Il noto professionista genovese continua la sua vocazione di consulenza, ma questa volta tutta dedicata a chi ama il mare. Proprio come lui

Lo shipbroker, che in italiano chiamiamo mediatore marittimo, è una figura professionale piuttosto sfaccettata. Nata ai tempi in cui l’armatore di una nave era spesso anche un mercante che, conoscendo le merci che era possibile esportare e i bisogni dei suoi concittadini, univa l’utile al dilettevole e caricava le prime sperando di rivenderle con profitto oltremare, si è evoluta nel corso del tempo mantenendo fermi alcuni capisaldi: un broker marittimo è sempre flessibile, competitivo e ha un grande bagaglio commerciale sulle spalle. Oggi, questa figura professionale si occupa di vendere e noleggiare sia navi che yacht per conto di armatori e clienti, in poche parole mettendo in contatto chi vende con chi compra.

Il mediatore marittimo per esercitare ha bisogno di conseguire un patentino, che si ottiene mediante esame orale. Inoltre deve iscriversi alla camera di commercio e comunicazione attraverso SCIA, Segnalazione Certificata di inizio attività, e depositare una cauzione che normalmente ammonta a 250 euro.

Per fare questo lavoro, più che per molti altri, è essenziale la passione: il broker nautico non percepisce uno stipendio ma una commissione ogni volta che la trattativa va a buon fine. Una variante questa con innumerevoli sfumature per tanti diversi motivi: la concorrenza sul mercato e l’incontro-scontro inevitabile con un mondo che ha fatto di internet e del web i suoi principali mediatori.

In Italia il settore nautico è molto sviluppato. Il nostro Paese è il primo produttore al mondo di super yacht sopra i 30 metri, copre il 40% del mercato. Inoltre le percentuali di know-how esportato sono notevoli, con direttori di stabilimento e designer italiani che lavorano in diversi altri Paesi, come per esempio la Gran Bretagna, la Germania, gli Stati Uniti, la Turchia e gli Emirati Arabi.

Ma come lavora un broker nautico nel 2021? Lo abbiamo chiesto a Fabrizio Rebolia, commercialista con la passione per le navi che nel 2020, l’anno del lockdown, ha passato l’esame per diventare mediatore marittimo professionista ed ha realizzato il sogno di una vita.

– Come è nata la passione per gli yacht?

«Ho sempre avuto la passione per le barche. Quando mi sono laureato in Economia e Commercio, nel 1991, per me le porte del brokeraggio erano chiuse perciò ho preso un’altra strada e sono diventato dottore commercialista. Ma il ruolo mi andava stretto perché quello che mi piaceva veramente era occuparmi di navi, barche, compravendite su mercati internazionali».

Poi è accaduto qualcosa.

«Sì. Nel 2005 ho seguito un corso per manager sull’import-export e il caso ha voluto che il trainer fosse nel settore degli yacht. Alla fine sono diventato il suo consulente e ho iniziato ad attivarmi sui social, collaborando con case d’asta per procacciare barche. Adesso ho intenzione di chiudere con l’attività da commercialista e occuparmi solo di compravendita di imbarcazioni».

Ma come si fa, il broker nautico?

«Ci sono due modi di vedere le cose. Il broker è un intermediario, un mediatore. Per capire quali fossero le necessità del mercato al di là della pubblicità ho preparato un test a cui ho sottoposto alcuni amici possessori di yacht: è venuto fuori che il broker di basso livello è quello che punta a venderti qualunque cosa, bravo quindi a nascondere qualche difetto pur di arrivare all’obiettivo. Il broker competente, invece, fa periziare la barca, redige una vera e propria pagella e presenta l’imbarcazione per quello che è, difetti compresi: io ho scelto di farlo così, il broker nautico. Ti presento il valore reale della barca, sono onesto. È questo che è un broker, una figura che mette in relazione due parti senza essere legato a nessuna delle due e assicura una corretta esecuzione del contratto. Che non significa che risponde della disonestà altrui, ma pone tutti gli strumenti professionali in essere per assicurare una trattativa che sia il più possibile trasparente. Ecco: trasparenza è la parola d’ordine in questo mestiere».

– Cosa chiede il mercato degli yacht in questo momento, e come si pone il broker rispetto alle richieste dei clienti?

«Perlopiù vengono chieste barche grandi all’interno. La caratteristica più cercata è quella dell’abitabilità, come i camper. Il problema è che le barche interiormente sono sempre state fatte piccole perché con il mare grosso sono più gestibili. Io personalmente dico ciò che penso anche a scapito di ciò che vuole il mercato: le barche grandi all’interno sono comode, ma spesso sono difficilmente marine e a volte esteticamente peggiori. Peraltro i designer sono d’accordo con me».

– Viviamo in un mondo dipendente da internet. Quanto influiscono il web e i social sul suo lavoro?

«Io devo molto ai social, come broker. La mia attività è nata così, altrimenti un commercialista come avrebbe mai potuto mettersi a vendere barche? Porto avanti un progetto crossmediale tra Facebook, Instagram, LinkedIn e, anche se in misura minore, Twitter: ho creato un brand, Symbol Yachting, e uno dei temi che affronto di più è quello della bellezza secondo me, secondo il mio brand, secondo ciò che io rappresento. Ovvero qualità marine e solo poi comodità».

– Come descriverebbe il suo target di clientela?

«Grazie a Facebook e LinkedIn raggiungo soprattutto gli operatori di settore. Con Instagram mi interfaccio tantissimo con i privati, con l’uomo della strada, se mi si passa il termine».

– Parliamo di covid. Può farci una panoramica della sua attività pre e post pandemia?

«Il settore della nautica ha delle risposte anomale, le ha avute anche per la pandemia. Si potrebbe fare un parallelo con la grande depressione americana del ’29: chi era ricco era spaventosamente ricco, e chi era povero era fuori dai giochi completamente. Stessa cosa, o quasi, è accaduta nel mondo con il covid: il settore commerciale delle navi sopra i 30 metri, le navi dei ricchi, non conosce crisi. È come chiedere a Ferrari se ha sentito il colpo del covid: nulla. Invece, per il mercato delle barche sotto i 10 metri il discorso è un po’ diverso: prima del covid andava bene, dopo è subito andato in tilt, poi si è per fortuna assestato».

– Si sono fermati gli acquisti?

«Sì, e alla fine dell’estate si è fermato anche il leasing. Perciò chi voleva comprare una barca ha avuto una battuta d’arresto. In quel momento ho pensato che il mercato degli yacht sopra o sotto i 10 metri fosse finito».

Il leasing nautico è la soluzione finanziaria dedicata a privati e imprese per disporre di imbarcazioni da diporto nuove, usate, oppure addirittura ancora da costruire. Presenta innumerevoli vantaggi, soprattutto a livello di fisco, ma visto che influisce sull’Iva l’Unione Europea ne ha contestato la formula lo scorso ottobre.

– Si è rivelata una supposizione sbagliata?

«Fortunatamente sì. Quando sono arrivate le ferie estive è rapidamente emersa una grande verità: la barca era l’unica forma di vacanza veramente sicura, come il camper. Così c’è stato il boom del noleggio».

– Quali sono le sue aspettative per il futuro?

«La gente ha voglia di tornare a vivere, perciò qualcosa succederà. Può darsi che in generale ci sia meno propensione a spendere soldi, una tendenza più marcata al risparmio. Io personalmente vedo buone opportunità nel mercato dell’usato, che secondo me sarà venduto a prezzi più giusti, più logici, e immagino che ci sarà un ripensamento del marketing, oltre a una significativa svolta in chiave green».

Nel corso del 2020 gli italiani, ma non solo, hanno dimostrato di aver sviluppato una certa tendenza al risparmio, a causa della precarietà e dell’incertezza dell’economia e alle misure restrittive dovute alla pandemia. Tuttavia l’estate sta arrivando e la voglia di evasione si fa sempre più marcata: perciò chissà che, proprio come è stato per Fabrizio Rebolia che dal lockdown ha avuto la giusta spinta a realizzare i propri sogni, ugualmente non succeda per il settore della nautica, e che l’estate del 2021 non sia il momento propizio per puntare all’orizzonte.