Ha fatto scalpore la conferenza organizzata dal Centro Studi Machiavelli e ospitata dalla Sala Stampa di Montecitorio: i due relatori hanno dichiarato che l’aborto “non è mai giusto”

È polemica per la conferenza anti-abortista tenutasi alla Camera dei Deputati. “L’aborto non è mai giusto” e “non è un diritto” sono solo alcuni dei concetti espressi all’interno di un saggio presentato durante il convegno.

Ma facciamo un passo indietro. Come riferito da Repubblica, martedì 23 gennaio la Sala Stampa di Montecitorio ha ospitato la presentazione della rivista Biopoetica del Centro Studi Machiavelli, think thank di cui è consigliere scientifico il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, come appare sulla pagina dedicata allo staff del Centro. La sala conferenze della Camera era stata prenotata dal deputato della Lega Simone Billi, salviniano e membro della Commissione Esteri, che non era presente a causa di “un impegno a Strasburgo”, riportano i media. I due relatori, Marco Malaguti, studioso di Filosofia, e Maria Alessandra Varone, dottoranda di Filosofia all’università Roma Tre, hanno ribadito le posizioni espresse nel saggio Biopoetica. Breve critica filosofica all’aborto e all’eutanasia, in cui si legge: «L’aborto è una soluzione pratica, ma non è sublimabile a diritto inalienabile: non è mai giusto». Secondo il saggio, l’interruzione di gravidanza, come l’eutanasia, “sdoganerebbe anarchia e anomia, simili all’Inferno faustiano”. Nella pubblicazione l’aborto viene paragonatoall’atto “di uccidere, di rubare, di ferire”.

In un passaggio si sostiene che “l’aborto non è un diritto legalmente accettabile” e che anche “nei casi più tragici, come quelli di stupro, non è mai giusto”. Secondo i relatori i diritti del padre “sarebbero del tutto esclusi: questo sarebbe sbagliato sotto ogni aspetto, perché sul destino del bambino dovrebbe avere pari diritto decisionale rispetto alla madre” e l’aborto sarebbe “perciò un uso improprio della libertà e della responsabilità, una degenerazione del ruolo materno”.. Per i relatori, “fatta eccezione dei casi di violenza sessuale, non è possibile credere che prima di un atto sessuale non si immagini nemmeno l’eventualità di un concepimento non desiderato” e che, quindi, le possibili “conseguenze” “vanno accettate”. Varone ha, inoltre, dichiarato che “il caso dello stupro è un finto dilemma morale, si tratta di un caso delicato, perché non c’è uno che perde e l’altro che guadagna: il feto perde e la madre guadagna, in termini puramente logici. Nulla che questo bambino venga poi dato in adozione, nulla toglie che questa madre possa portare avanti la sua vita con lui: questo non l’autorizza ad ucciderlo, perché di questo si tratta e bisogna aver il coraggio di usare le parole consone”.

Le reazioni

Subito si sono levate le reazioni delle opposizioni, che hanno accusato la Lega di posizioni “oscurantiste sull’aborto”. La senatrice del Pd Ylenia Zambito ha scritto su X: «Dopo Pillon arriva Billi. A destra cambiano i volti ma non i programmi: non si fermano la propaganda contro i diritti delle donne e le affermazioni aberranti. Allora ripetiamolo: l’aborto è un diritto sancito dalla legge, con buona pace degli esponenti leghisti». Anche la capogruppo dem alla Camera Chiara Braga ha affermato: «Non vi permetteremo di fare dell’Italia un paese del Medioevo e della barbarie civile e umana. L’aborto è un diritto anche per le vostre compagne, anche per le vostre figlie. È inaccettabile che venga negato in Parlamento e da un partito di governo. Meloni, da donna, cosa dice?».

La senatrice del Pd Simona Malpezzi ha parlato di “tesi inaccettabile e gravissima diffusa e propagandata in Parlamento da un partito di maggioranza”.

Billi ha, però, preso le distanze da quanto espresso nel convegno.  «La Lega, da sempre, si è battuta per la libertà di espressione delle donne e quanto riportato è falso – ha dichiarato il parlamentare – Personalmente credo nella libertà di scelta e, soprattutto, le donne vittime di violenza non possono essere utilizzate e strumentalizzate. Ribadisco ancora una volta che le donne devono poter decidere autonomamente. Io non ero presente al convegno e, se fossi stato presente, avrei sicuramente portato avanti le mie tesi».

Nonostante la smentita da parte del Carroccio, rimane alta l’indignazione. Il capogruppo al Senato del Pd Francesco Boccia ha affermato che la conferenza “è la regressione culturale su cui ci sta portando questa destra. Sui diritti sacrosanti, come l’aborto, il Paese non va indietro, forse loro sì, ma il Paese no”. Il deputato dem Alessandro Zan ha dichiarato: «oltre a contestare la legge sull’aborto, si dice anche che l’aborto non è nemmeno possibile in caso di stupro. Una cosa vergognosa e violenta».

«Bene che la Lega abbia sconfessato i suoi stessi ospiti – ha dichiarato Luana Zanella di Avs (Alleanza Verdi e Sinistra) – ma dispiace che la Camera abbia potuto ospitare un evento dove si sono espresse posizioni così retrive».

Il chiarimento del Centro Studi Machiavelli

Anche il Centro Studi Machiavelli si smarca. In un comunicato pubblicato sul sito si legge: «Ciascun autore o relatore è responsabile di ciò che scrive o dice. Il Centro Studi si limita ad ospitarli, con piacere, per alimentare un dibattito informato e una dialettica di idee. Nella conferenza in oggetto sono emerse più posizioni. Ad esempio, il Presidente del Centro Studi ha dichiarato esplicitamente la sua contrarietà a rivedere la Legge 194 in senso restrittivo, e giudicato contraria alla sua morale e coscienza l’ipotesi di impedire a una donna vittima di stupro».

La legge 194/78

In Italia l’accesso all’aborto è regolato dalla legge 194/78. Il cammino per arrivarvi, però, è stato molto lungo. La promulgazione della legge è arrivata dopo un intenso dibattito che ha coinvolto movimenti politici e culturali, come quelli femministi.

Il dibattito, però, si divideva tra liberalizzazione, legalizzazione, depenalizzazione e regolamentazione. All’epoca l’aborto era illegale, in base al Codice Rocco, nato in epoca fascista, che lo considerava reato contro “l’integrità e la sanità della stirpe”, ed era punibile con la reclusione da due a cinque anni, sia per chi abortiva, sia per chi eseguiva l’aborto. L’unico modo per ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza era, quindi, la “clandestinità”, con gravi pericoli per la salute e la vita della donna.

Negli anni Settanta inizia anche la campagna abortista portata avanti dal Partito Radicale, sostenitore della totale liberalizzazione, e con il passare del tempo si moltiplicano le manifestazioni nelle piazze. Nel 1977 viene presentata alla Camera la proposta di legge unificata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” (titolo che mantiene ancora oggi) presentata da PSI (Partito Socialista italiano), PLI (Partito Liberale Italiano), DP, (Democrazia Proletaria) PRI (Partito Repubblicano Italiano), PCI (Partito Comunista Italiano), PSDI (Partito Socialista Democratico italiano) e altri indipendenti di sinistra. Il testo viene approvato il 22 maggio 1978 (Legge 22 maggio 1978, n.194) Nel 1981, però, il Movimento per la Vita propone un referendum abrogativo: vince il no con il 68%.

La legge 194 consente di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni di gestazione. Oltre i 90 giorni è possibile ricorrervi solo per motivi di natura terapeutica. Secondo l’articolo 6, infatti, è possibile nei casi in cui “la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna” o ”quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

La legge prevede l’obiezione di coscienza per i ginecologi e le ginecologhe. In base all’articolo 9 “l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento” .

Secondo la Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge 194/78, pubblicata nel 2023 ma con dati riferiti al 2021, tra gli obiettori il 63,4% sono ginecologi, 40,5% anestesisti, mentre 32,8% personale non medico. Le percentuali variano da Regione a Regione.

Tuttavia, in base alla ricerca Mai dati dell’Associazione Luca Coscioni, realizzata da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, in 22 ospedali e quattro consultori l’obiezione di coscienza è al 100% tra ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e OSS, mentre oscilla tra l’80 e il 100% in 72 strutture.

I Radicali Italiani e le attiviste e gli attivisti della campagna Libera di Abortire hanno lanciato una raccolta firme per portare in Senato una proposta di legge di iniziativa popolare per il superamento della legge 194 per garantire l’interruzione volontaria di gravidanza sia chirurgica, sia farmacologica. La proposta chiede, tra le altre cose, l’ “aggiornamento del personale sanitario in materia di diritti riproduttivi”, l’obbligo “per le strutture sanitarie ove sia richiesta l’interruzione di gravidanza” di garantire il servizio, con “una dotazione di personale non obiettore impiegato nel servizio non inferiore al 50% e il dovere delle regioni di garantirne l’erogazione con tale dotazione anche attraverso la mobilità e assunzioni mirate di personale”, fornire informazioni complete sull’aborto, garantire l’accesso al servizio a persone straniere. Tra le proposte anche la possibilità di accedere all’aborto fino a 14 settimane e l’eliminazione della cosiddetta “settimana di ripensamento”, ossia la finestra di 7 giorni obbligatoria tra il rilascio del certificato da parte del medico e la possibilità di eseguire l’interruzione di gravidanza. Tra le modifiche richieste anche l’inserimento del termine “persona gestante”, in linea con un linguaggio più inclusivo e omnicomprensivo.

di: Francesca LASI

FOTO: ANSA/ EPA/SAMUEL CORUM