Con 900 milioni di appassionati, il tennis tavolo è il settimo sport più seguito al mondo. Il direttore tecnico della FiTeT Quarantelli fa il punto sulla situazione italiana

«Facciamo una partita a ping pong» è una frase universale che risolve serate noiose, lunghi pomeriggi estivi, mattine piovose all’oratorio anziché a scuola. Per alcuni è una professione e si chiama tennis tavolo. Se il calcio è lo sport più seguito al mondo (3,5 miliardi di persone), seguito da cricket (2,5), basket (2,2), hockey (2), tennis e pallavolo (1), il tennis tavolo si piazza in settima posizione con oltre 900 milioni di appassionati, davanti a il baseball (500 milioni), il rugby (400 milioni) e il football americano (poco meno di 400 milioni). 

Ping pong o tennis tavolo?

Giovane donna si cimenta nel ping pong – SHUTTERSTOCK

Come la maggior parte degli sport, il tennis tavolo nasce nella seconda metà del 1800 ed è il “figlio” del tennis, molto popolare tra i nobili europei ed americani. Con l’impossibilità di giocare il tennis all’aperto nei periodi invernali per la mancanza di strutture al coperto, in Inghilterra si sviluppò la moda di un tennis “casalingo” che veniva giocato dopo cena all’interno dei famosi circoli dell’alta società londinese con materiali ed attrezzature improvvisate.

I fabbricanti di giochi dell’epoca capirono l’importanza commerciale che si stava sviluppando e formularono svariate e fantasiose idee per riprodurre al meglio il gioco del tennis da praticare al coperto, molti furono gli esperimenti per produrre dei kit “casalinghi” poi finalmente ultimati. Nel 1884 si incontra per la prima volta il termine “tennis tavolo” in un catalogo commerciale del venditore inglese di articoli sportivi F.H. Ayres. L’anno successivo l’elettricista inglese James Devonshire brevetta il gioco del “tennis tavolo” all’ufficio brevetti di Londra. Ad oggi Devonshire viene considerato universalmente come l’inventore del tennis tavolo.

Il nuovo gioco così concepito ebbe uno straordinario successo diventando in breve tempo popolarissimo in tutto il mondo con nomi diversi ed originali, tra cui “ping pong”, “gossima”, “table tennis”, “whiff waff”, “parlour tennis”, “indoor tennis”, “pom-pom”, “pim-pam”, “netto”, “royal game”, “tennis de salon”. Tra tutti questi nomi, prevalsero il ping pong e il table tennis, ma non senza problemi: furono formate due associazioni indipendenti che avevano instaurato delle regole di gioco differenti.

Il ping pong nel 1900 era divenuto un marchio registrato dai fratelli Hamley insieme a John Jaques, gli stessi quindi imposero le proprie regole ed attrezzature, insieme ai fratelli Parker, che acquistarono i diritti del marchio per la commercializzazione negli Stati Uniti d’America. Bisognerà attendere il 1922 per l’unificazione tra le due associazioni rivali “ping pong” e “table tennis” e in quell’occasione vennero decise le dimensioni del tavolo la superficie e la sua altezza, l’altezza della rete ed il diametro delle palline, tutto questo in preparazione dei primi campionati del mondo svoltisi 4 anni dopo. Si tennero a Londra e vi parteciparono gli atleti di Austria, Cecoslovacchia, Danimarca, Germania, Ungheria, Svezia e India. Quasi tutte le medaglie furono vinte da atleti ungheresi, nazione che avrebbe continuato a dominare il tennis tavolo fino all’avvento dell’era cinese, e in generale asiatica, nel dopoguerra. Per partecipare alle Olimpiadi, invece, i ponghisti dovettero aspettare il 1988, non a caso a Seul, Corea. 

In questi oltre 100 anni di esistenza, il tennis tavolo è entrato nella cultura sportiva in tutto il mondo, Africa compresa: l’ultimo Campionato del Mondo si è svolto a Durban, in Sudafrica, e la finale è stata vista da un miliardo di telespettatori. Se in Cina è lo sport nazionale, con 80 milioni di praticanti, è lo sport preferito del 12% dei coreani, del 6% dei giapponesi mentre negli Usa la percentuale sale a poco meno dell’8% (20 milioni di praticanti, un numero in crescita). In Europa la percentuale scende, ma in Gran Bretagna lo praticano comunque due milioni di persone e circa un milione in Germania, soprattutto grazie al traino del grande campione Timo Boll, che è riuscito a opporsi al dominio decennale cinese ai Mondiali del 2005. Il giro d’affari globale è stimato attorno ai 650 milioni di dollari. 

In Italia

Concentramento paralimpico – FITET

Tra i grandi Paesi europei, l’Italia è un po’ la Cenerentola, con 34mila tesserati e circa 50mila praticanti abituali nelle oltre 700 associazioni sportive. In questi giorni la squadra nazionale femminile si trova a Busan, in Corea del Sud, per disputare i Mondiali (nella foto Debora Vivarelli), mentre gli uomini non sono riusciti ad ottenere la qualificazione; a rischio per entrambe le squadre la qualificazione alle Olimpiadi di Parigi.

«La situazione è un po’ paradossale: abbiamo sei atleti che stanno partecipando al circuito mondiale, anche con risultati importanti come i terzi posti di Matteo Mutti e Deborah Vivarelli al WTT Feeder di Manchester. Purtroppo i parametri per stilare la classifica del ranking penalizzano di più il nostro Paese rispetto ad altri, con atleti magari meno bravi – spiega Matteo Quarantelli, direttore tecnico della Federazione Italiana Tennis Tavolo -. Credo comunque che risultati migliori arriveranno nel futuro, perché abbiamo un un gruppo di giovani che sta facendo molto bene. Il trend è in decisa crescita. Inoltre non dimentichiamo la lunga tradizione del tennis tavolo paralimpico, che anche a Tokio 2021 ci ha regalato due medaglie di bronzo e che parteciperà a Parigi con 7 atleti».

Le vittorie fanno sicuramente da traino, ad esempio un campione come Timo Boll per il movimento tedesco. Forse il tennis tavolo italiano sta aspettando il suo Sinner?

«Indubbiamente. Diciamo che gli atleti che ottengono grandi risultati sono un grande traino per tutto il movimento. Danno credibilità a quello che viene fatto, a tutti i livelli. E danno nuovo entusiasmo, una grande spinta. Quindi sono in grado di cambiare le sorti di un intero movimento sportivo. È giusto dire, però, che queste cose non si improvvisano: se Sinner è Sinner è anche perché dietro di lui c’è un grande movimento sportivo. I campioni del futuro nascono dal basso, sostenendo e sviluppando le attività che vengono svolte dai club nella quotidianità: il vero successo nasce dal lavoro, spesso oscuro, di coloro che, tutti i giorni, animano il movimento nelle tante realtà del nostro Paese».

In Italia il 4,6% degli immigrati è cinese, e molti ragazzi sono nati in Italia. Per loro è lo sport nazionale, sono una risorsa per il movimento?

«La FiTeT ha vissuto sin dai primi anni ‘90 il fenomeno dell’immigrazione cinese, integrando nei club i nuovi atleti; alcuni ragazzi hanno preso la cittadinanza italiana proprio per partecipare alle competizioni nazionali e sono stati la colonna di un movimento sportivo che, tra la fine degli anni 90 i primi anni 2000, è stato molto solido. Poi, per fattori esogeni, si è esaurito. Ma, oggi, ci sono tantissimi giovani che sono nati in Italia da famiglie straniere e che fanno parte dei nostri club. Mi sento di affermare che il nostro è davvero un ambiente molto inclusivo e siamo fieri quando questi ragazzi diventano porta bandiera del nostro movimento e del nostro Paese».

Il ping pong è uno sport che si è potuto fare anche durante i lockdown, in casa, magari per far passare il tempo ai più piccoli. Avete riscontri di questo?

«Abbiamo osservato, intanto, un aspetto interno: la presenza del tavolo, che per sua “natura” fa mantenere le distanze agli atleti, è stato indubbiamente un vantaggio e sono aumentate le persone che hanno voluto cominciare a praticare, perché si ritrovavano in una situazione protetta e accessibile. E poi, finita l’emergenza, alcuni si sono presentati in palestra dicendo che avevano iniziato a casa, per passare il tempo, e avrebbero voluto continuare. Se ci pensiamo, a ping pong si può giocare anche utilizzando la scrivania di casa e una rete compatta comprata on line, è un gioco è veramente molto accessibile, che non richiede né grande spazio, né particolari attrezzature, né devi essere un grande atleta per cominciare a giocare».

Distensivo e diplomatico

La regina consorte Camilla Parker Bowles “testa” i tavoli olimpici, a Parigi – EPA/BERTRAND GUAY

Non solo sport: il tennis tavolo ha avuto un ruolo importante anche nella diplomazia, politica ed economica, e in più di un’occasione.

L’episodio più conosciuto è sicuramente quello del 1971, che ha visto coinvolti un giocatore della nazionale Usa e un collega cinese, durante i Mondiali in Giappone. I due furono paparazzati scendere dall’autobus insieme con atteggiamento amichevole, cosa che destò un certo interesse in piena Guerra fredda. Il commento di di Mao Zedong fu: «Questo Chuang Tse-tung (ndr: l’atleta fotografato) non solo gioca bene a ping pong, ma è bravo in affari esteri, è portato per la politica». E il 10 aprile 1971, nove giocatori americani, quattro funzionari e due consorti attraversarono un ponte tra Hong Kong e la Cina continentale e passarono una settimana tra partite dimostrative, visite guidate ed eventi mondani. Nel febbraio del 1972 Richard Nixon compì la sua storica visita in Cina.

Anni più tardi, in un meeting del G8, Barack Obama e David Cameron furono fotografati mentre facevano un doppio. L’ex presidente Usa, da senatore dello Stato dell’Illinois, approvò i fondi governativi agli US Open 2004 a Chicago. Anche Bill e Hillary Clinton furono fotografati con le racchette e le palline, così Nicolas Sarkozy e il leader cinese Hu Jintao. Ma anche la regina consorte Camilla Parker Bowles e il primo ministro russo Mikahil Mishustin. Nell’archivio stampa c’è anche Bill Gates che gioca con Warren Buffet, col quale condivide la passione e l’amicizia con l’ex nazionale americana Ariel Hsing. Si dice che lei li chiami “zii”. Con Mister Microsoft si conoscono da quando lei aveva 9 anni.

Il tennis tavolo, con questo suo ticchettio, con questo suo essere alla portata di qualsiasi fisico ad ogni età, sembra essere propedeutico alla distensione: non è un caso se è nella sala relax di quasi tutte le aziende.

di Giulia Guidi

Foto FITET