Aula sì, aula no, presenza fisica, presenza virtuale. In pandemia tutto è lecito, pur di non perdere un anno didattico. O no? Ecco la voce dei protagonisti: insegnanti e dirigenti

Un anno di pandemia ci ha portato ad usare quotidianamente termini quasi dimenticati come quarantena o epidemia – risalenti al 1918/20 all’epoca dell’influenza Spagnola – ma anche nuovi termini come didattica a distanza, conosciuta con l’acronimo di “Dad” o “Did”, didattica integrata digitale. 

A dodici mesi dai primi casi di questa epidemia, possiamo fare un bilancio nel mondo dell’istruzione pubblica, supportati dall’esperienza di chi si trova in prima linea: insegnanti e dirigenti scolastici.

Un approfondimento non solo relativo all’insegnamento e all’apprendimento degli studenti ma anche su come la vita professionale dei docenti sia cambiata così come quella dei ragazzi. 

Prima, però, occorre fare un distinguo sugli acronimi Dad e Did entrati nel gergo quotidiano. Con il lockdown del marzo 2020 la didattica è diventata a distanza – Dad – una forma di insegnamento dove il docente spiegava e lo studente ascoltava da casa, di fronte ad un pc, tablet o cellulare. Con la ripresa della scuola a settembre, il metodo è stato modificato, divenendo Did ossia didattica integrata digitale che in pratica permette agli studenti di alternare la scuola in presenza con quella svolta di fronte ad una videocamera, on line, con il docente. 

Quanto emerso dalle esperienze degli insegnanti è differente dalle dichiarazioni rese a febbraio dall’ex ministro della pubblica Istruzione, Lucia Azzolina quando disse: «La Dad non funziona più ed i ragazzi vogliono tornare a scuola»

Maria Rosa Rao, dirigente scolastica del Liceo Classico “Tommaso Campanella” di Reggio Calabria, ha risposto ad alcune nostre domande in esclusiva così come hanno fatto altri due suoi colleghi genovesi.

– Quali giudizi arrivano da parte dei genitori riguardo la Dad?

«I genitori chiedono di proseguire con la didattica a distanza: due sono i motivi per i quali i genitori ne hanno fatto richiesta. Il primo riguarda la sicurezza dei genitori nell’avere a casa i propri figli, lontano da possibili contagi nel momento più delicato, che si spera sia passato, e la seconda riguarda la voglia di partecipare ad un nuovo modo di apprendere».

– La didattica a distanza, quindi, è soddisfacente?

«Non magnifico la didattica integrata o quella a distanza ma sostengo che queste nuove realtà siano arrivate e vengano usate a causa di una crisi sanitaria. Un momento difficile che ci siamo ritrovati a dover affrontare senza, fra l’altro, quelle capacità tecnologiche che, invece, i giovani di oggi, nativi digitali, hanno nel dna. Pur nella difficoltà del momento siamo riusciti a far fronte con efficienza ed efficacia ma la scuola è una comunità che deve stare in presenza»

– Lei fa parte della rete nazionale dei Licei, cosa dicono i suoi colleghi?

«Facendo parte della Rete nazionale dei Licei classici ho avuto modo di confrontarmi con colleghi di altre regioni i quali hanno trovato aspetti positivi nell’ambito formativo dei ragazzi. La Didattica integrata digitale ha sviluppato abilità e competenza traghettando gli studenti dalla civiltà del cartaceo a quella digitale, valorizzando comunque il metodo tradizionale».

– Come vi siete trovati nell’uso del digitale? 

«Noi docenti, così come il personale Ata – personale amministrativo tecnico ausiliario – in questo periodo abbiamo sviluppato una serie di competenze digitali. E, fra l’altro, abbiamo posto in essere un decalogo di comportamenti da tenere durante la didattica digitale come tenere la telecamera accesa e il microfono spento, ad esempio».

– Un voto all’attività degli studenti…

«La loro attività è stata buona: i ragazzi si adeguano alle difficoltà meglio degli adulti. Devo anche dire che i problemi relativi alla mancanza di strumenti o connessione dati sono stati minimi e li abbiamo risolti prima dell’inizio dell’anno scolastico».

– Nel Sud d’Italia si lamenta carenza di tecnologia per questo tipo di didattica di emergenza…

«Smettiamola di dire che il Sud è indietro rispetto al Nord: questo ritornello mortifica tutti noi. A giugno di quest’anno abbiamo potenziato la rete della scuola, fornito tablet e notebook in comodato d’uso, consegnando schede telefoniche a studenti che vivono dove non arrivano rete o fibra: considerando che abbiamo settecentocinquanta studenti, pochissimi sono stati gli interventi della scuola. Siamo stanchi di sentire che nel Sud Italia c’è un gap rispetto al Nord. Non è così».

Spostando il nostro punto di osservazione su Genova abbiamo colto un’altra prospettiva sulla situazione scolastica: quella del Liceo Classico e Linguistico “Giuseppe Mazzini” e del Liceo Classico “Andrea D’Oria”. Iniziamo dall’insegnante del D’Oria, Alessandra Bertolotto, docente di italiano e latino nonché un passato da giornalista per passione. Nel liceo ci sono oltre mille studenti suddivisi in 41 classi.

– Qual’è la sensazione che si respira fra i ragazzi?

«Ci rendiamo conto che i ragazzi vogliono tornare in presenza. Nessuno di noi vuole usare queste alternative forme di didattica ma dobbiamo avere pazienza. I ragazzi che si alternano fra presenza e distanza quando sono a scuola cercano di godere degli attimi prima dell’inizio delle lezioni o del cambio dell’ora, seppur nel rispetto delle regole, poiché hanno bisogno di stare insieme. Gli studenti soffrono il momento della didattica integrata ed essendo multitasking perdono facilmente la concentrazione: questo accade in particolar modo ai maschi e c’è anche da dire che gli studenti del triennio sono più concentrati rispetto ai “colleghi” del biennio»

– Non è facile seguire alcune materie on line, come avete superato il problema?

«È difficile con la didattica del momento – seppur metà in presenza e metà on line – seguire materie come la matematica anche se l’uso della lavagna luminosa insieme alla “lim” -lavagna interattiva luminosa – attenuano il problema. Ci siamo anche ingegnati a fare dibattiti on line, con argomenti di vario genere, tramite le diverse piattaforme esistenti suddividendo la classe in squadre».

– Avete anche avviato un laboratorio di comunicazione…

«Un laboratorio di giornalismo e comunicazione viene portato avanti insieme alla collega Cristina Frisone: un esperimento, questo, che ha l’obiettivo di svecchiare un liceo che dà gli strumenti critici per affrontare e codificare una realtà sempre più complessa»

– Come docenti eravate pronti all’uso dei sistemi digitali per fare lezione?

«Diciamo che nell’arco di un anno scolastico hanno imparato ad usare la tecnologia digitale appassionandosi ad essa. Ci siamo rinnovati e modernizzati per così dire. Un nuovo apporto dal punto di vista metodologico è anche quello di mettere in condivisione una lezione registrata dall’insegnante. Tutto questo è stato possibile poiché c’è un team che collabora creando un circolo virtuoso».

Terminiamo questo viaggio virtuale entrando nel Liceo Classico e Linguistico “Giuseppe Mazzini” di Genova, “accompagnati” dal dirigente Mario Eugenio Predieri. L’istituto fra la sede e le filiali sia per il Classico che per il Linguistico conta all’incirca un migliaio di studenti.

– Come definisce la didattica a distanza?

«La Didattica integrata digitale – sottolineaPredieri – è uno strumento di “supplenza” nei confronti della didattica tradizionale impossibile in questo momento di Covid19. I ragazzi, avendo usato la didattica integrata e a distanza, strumenti di innovazione e cambiamento, ci hanno ringraziato pur sapendo, come il personale scolastico, che la didattica in presenza è insostituibile».

– Secondo lei i ragazzi sono stanchi per la Dad?

«Abbiamo registrato un momento di stanchezza dei ragazzi fra il novembre e dicembre scorso quando la dad era al 100% ed ora con il sistema misto sembra andare meglio. Sono convinto che nel complesso sia un momento faticoso per gli studenti ma se affrontato in maniera costruttiva sarà un valore aggiunto per loro così come lo sarà per il personale docente».

– Avete registrato problemi di apprendimento per i ragazzi con l’uso della Dad?

«Ci sono materie che meglio si adattano alla didattica digitale come le lingue, altre meno, ad esempio la matematica. Le materia che meno si addicono a questa didattica alternativa creano di conseguenza difficoltà nell’apprendimento: non è un problema dei ragazzi o degli insegnanti ma di un limite della tipologia di insegnamento obbligata dagli eventi. L’attività su piattaforme specifiche, inoltre, non era stata mai svolta in passato e questo elemento di innovazione ha degli aspetti non sempre positivi».

– Avete avuto richieste di aiuto da parte di famiglie per gli strumenti tecnologici?

«Sono state pochissime le richieste di aiuto avanzate dalle famiglie ed abbiamo risolto le criticità di una piccola percentuale di ragazzi – il 5% – sprovvisti di attrezzature» 

La situazione appare, quindi, fra luci e ombre, sotto controllo ma in un momento del genere quale sarà la valutazione degli studenti in un anno scolastico atipico, innovativo e per certi versi limitativo? Gli insegnanti che ci hanno chiarito il loro punto di vista sono concordi in una valutazione per così dire globale, più ampia. Lo studente sarà valutato non solo in base alle votazioni ottenute ma anche tenendo conto della partecipazione, degli interventi effettuati, dal breve controllo sui testi e dalle motivazioni che ha avuto. Senza dubbio l’anno scolastico che si sta avviando all’ultimo trimestre è stato “leggero” ma non è stata colpa degli insegnanti tantomeno degli studenti. Si tratta, come detto, di una situazione di emergenza.

In attesa, infine, di scoprire se ci sarà un prolungamento dell’anno scolastico fino a luglio – come ipotizzato dal Governo Draghi – dai siti specializzati emerge un coro sommesso, fra gli addetti ai lavori, che “bolla” l’idea come “ricetta irrealistica”. Ma questa è un’altra storia.