Grandi donne ri-lette
Il canto di Calliope, le donne dell’epica e l’eroismo al femminile secondo Natalie Haynes
Il canto di Calliope è un esempio calzante di riscrittura ben fatta. Il mito prende vita, si districa dalle pieghe del tempo e con un linguaggio elegante e ricco di dettagli racconta una storia che tutti conosciamo in modo completamente inedito. Natalie Haynes racconta l’Iliade e l’Odissea da un altro punto di vista: quello femminile. Le donne, che hanno fatto e subìto la guerra di Troia, affiorano in piena luce. A tenere il filo è la musa Calliope che traccia i contorni all’interno dei quali si muovono le sue donne: dalla bella Elena, alla paziente (ma non tanto) Penelope fino alla disperata Cassandra, che vede il futuro ma a cui nessuno crede. La riscrittura al femminile del concetto di eroismo è un caposaldo di una nuova generazione, di una nuova mentalità, che ha scardinato tutti i preconcetti per i quali l’uomo è relegato al machismo e la donna al piagnucolio dietro le quinte. Perché è senz’altro vero che in guerra gli uomini perdono la vita ma è altrettanto vero che le donne perdono tutto il resto: e il lettore accompagna le troiane sulla spiaggia ad osservare la città in fumo, consapevoli di aver perso speranza, libertà e famiglia, tutto in una volta sola. Eppure, benché alcune delle figure della Haynes siano dipinte benissimo e rendano onore a questo progetto, ce ne sono altre che, nonostante lo spessore che l’autrice riesce a trasmettere, smorzano l’entusiasmo. Una su tutte è Penelope.
La moglie di Odisseo è un vero esempio di abnegazione femminile. Da questa donna abbandonata che aspetta per 20 anni il marito e che è abbastanza intelligente da tenere a bada una “mandria” di ragazzini, che vogliono tanto lei quanto il suo trono, mi aspettavo di più. Inizialmente la regina di Itaca si presenta arguta, scaltra e piccata: smonta pezzo per pezzo la leggenda di Odisseo, riusciamo quasi a percepirla alzare gli occhi al cielo per le scorribande del marito. Man mano che la lettura prosegue il ritmo cambia: il tono si fa più oscuro, questo perché lo stesso Odisseo ci viene presentato in modo diverso. Siamo poi proprio sicuri che fosse dalla parte giusta della storia? E al di là del dilemma morale, Penelope si trasforma da donna sagace a mogliettina capricciosa nell’arco di pochissime pagine. La sua arguzia diventa un capriccio, sbatte i piedi per terra poi fa spallucce e infine si riprende il marito per un morboso “e vissero per sempre felici e contenti“. Come se ci fosse una generale mancanza di volontà di approfondire la figura di questa donna: esattamente come succede con Elena di Troia. Un personaggio emblematico che avrebbe meritato qualche parola in più, non fosse altro che per il carattere eclettico e cangiante che si può immaginare di attribuirle; fin dalle primissime pagine, invece, Elena è relegata ad un ruolo che le è stato dato millenni fa. Viene fatto un breve accenno alla responsabilità di Paride, perdonato mentre Elena subisce la condanna e lo sdegno, ma è solo un attimo. Naturalmente la riscrittura fedele del mito non permette di imporre cambi alla storia: mi aspettavo però un ritratto più profondo di queste due grandi protagoniste. Il vero personaggio simbolo del romanzo è la principessa Cassandra: spezzata da un dio, costretta alla solitudine, ripiegata sotto il peso di una maledizione che la costringe a vedere il futuro terribile di tutte le persone che ama, tiene fede a sé stessa e si ribella a una forza che non può fronteggiare ma va incontro alla morte a testa alta, senza aver rinunciato nemmeno a un briciolo della sua dignità.
Nel complesso questo romanzo, edito da Sonzogno Editore, è una piacevolissima lettura, intrattiene e affascina, ed è un ottimo modo per riscoprire quei poemi epici che forse, studiati sui banchi di scuola, possono essere sembrati un po’ noiosi. Ma, per favore, nel 2021 dateci più Cassandra e meno Penelope. Ne abbiamo proprio un gran bisogno.
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