debolezza dell’alleanza tra grillini e dem che fino a quel momento se ne erano dette di tutti i colori. In ogni caso tutto ciò sta per passare in secondo piano perché a stagliarsi all’orizzonte, nel primo semestre del 2020, c’è la sfida più dura che il Governo Conte dovrà affrontare: l’emergenza globale più importante dal secondo dopoguerra ad oggi.

Il 31 gennaio 2020 l’Italia è il primo Paese europeo ad annunciare la presenza di due casi di quello che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ribattezzerà di lì a poco Sars-CoV-2. Ed è anche il momento in cui il mutevole premier cambia faccia e si trasforma da colui che era stato accusato dai leader europei di essere un burattino a personaggio mediatico presente – anzi, presentissimo – nelle case degli italiani. «La verità è l’antidoto più forte, la trasparenza il vaccino di cui dotarci»: con queste parole, quel fine gennaio, Conte dichiara lo stato di emergenza sanitaria nazionale. Il 9 marzo successivo le prime misure restrittive anti-contagio vengono intensificate ed estese a tutto il Paese: ha inizio il primo lockdown che durerà fino all’inizio della ribattezzata “Fase 2”, il 18 maggio.

Al di là della gestione della crisi, della bontà dei provvedimenti di chiusura e restrizioni e dei relativi aiuti alla popolazione che seguiranno nei mesi a venire, nei confronti dei cittadini Conte sceglie una strategia ben precisa: esserci. Almeno una volta a settimana il primo ministro indice una conferenza stampa e la fa trasmettere in diretta streaming sui canali televisivi e social; gli italiani, tutti, nessuno escluso, si piazzano davanti ad uno schermo e nonostante i ritardi, nonostante in più di un’occasione non venga detto niente di nuovo, lo ascoltano, lo seguono. A premiarlo ci pensano i sondaggi. Se a febbraio 2020, secondo i dati raccolti dall’agenzia Ipsos, il gradimento di Conte si attesta al 52%, a marzo dello stesso anno segna un boom arrivando al 71%, per rimanere, nei mesi successivi, sempre al di sopra del 60%. Che dietro al suo riscoperto appeal con la telecamera ci sia stato lo zampino del suo portavoce istituzionale e spin doctor, l’ex gieffino Rocco Casalino? Probabile. Del resto, lo stesso Conte, nel giugno del 2020, definisce l’ex portavoce del M5S al Senato un professionista talentuoso, in risposta a chi insinuava che ad imporgli proprio il suo nome fosse stato il Movimento. «Io non ho studiato da premier a differenza di tanti politici di carriera» – dichiara in un’intervista. – «Quando sono stato nominato non avevo neanche un account Facebook. A quel punto ho scelto i miei collaboratori e ho scelto i migliori, i più talentuosi. Ho scelto Casalino dopo aver parlato con lui. Io credo che un premier non debba circondarsi di yes men ma di professionisti che sappiano dare il loro contributo».

Al contrario di questa rispolverata di immagine, che gli è valsa anche non poche pagine social di apprezzamento femminile, in ambito privato Giuseppe Conte ha sempre continuato a mantenere un basso profilo. Di lui si sa che è stato sposato con Valentina Fico, figlia dell’ex direttore del Conservatorio Santa Cecilia di Roma e membro dell’Avvocatura di Stato nella sezione VII, ossia quella che si occupa dell’Istruzione, Ricerca e Infrastrutture. Nessuno dei due ha mai fatto emergere particolari dettagli riguardo al loro matrimonio se non che insieme hanno avuto il loro unico figlio, Niccolò nato nel 2007, e che tutt’oggi intrattengono rapporti amichevoli. Sono state poche anche le occasioni in cui l’ex premier si è presentato in pubblico insieme all’attuale fidanzata, Olivia Paladino. In una di queste l’abbiamo vista al suo braccio mentre lasciava Palazzo Chigi lo scorso febbraio, tra gli applausi dei dipendenti. Anche lei sembrerebbe non amare le luci della ribalta: cresciuta a Roma, è figlia dell’imprenditore Cesare Paladino, proprietario dell’hotel a cinque stelle Plaza di via del Corso, e dell’attrice e cantante svedese Ewa Aulin, apparsa in diverse pellicole italiane tra gli anni Settanta e Novanta. Rimane un mistero la sua età, anche se sicuramente più giovane di Conte, e la sua professione che, secondo indiscrezioni, dovrebbe riguardare il business di famiglia.

Insomma, una vita fuori dai gossip e dai social network, si potrebbe dire. Al contrario dei personaggi che gli sono stati accanto, come gli stessi Di Maio e Salvini, apparsi non poche volte sulle pagine cartacee e web delle riviste rosa, in vacanza al mare, in centro a fare shopping o al ristorante, da soli o in compagnia.

All’estero la decisione di Conte di chiudere gli italiani in casa viene derisa, considerata esagerata e prematura, mentre i leader mondiali sembrano prendere sottogamba la portata del virus. Per Donald Trump è “una bufala dei democratici” mentre Boris Johnson parla di “immunità di gregge”. Eppure, di lì a poco dovranno ricredersi e per il panorama occidentale, ed europeo in primis, il lockdown italiano diverrà un modello da seguire per contrastare l’epidemia. Insomma, Conte dovrà sudare molto per ottenere l’approvazione dell’Europa ma alla fine, con le buone e con le cattive, comincia anche lui a prendersi qualche soddisfazione e riconoscimento. Il secondo momento che lo vede trionfare in tal senso arriva a dicembre 2020 quando viene raggiunto l’accordo sul Recovery fund, i fondi europei che serviranno per la ripresa post pandemica: in quell’occasione il premier conquista per il Belpaese ben 209 miliardi di euro di cui 82 di sussidi e 127 di prestiti rispetto ai 173 proposti dalla Commissione europea di maggio.

Sul terreno nazionale, però, evidentemente tutto questo non basta. Le chiusure prolungate spaventano e sono motivo di attacco non solo da parte dell’opposizione ma anche della stessa maggioranza. E questa volta è Matteo Renzi ad innescare la crisi di Governo che farà tramontare per sempre l’era Conte.

Ma gli italiani non lo dimenticano nonostante dopo di lui sia stato chiamato a guidare l’Italia un grande maestro della politica economica del calibro di Mario Draghi, soprannominato Super Mario, perché nel 2012 salvò l’euro dalla crisi del debito mantenendo il sogno di una moneta unica europea. Lo stesso Draghi, al momento del suo insediamento, ha celebrato l’operato di Conte durante la pandemia riconoscendone la validità e nei fatti confermando le misure da lui adottate. Di fatto, a distanza di mesi, l’ex premier può gioire lo stesso per la soddisfazione morale nel vedere che il suo successore ha, almeno inizialmente, in vista della ripartenza, mantenuto la sua stessa linea nell’affrontare l’emergenza. Per Conte, comunque, al di là delle aspettative, la politica non è rimasta solo una parentesi. Oggi, infatti, dopo mille vicissitudini (l’impasse legale in merito al rappresentante, il divorzio non proprio pacifico con la piattaforma Rousseau di Casaleggio, lo scontro con il fondatore Beppe Grillo sul nuovo Statuto del Movimento), l’ex premier è leader in pectore dei pentastellati.

Quello di cui Conte ha preso in mano le redini, tuttavia, sembra essere un Movimento allo sbaraglio: ne sarebbe una riprova l’esito delle recenti elezioni amministrative in oltre mille Comuni italiani, tra cui le strategiche Roma, Milano, Torino e Bologna. Per tentare di sopravvivere, infatti, ha dovuto aggrapparsi al Partito Democratico di Enrico Letta e dove ha corso da solo non ha raggiunto i risultati forse sperati. Al di là del partito, tuttavia, per Conte è arrivata una nuova soddisfacente conferma, anche se indiretta. Se la sindaca uscente della Capitale, la grillina Virginia Raggi, non è stata riconfermata al Campidoglio, al suo posto ha vinto il candidato di centrosinistra Roberto Gualtieri, anche conosciuto come ex ministro delle Finanze durante il secondo Governo Conte, scelto e voluto dal premier in persona. L’apprezzamento degli italiani, o almeno di una consistente parte di essi, verso uno dei suoi uomini, dimostra ancora una volta che l’ormai ex sconosciuto avvocato pugliese non è solo diventato protagonista di una pagina importante della storia politica della Repubblica italiana, ma è anche riuscito a conquistarsi un posto nel cuore dei connazionali.

di: Alessia MALCAUS